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Perlmutter aveva raggiunto Algeri con un jet militare, poi aveva preso un aereo commerciale ed era atterrato nella piccola città di Adrar, nell’Algeria meridionale. Pitt e Giordino erano ad attenderlo, e l’avevano fatto salire su un elicottero prestato dalla società di costruzioni francese che lavorava nel complesso.

Dopo aver fatto rifornimento s’erano diretti verso sud; poco prima dell’alba avevano avvistato il veicolo a vela che giaceva rovesciato nel punto in cui l’avevano abbandonato quando erano stati soccorsi dal camionista arabo. Erano atterrati e avevano smantellato l’ala, i cavi e le ruote che li avevano salvati, e avevano legato i pezzi ai pattini dell’elicottero. Poi erano ripartiti con Pitt ai comandi e s’erano diretti verso la gola dove si trovava l’aereo di Kitty Mannock.

Durante il volo, Perlmutter lesse la copia che Pitt aveva fatto del giornale di bordo di Kitty. «Che donna coraggiosa», esclamò in tono d’ammirazione. «Con pochissima acqua, una caviglia fratturata e un ginocchio slogato, aveva percorso quasi sedici chilometri nelle condizioni più sfavorevoli.»

«Sedici chilometri solo all’andata», gli rammentò Pitt. «Dopo aver trovato la nave nel deserto, tornò al suo aereo.»

«Sì, ecco qui», disse Perlmutter, e lesse a voce alta.

Mercoledì 14 ottobre. Caldo tremendo. Sono molto depressa. Ho seguito la gola verso sud fino a quando è sboccata nell’ampio letto d’un fiume prosciugato. Ritengo che sia a circa dieci miglia dall’aereo. La notte, stento a dormire per il freddo. Nel pomeriggio ho trovato una strana nave semisepolta nel deserto. Ho creduto a un’allucinazione, ma, dopo aver toccato le fiancate spioventi di ferro, ho capito che era vera. Sono entrata girando intorno a un vecchio cannone che sporgeva da un’apertura e ho passato la notte al riparo.

Giovedì 15 ottobre. Ho esplorato l’interno della nave. È troppo buio per vedere bene. Ho trovato i resti di molti membri dell’equipaggio, ben conservati. Devono essere morti da parecchio tempo, a giudicare dalle uniformi. È passato un aereo ma non ha visto la nave. Non ce l’ho fatta a uscire in tempo per fare un segnale. Volava in direzione del punto in cui sono precipitata. Qui non mi troveranno mai e ho deciso di tornare all’aereo nella speranza che l’abbiano scoperto. Ora so che è stato un errore allontanarmi. Se i soccorritori trovano l’aereo non potranno seguire le mie tracce. Il vento le ha coperte di sabbia, come la neve in una tormenta. Il deserto gioca secondo le regole e io non posso batterlo.

Perlmutter s’interruppe e alzò gli occhi. «Questo spiega perché avete scoperto il diario nel luogo dell’incidente. Kitty tornò nella vana speranza che i soccorritori avessero trovato il suo aereo.»

«Quali sono state le sue ultime parole?» chiese Giordino, Perlmutter girò una pagina e continuò a leggere.

Domenica 18 ottobre. Sono tornata all’aereo ma non c’è traccia di soccorritori. Sono spacciata. Se mi troverete quando non ci sarò più, perdonate i dispiaceri che ho causato. Un bacio a mamma e papà. Ditegli che ho cercato di morire con coraggio. Non posso più scrivere, la mente non controlla più la mano.

Quando Perlmutter ebbe finito, a bordo dell’elicottero scese un profondo senso di tristezza e di malinconia. Erano tutti commossi dal racconto dell’epica lotta di Kitty per sopravvivere, e dovevano fare uno sforzo per trattenere le lacrime.

«Avrebbe potuto insegnare a molti uomini il significato della parola coraggio», disse Pitt.

Perlmutter annuì. «Grazie alla sua tenacia, forse si potrà risolvere un altro grande mistero.»

«Ci ha dato tutte le indicazioni utili», constatò Pitt. «Non dobbiamo far altro che seguire la gola verso sud, fino a dove sfocia nel letto di un antico fiume. E là potremo incominciare a cercare la corazzata.»

