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«L’Oued Zarit», annunciò Perlmutter. «È difficile credere che fosse un fiume navigabile.»

«Oued Zarit», ripeté Pitt. «È così che lo chiamava il vecchio cercatore americano. Ha detto che aveva cominciato a prosciugarsi circa centotrent’anni fa.»

«È vero. Ho fatto qualche ricerca sui rilevamenti compiti dai francesi in quest’area. Un tempo, qui vicino, c’era un porto dove le carovane commerciavano con i mercanti che gestivano una flotta d’imbarcazioni. Ormai è impossibile capire dove fosse. Fu coperto dalle sabbie poco dopo l’inizio della grande siccità, quando l’acqua fu inghiottita dal terreno.»

«Quindi la teoria afferma che la Texas risalì il fiume e si arenò quando rimase in secca.»

«Non è una teoria. Ho trovato in archivio la dichiarazione resa sul letto di morte da un uomo dell’equipaggio, un certo Beecher. Giurò di essere l’unico superstite della Texas e fornì una descrizione particolareggiata dell’ultimo viaggio nella nave attraverso l’Atlantico fino all’affluente del Niger, dove restò bloccata.»

«Come puoi essere sicuro che non fosse il delirio di un moribondo?» chiese Giordino.

«Il racconto era troppo dettagliato per non risultare credibile», rispose con fermezza Perlmutter.

Pitt ridusse la velocità e continuò a scrutare il fiume in secca, «Il cercatore ci ha anche detto che la Texas trasportava l’oro della Confederazione agonizzante.»

Perlmutter annuì. «Anche Beecher parlò dell’oro. E inoltre fornì un indizio interessante che portava alle carte segrete del segretario della Guerra, Edwin Stanton, ancora sigillate…»

«Credo di aver avvistato qualcosa», l’interruppe Giordino indicando. «Là, sulla destra. Una grande duna che trabocca dalla riva ovest.»

«Quella con una roccia in cima?» chiese Perlmutter in tono eccitato.

«Appunto.»

«Prendi il gradiometro Schonstedt che Julien ha portato da Washington», ordinò Pitt a Giordino. «Non appena l’avrai montato, passerò sopra la duna.»

Giordino si affrettò a prendere lo strumento, controllò che fosse collegato alle batterie e ne regolò la sensibilità. «Pronto a calare il sensore.»

«Bene, mi avvicino alla duna alla velocità di dieci nodi», rispose Pitt.

Giordino calò il sensore con un cavo collegato al gradiometro fino a quando rimase sospeso dieci metri sotto il ventre dell’elicottero. Poi, assieme a Perlmutter, studiò con attenzione l’ago sul quadrante della frequenza. Mentre l’elicottero avanzava adagio sopra la duna, l’ago ondeggiò e l’amplificatore sonoro incominciò a ronzare. All’improvviso l’ago si arrestò e sfrecciò dalla parte opposta del quadrante quando il sensore passò sopra la polarità magnetica, da positiva a negativa. Il ronzio divenne un sibilo acuto.

«È fuori scala», gridò soddisfatto Giordino. «Laggiù c’è una massa di ferro enorme.»

«Potrebbe essere causato da quella roccia bruna rotonda in cima alla duna», osservò Perlmutter. «Qui intorno il deserto è pieno di minerali di ferro.»

«Non è una roccia!» esclamò Pitt. «Quella è la parte superiore d’un fumaiolo incrostato di ruggine!»

Mentre Pitt teneva l’elicottero librato sopra la duna, nessuno riuscì a parlare. Fino a quel momento si erano chiesti se esisteva veramente. Ma ormai non avevano più dubbi.

La Texas era stata riscoperta.

62.

La prima ondata di euforia e di esaltazione si spense quando un esame attento dimostrò che, a eccezione di due metri di fumaiolo, l’intera nave era coperta dalla duna. Ci sarebbero voluti giorni e giorni per spalare la sabbia quanto bastava per poter entrare.

«La duna è avanzata sulla casamatta da quando la vide Kitty, sessantacinque anni fa», mormorò Perlmutter. «La nave è sepolta troppo profondamente perché possiamo penetrarvi. Sarebbe possibile solo usando mezzi da scavo molto potenti.»

