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La torcia di Pitt rivelò due corpi. Uno era sdraiato su una cuccetta, l’altro seduto sulla sedia. Il cadavere sulla cuccetta giaceva nudo sul fianco, contro la paratia, nella posizione in cui lo avevano spinto i tuareg quando avevano portato via gli indumenti, le lenzuola e il materasso. La testa e il viso erano ancora coperti dai capelli e dalla barba di color fulvo.

Giordino raggiunse Pitt e studiò la figura sulla sedia a dondolo. Sotto la luce fulgida della torcia, la pelle aveva un colore bruno scuro e appariva coriacea come il cadavere di Kitty Mannock. Il corpo si era ugualmente mummificato nel caldo secco del deserto ed era ancora coperto da un antiquato indumento ottocentesco, che univa maglia e mutandoni in un pezzo unico.

Sebbene fosse seduto, si vedeva che l’uomo era molto alto. La faccia era barbuta, scarna, con le orecchie sporgenti. Gli occhi erano chiusi come se fosse assopito; le sopracciglia folte e stranamente corte sembravano tagliate all’angolo esterno dell’occhio. I capelli e la barba erano nerissimi, spruzzati di grigio.

«È l’immagine sputata di Lincoln», commentò Giordino.

«No. È Abraham Lincoln», disse Perlmutter dalla soglia, con voce smorzata. Si accasciò adagio sul ponte, con la schiena contro la paratia, come una balena che si posa sul fondo marino. Gli occhi erano fissi, ipnoticamente, sul cadavere sulla sedia a dondolo.

Pitt guardò Perlmutter, allarmato e incredulo. «Per essere uno storico famoso hai preso una bella cantonata!»

Giordino s’inginocchiò accanto a Perlmutter e gli porse la borraccia d’acqua. «Il caldo ti avrà dato alla testa, vecchio mio.»

Perlmutter rifiutò l’acqua. «Dio, oh, Dio, non volevo crederlo. Ma il segretario della Guerra di Lincoln, Edwin McMasters Stanton, aveva rivelato la verità nelle sue carte segrete.»

«Quale verità?» chiese incuriosito Pitt.

Perlmutter esitò, poi la sua voce divenne quasi un bisbiglio. «Lincoln non fu ucciso da John Wilkes Booth nel Ford’s Theater. Quello sulla sedia a dondolo è lui.»

63.

Pitt fissò Perlmutter, incapace di credere a ciò che aveva sentito. «L’assassinio di Lincoln fu uno degli eventi più documentati della storia americana. A teatro c’erano più di cento testimoni. Come puoi sostenere che non sia accaduto?»

Perlmutter alzò le spalle. «I fatti andarono come risulta, ma si trattò di un imbroglio tramato e realizzato da Stanton, che si servì di un attore molto somigliante a Lincoln e lo spacciò per lui. Due giorni prima dell’attentato, il vero Lincoln fu catturato dai confederati e condotto di nascosto attraverso le linee unioniste fino a Richmond, dove venne tenuto in ostaggio. Questa parte della vicenda è confermata da un’altra dichiarazione, fatta sul letto di morte dal capitano della cavalleria confederata che diresse la cattura.»

Pitt guardò pensosamente Giordino, poi di nuovo Perlmutter. «Il capitano della cavalleria sudista… per caso, si chiamava Neville Brown?»

Perlmutter lo guardò a bocca aperta. «Come lo sai?»

«Abbiamo incontrato un vecchio cercatore americano deciso a ritrovare la Texas e il suo oro. È stato lui a parlarci della storia di Brown.»

Giordino aveva l’aria di svegliarsi da un brutto sogno. «E noi pensavamo che fosse una favola.»

«Credetemi», disse Perlmutter, che non riusciva a staccare gli occhi dal cadavere. «Non è una favola. L’idea di rapire Lincoln venne a un aiutante del presidente confederato Jefferson Davis, che voleva tentare di salvare ciò che restava del Sud. Grant stava stringendo il cappio intorno a Richmond e Sherman marciava verso nord per attaccare alle spalle l’armata della Virginia del generale Lee: la guerra era perduta e tutti lo sapevano. L’odio del Congresso per gli Stati secessionisti non era un segreto. Davis e il suo governo erano certi che il Nord avrebbe preteso un prezzo terribile quando la Confederazione fosse stata sconfitta definitivamente. L’aiutante, il cui nome è stato dimenticato, fece la proposta folle di catturare Lincoln e di tenerlo in ostaggio perché il Sud se ne servisse per strappare condizioni più favorevoli.»

