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La sabbia penetrata dalle feritoie copriva la tolda fin quasi alla sommità degli stivali di Pitt. La ruota era immobile, come se attendesse con pazienza un timoniere fantasma. I soli altri oggetti visibili erano un gruppo di tubi portavoce e uno sgabello rovesciato in un angolo. Pitt esitò davanti al boccaporto aperto che conduceva al ponte dei cannoni, poi aspirò profondamente e si lasciò cadere nell’oscurità.

Nell’attimo in cui toccò con i piedi il legno del ponte si chinò e girò su se stesso, facendo scorrere il raggio di luce in ogni angolo dell’ambiente immenso. I grandi Blakely da 100 libbre e i due da 9 pollici e 64 libbre erano semisepolti dalla sabbia che era entrata dalle imposte degli oblò. Si avvicinò a uno dei Blakely, ancora montato sull’affusto ligneo. Aveva visto le fotografie dei cannoni della Marina della guerra di secessione scattate da Mathew Brady, ma non aveva mai immaginato che avessero dimensioni così monumentali. Era meravigliato al pensiero della forza degli uomini che un tempo li avevano usati.

L’atmosfera del ponte dei cannoni era opprimente ma stranamente fresca. E c’erano soltanto le grandi armi. Non c’erano secchi per spegnere gli incendi, non c’erano scovoli o munizioni. Sul pavimento non c’era nulla, come se fosse stato spogliato per un intervento di ristrutturazione in cantiere. Pitt si voltò mentre Perlmutter scendeva goffamente la scaletta, seguito da Giordino.

«Che strano», disse Perlmutter guardandosi intorno. «Gli occhi mi tradiscono, oppure il ponte è nudo come un mausoleo?»

Pitt sorrise. «No, ci vedi benissimo.»

«Credevo che l’equipaggio gli avesse dato un aspetto un po’ più… abitato», mormorò Giordino.

«Gli uomini che stavano su questo ponte e i loro cannoni ridussero male metà della flotta dell’Unione», esclamò Perlmutter. «Molti morirono qui. Non ha senso che non sia rimasta traccia della loro esistenza.»

«Kitty Mannock scrisse di aver visto i corpi», gli rammentò Giordino.

«Devono essere qui sotto», disse Pitt. Puntò il fascio luminoso verso una scala che scendeva nello scafo della nave. «Propongo di cominciare dagli alloggi dell’equipaggio a prua e di procedere attraverso la sala macchine, verso la prua e gli alloggi degli ufficiali.»

Giordino annuì. «Va bene.»

Si avviarono, dominati dalla soggezione dell’ignoto. La consapevolezza che si trattava dell’unica corazzata completamente intatta della guerra di secessione con i membri dell’equipaggio ancora a bordo accentuava in loro una reverenza quasi superstiziosa. Pitt aveva la sensazione di aggirarsi in una casa infestata da fantasmi.

Entrarono nell’alloggio dell’equipaggio e si fermarono. Il compartimento era una tomba: c’erano più di cinquanta uomini, pietrificati dalla morte. Quasi tutti erano distesi sulle cuccette. Anche se il rigagnolo che scorreva a quel tempo nel letto quasi prosciugato del fiume forniva ancora acqua da bere, gli stomaci rientranti dei cadaveri mummificati rivelavano che erano stati uccisi dalle malattie e dalla fame. Alcuni erano accasciati intorno a un tavolo, altri sul ponte. Molti erano stati spogliati degli indumenti. Non c’era traccia delle scarpe, dei bauli o degli altri oggetti personali.

«Li hanno ripuliti», mormorò Giordino.

«I tuareg», concluse stancamente Perlmutter. «Beecher dichiarò che i banditi del deserto, come li chiamava, avevano attaccato la nave.»

«Dovevano aver voglia di morire, se avevano attaccato una corazzata con lance e vecchi moschetti», commentò Giordino.