Due ore dopo gli australiani interruppero il compito di smantellare i resti del vecchio Fairchild di Kitty Mannock e alzarono la testa per osservare un elicottero che volava in cerchio sulla gola. Tutti sorrisero quando riconobbero l’ala e il carrello mancanti, legati ai pattini dell’apparecchio.

Pitt regolò i comandi e scese dolcemente sul terreno piatto sopra la gola per non avvolgere gli australiani in una tempesta di polvere e di sabbia. Spense i motori e diede un’occhiata all’orologio. Erano le otto e quaranta del mattino: mancavano poche ore al periodo più caldo della giornata.

St. Julien Perlmutter si spostò sul sedile del copilota e si preparò a scendere. «Non sono fatto per viaggiare su simili trappole», si lagnò, mentre il caldo lo investiva nell’attimo in cui fasciava l’aria condizionata della cabina.

«Sempre meglio che andare a piedi», disse Giordino mentre si guardava intorno. «Credimi, lo so per esperienza.»

Un australiano grande e grosso dalla faccia rubizza salì dalla gola e si avvicinò. «Salve. Lei deve essere Dirk Pitt.»

«Io sono Giordino, Pitt è lui», precisò Giordino indicandolo.

«Sono Ned Quinn e dirigo l’operazione di recupero.»

Pitt trasalì quando la zampa enorme di Quinn quasi gli stritolò la mano. Si massaggiò le nocche e disse: «Abbiamo riportato i pezzi dell’aereo di Kitty che avevamo preso in prestito qualche settimana fa».

«Oh, grazie.» La voce di Quinn strideva come ferro sotto una macina. «Un vero colpo di genio, usare l’ala per navigare attraverso il deserto.»

«St. Julien Perlmutter», si presentò lo storico.

Quinn si batté la mano sulla pancia enorme che debordava dai pantaloni. «Sembra che a tutti e due piaccia molto mangiare e bere, signor Perlmutter.»

«A proposito, non avrebbe un po’ di quella vostra ottima birra australiana?»

«Le piace la nostra birra?»

«Tengo sempre a portata di mano una cassa di Castlemaine di Brisbane per le grandi occasioni.»

«Non abbiamo la Castlemaine», rispose Quinn, visibilmente impressionato. «Ma posso offrirle una Fosters.»

«Le sarei molto obbligato», disse Perlmutter che incominciava a sudare.

Quinn andò a frugare nella cabina di un camion e prese quattro bottiglie da un frigo portatile. Tornò indietro e le distribuì.

«Fra quanto avrete finito?» chiese Pitt.

Quinn si voltò a guardare la gru che stava per sollevare sul camion il motore del vecchio aereo. «Fra tre o quattro ore avremo caricato tutto e ripartiremo per Algeri.»

Pitt prese dalla tasca della camicia il diario di volo e glielo porse. «È il libro di bordo di Kitty. Documenta il suo ultimo volo e la tragica conclusione dell’impresa. L’avevo preso in prestito perché parla di qualcosa che aveva trovato. Penso che a Kitty non sarebbe dispiaciuto.»

«Lo credo anch’io», disse Quinn, accennando alla bara coperta dalla bandiera australiana con la croce di san Giorgio e le stelle della Croce del Sud. «I miei compatrioti hanno un debito con lei e con il signor Giordino che hanno risolto il mistero della sua scomparsa e ci hanno permesso di riportarla in patria.»

«È rimasta lontano per troppo tempo», mormorò Perlmutter.

«Sì», disse Quinn con una sfumatura di reverenza nella voce aspra. «Proprio così.»

Con grande gioia di Perlmutter, Quinn insistette per caricare sull’elicottero dieci bottiglie di birra prima del commiato. Tutti gli australiani vollero esprimere la loro gratitudine e stringere la mano a Pitt e Giordino. Dopo il decollo, Pitt volò in cerchio un’ultima volta intorno al relitto in segno di omaggio, prima di virare per seguire il percorso che Kitty aveva compiuto fino a scoprire la leggendaria nave nel deserto.

L’elicottero, che volava in linea retta sopra la gola tortuosa che aveva significato per Kitty giorni e giorni di sofferenze e di fatiche, raggiunse il letto dell’antico fiume in meno di dodici minuti. Quello che un tempo era stato un corso d’acqua fiancheggiato da una fascia di vegetazione era un uadi ampio e arido, circondato da sabbia instabile.