«Io credo che un sistema ci sia», disse Pitt.

Perlmutter guardò l’enorme duna e scosse la testa. «A me sembra di no.»

«Una draga», esclamò Giordino come se gli si fosse accesa una lampadina nella mente. «Il metodo che usano gli addetti ai recuperi per rimuovere i sedimenti da un relitto.»

«Mi hai letto nel pensiero», rise Pitt. «Anziché un tubo ad alta pressione per scavare, ci fermiamo in verticale con l’elicottero e lasciamo che il movimento dell’aria creato dai rotori soffi via la sabbia.»

«A me sembra una stupidaggine», borbottò Perlmutter con aria pensierosa. «Non potrete mai esercitare una pressione sufficiente per rimuovere molta sabbia senza sollevarci ad alta quota.»

«Le pendici della duna sono molto ripide», osservò Pitt. «Se riusciamo a spianare la sommità di tre metri, si dovrebbe vedere la parte superiore della casamatta.»

Giordino alzò le spalle. «Tentare non costa nente.»

«Anch’io la penso così.»

Pitt portò l’elicottero sopra la duna e applicò la potenza necessaria per mantenerlo statico. La forza dell’aria del rotore sollevò la sabbia sottostante in un turbine frenetico. Per dieci, venti minuti tenne stabile l’elicottero, lottando contro la violenza del movimento dell’aria. Non vedeva nulla; la tempesta artificiale di sabbia nascondeva la vista della duna.

«Ci vorrà ancora molto tempo?» chiese Giordino. «Ho paura che la polvere rovini le turbine.»

«Sono disposto a farle scoppiare, se è necessario», rispose Pitt con ostinata tenacia.

Perlmutter incominciò a essere tormentato dalla prospettiva di finire in pasto agli avvoltoi. Era molto pessimista nei confronti dell’idea pazzesca di Pitt e Giordino, ma rimaneva in silenzio, senza interferire.

Dopo mezz’ora, Pitt fece alzare l’elicottero e lo spostò lateralmente, fino a che la nube di sabbia e di polvere ricadde al suolo. Tutti guardarono in basso. I minuti che seguirono sembrarono interminabili. Poi Perlmutter lanciò un urlo che soffocò il suono delle turbine.

«È allo scoperto!»

Pitt stava dalla parte della cabina opposta alla duna. «Che cosa vedi?» gridò a sua volta.

«Le piastre metalliche e i rivetti di quella che sembra la timoniera.»

Pitt portò l’elicottero più in alto per non smuovere la sabbia. La nuvola era finalmente ricaduta e aveva lasciato allo scoperto la timoniera della corazzata e circa due metri quadrati di ponte sopra la casamatta. Sembrava così innaturale che una nave giacesse sotto il deserto: s’era materializzata come un mostro gigantesco uscito da un film di fantascienza.

Meno di dieci minuti più tardi, dopo che Pitt aveva fatto posare l’elicottero e, con l’aiuto di Giordino, aveva issato l’ansante Perlmutter sul pendio della duna, si trovavano sulla Texas. La timoniera era libera, e i tre intrusi quasi si aspettavano di vedere qualcuno che li sbirciasse attraverso le feritoie.

C’era soltanto un lieve velo di ruggine sul ferro che proteggeva la struttura in legno della casamatta. La corazza mostrava ancora gli squarci e le ammaccature delle cannonate delle navi unioniste.

Il boccaporto d’accesso dietro la piccola struttura era incastrato, ma non poteva resistere alla forza di Pitt, ai muscoli di Giordino e al peso di Perlmutter. Cigolando come se volesse protestare per quell’inattesa forzatura, si aprì di schianto. I tre guardarono la scaletta che scendeva nel buio, poi si scambiarono un’occhiata.

«Credo che l’onore spetti a te, Dirk. Sei stato tu a condurci fin qui.»

Giordino si tolse lo zaino dalle spalle e distribuì le torce elettriche, così potenti che avrebbero potuto illuminare un campo da pallacanestro. L’interno misterioso li attirava. Pitt accese la torcia e scese.