«Volevano l’oro. Beecher disse che il comandante usava l’oro della Confederazione per comprare viveri dalle tribù del deserto. Quando la voce si sparse, probabilmente i tuareg tentarono un paio di assalti inutili contro la nave, prima di farsi furbi e di assediarla tagliando i rifornimenti. Poi attesero fino a quando i membri dell’equipaggio morirono di fame, di febbre tifoide o di malaria. Quando sparirono tutti i segni di resistenza, i tuareg salirono a bordo e saccheggiarono la nave portando via l’oro e tutto il resto. E dopo che per anni tutte le tribù nomadi di passaggio hanno continuato il saccheggio, non è rimasto niente, tranne i cadaveri e i cannoni che erano troppo pesanti perché fosse possibile rimuoverli.»

«Quindi possiamo dimenticarci l’oro», disse pensosamente Pitt. «È sparito da molto tempo.»

Perlmutter annuì. «Oggi non ci arricchiremo certo.»

Nessuno dei tre desiderava trattenersi a lungo in quel compartimento pieno di morti. Si spostarono a poppa, in sala macchine. Il carbone era ammucchiato nei bidoni e c’erano ancora i badili appesi. Senza l’umidità che causasse corrosione, il bronzo dei contatori e degli infissi luccicava ancora sotto il chiarore delle torce. Se non fosse stato per la polvere, le macchine a vapore e le caldaie sarebbero apparse ancora in condizioni ottimali.

Un raggio di luce inquadrò la figura di un uomo curvo su una piccola scrivania. Sotto una mano c’era un foglio ingiallito, accanto a un calamaio che s’era rovesciato quando l’uomo s’era accasciato privo di vita.

Pitt tolse delicatamente il foglio e lesse.

Ho fatto il mio dovere fino all’esaurimento delle forze. Lascio le mie fedeli macchine in condizioni eccellenti. Ci hanno portati attraverso l’oceano senza perdere un colpo e sono forti come il giorno in cui furono installate a Richmond. Lascio al prossimo ufficiale di macchina il compito di far muovere questa nave contro gli odiati yankee. Dio salvi la Confederazione.

ANGUS O’HARE
primo ufficiale di macchina della Texas

«Era un uomo votato al dovere», disse Pitt in tono di approvazione.

«Oggi se ne è perso lo stampo», confermò Perlmutter.

Pitt lasciò O’Hare e passò oltre le due grandi macchine e alle caldaie. Un corridoio portava agli alloggi degli ufficiali e alla mensa, dove trovarono altri quattro cadaveri spogliati, tutti adagiati sulle cuccette delle rispettive cabine. Pitt li degnò appena di un’occhiata prima di fermarsi avanti a una porta di mogano montata nella paratia di poppa.

«La cabina del comandante», disse.

Perlmutter annuì. «Il comandante Mason Tombs. A quanto ho letto dell’audace fuga della Texas da Richmond all’Atlantico, doveva essere un tipo duro.»

Pitt dominò la smania di sapere, girò la maniglia e spalancò la porta. Ma Perlmutter tese la mano e lo trattenne.

«Aspetta!»

Pitt si voltò, sconcertato. «Perché? Di cosa hai paura?»

«Sospetto che troveremo qualcosa che nessuno dovrebbe vedere.»

«Può esserci qualcosa di peggio di quello che abbiamo già visto?» commentò Giordino.

«Che cosa ci nascondi, Julien?» chiese Pitt.

«Io… non vi ho detto che cosa ho scoperto nelle carte segrete di Edwin Stanton.»

«Me lo dirai più tardi», borbottò spazientito Pitt. Si staccò dallo storico, tese la torcia all’interno ed entrò.

La cabina era piccola, secondo i criteri delle navi da guerra contemporanee; ma le corazzate della guerra di secessione non erano state costruite per passare lunghe settimane in mare. Nei combattimenti sui fiumi e nelle rade della Confederazione, raramente si allontanavano dai porti per più di due giorni consecutivi.

Anche lì erano spariti tutti gli oggetti e i mobili che non erano imbullonati. I tuareg, che non erano abili nell’usare gli attrezzi, avevano ignorato tutto ciò che era saldamente fissato. Nella cabina del comandante c’erano ancora le librerie e un barometro rotto. Ma per qualche ragione inesplicabile, come avevano fatto con lo sgabello della timoniera, i tuareg avevano lasciato una sedia a dondolo.