«Non era una cattiva idea», osservò Giordino mentre sedeva sul pavimento per riposare.

«Ma il vecchio Edwin Stanton rovinò tutto.»

«Rifiutò di lasciarsi ricattare», disse Pitt.

«Rifiutò anche per altre ragioni», confermò Perlmutter. «Bisogna dire, a tutto merito di Lincoln, che aveva voluto Stanton come segretario della Guerra. Lo riteneva l’uomo più adatto per quel ruolo, sebbene Stanton lo detestasse e lo definisse un gorilla. Stanton vide nella cattura del presidente una buona occasione anziché un disastro.»

«In che modo fu sequestrato Lincoln?» chiese Pitt.

«Si sapeva che il presidente faceva tutti i giorni un giro in carrozza nella campagna intorno a Washington. Un drappello della cavalleria confederata con le uniformi unioniste, al comando del capitano Brown, sopraffece la scorta di Lincoln durante una di quelle uscite e portò il presidente al di là del fiume Potomac, nel territorio tenuto dai sudisti.»

Pitt faticava a ricostruire il quadro. Un evento storico nel quale aveva sempre creduto adesso risultava una truffa, e doveva fare appello a tutta la sua forza di volontà per accettare le implicazioni di quella rivelazione. «Quale fu la reazione immediata di Stanton al rapimento di Lincoln?» chiese.

«Purtroppo per Lincoln, Stanton fu il primo a venire informato dalle guardie superstiti. Immaginò il panico in cui sarebbe piombato il Paese non appena si fosse saputo che il presidente era stato catturato dal nemico. Occultò il fatto e inventò una copertura. Arrivò al punto di dire a Mary Todd Lincoln che il marito era in missione segreta presso il quartier generale di Grant e non sarebbe ritornato per diversi giorni.»

«È difficile credere che non vi fosse una fuga di notizie», osservò Giordino in tono scettico.

«Stanton era l’uomo più temuto di Washington. Se ti faceva giurare di mantenere un segreto, tacevi fino alla morte… o a farti tacere provvedeva lui.»

«E non scoppiò la bomba quando Davis comunicò di avere Lincoln in ostaggio e presentò la richiesta di condizioni di resa favorevoli?»

«Stanton era molto astuto. Intuì il complotto confederato qualche ora dopo la cattura di Lincoln. Avvertì il generale unionista che comandava le difese di Washington e quando il corriere di Davis attraversò le linee con la bandiera bianca, venne condotto immediatamente da Stanton. Il vicepresidente Johnson, il segretario di Stato William Henry Seward e gli altri membri del gabinetto di Lincoln non seppero nulla di quanto stava accadendo. Stanton rispose segretamente a Davis rifiutando ogni negoziato e suggerendo che la Confederazione avrebbe fatto un favore a tutti se avesse affogato Lincoln nel fiume James.

«Quando ricevette la risposta di Stanton, Davis rimase allibito. Potete immaginare il dilemma. La Confederazione stava andando a pezzi; aveva prigioniero il presidente dell’Unione. Un pezzo grosso del governo nemico gli aveva detto che non gliene importava nulla, e che per quel che lo riguardava poteva tenersi Lincoln. Davis cominciò a intravedere la possibilità che gli yankee vittoriosi lo impiccassero. Il suo piano per salvare il Sud era andato a rotoli, e non voleva rendersi responsabile della morte di Lincoln: perciò decise di sbarazzarsene temporaneamente facendolo imbarcare come prigioniero sulla Texas. Sperava che la nave sarebbe riuscita a superare il blocco della Marina unionista, a portare in salvo l’oro confederato e a tenere in pugno Lincoln come pedina per i futuri negoziati quando avessero avuto la meglio persone più ragionevoli di Stanton. Purtroppo andò tutto storto.»

«Stanton inscenò l’attentato e la Texas sparì con l’intero equipaggio», concluse Pitt.

«Sì», confermò Perlmutter. «Imprigionato per due anni dopo la guerra, Davis non parlò mai della cattura di Lincoln per timore delle rappresaglie unioniste contro il Sud che stava cercando di rimettersi in piedi.»