Marx ancorò il vascello da ricerca sopra il punto del naufragio. Per sei ore Pitt e Giordino assoggettarono la nave funeraria a tutta una serie di rilevamenti elettronici e accumularono un’ampia documentazione sulle sue condizioni e sulla posizione per riferire alle autorità egiziane.
«Dio, vorrei tanto che potessimo far entrare una telecamera nella cabina e nel sarcofago.» Giordino stappò un’altra birra; ma era così emozionato che dimenticò di berla.
«Le bare interne del sarcofago dovrebbero essere intatte», rifletté Pitt. «Ma è molto probabile che l’umidità abbia rovinato la mummia. In quanto ai manufatti… Chissà? Potrebbero equivalere ai tesori di Tutankhamon.»
«Menkaurè era molto più importante di lui. Dovette portarsi nell’aldilà ben altre ricchezze.»
«Be’, tanto noi non le vedremo», disse Pitt, stiracchiandosi. «Saremo morti e sepolti da un pezzo prima che gli egiziani stanzino la somma necessaria per recuperare e conservare il relitto nel museo del Cairo.»
«Abbiamo visite», li avvertì Marx. «Una nave del servizio fluviale egiziano si sta avvicinando.»
«Qui le notizie si diffondono molto presto», commentò Giordino con aria incredula. «Chi può averli avvertiti?»
«È un normale controllo», disse Pitt. «Passeranno al centro del canale navigabile.»
«Stanno puntando diritti verso di noi», li informò Marx.
«Alla faccia del normale controllo», borbottò Giordino.
Pitt si alzò e prese un raccoglitore da uno scaffale. «Sono venuti a ficcanasare. Salirò sul ponte per mostrargli i permessi dell’Intendenza.»
Uscì dalla cabina nell’aria rovente e si fermò sul ponte scoperto di poppa. La spuma dell’onda di prua si smorzò in una serie di increspature, il rombo metallico dei diesel gemelli passò al folle, la motovedetta grigia si affiancò a meno d’un metro di distanza.
Pitt si aggrappò alla ringhiera mentre l’onda faceva dondolare il vascello e rimase a guardare con noncuranza: due marinai, con l’uniforme della Marina egiziana, si sporsero dalla fiancata, tenendo a distanza la motovedetta con i grappini imbottiti. Scorse il capitano all’interno della timoniera e rimase un po’ sorpreso nel vedere che alzava una mano in un saluto amichevole ma non accennava a salire a bordo. La sua sorpresa si trasformò in sbalordimento quando un ometto magro e solido balzò dalla frisata e atterrò sul ponte davanti a lui.
Pitt lo guardò, incredulo. «Rudi! Da dove diavolo arrivi?»
Rudi Gunn, il vicedirettore della NUMA, sorrise e gli strinse energicamente la mano. «Da Washington. Sono atterrato all’aeroporto del Cairo meno di un’ora fa.»
«E che cosa ti porta sul Nilo?»
«Mi ha mandato l’ammiraglio Sandecker per togliere te e Al dal progetto in corso. Un aereo della NUMA ci aspetta per condurci a Port Harcourt, dove incontreremo l’ammiraglio.»
«Dov’è Port Harcourt?» chiese Pitt.
«Sul delta del Niger. In Nigeria.»
«Che fretta c’è? Potevi informarci via satellite. Perché ti sei precipitato a venire qui di persona?»
Gunn agitò le mani. «Non lo so. L’ammiraglio non mi ha spiegato il motivo della segretezza e neppure di questa urgenza diabolica.»
E se Rudi Gunn non sapeva cosa aveva in mente Sandecker, allora non lo sapeva nessuno. Efficiente, esperto di logistica, Gunn si era diplomato all’accademia di Annapolis ed era stato comandante di Marina. Poi era passato alla NUMA contemporaneamente a Pitt e Giordino. Magro, le spalle strette, Gunn scrutava il mondo attraverso un paio di occhiali dalla montatura d’osso e sfoggiava quasi sempre un sorriso malizioso. Giordino lo paragonava a un agente del fisco sul punto di incastrare un evasore.
«Sei arrivato al momento giusto», disse Pitt. «Entra, qui c’è troppo caldo. C’è qualcosa che voglio mostrarti.»
Giordino voltava le spalle alla porta quando Pitt e Gunn entrarono. «Cosa volevano quei rompiscatole?» chiese in tono irritato.
«Volevano che tu crepassi», rispose Gunn ridendo.
Giordino si girò di scatto, riconobbe il visitatore e lo squadrò, sbalordito. «Oh, santo cielo!» Si alzò e strinse la mano a Gunn. «Cosa sei venuto a fare?»
«Sono venuto a trasferirvi a un altro progetto.»
«Che tempismo!»
«Lo penso anch’io», esclamò Pitt sorridendo.
«Salve, signor Gunn», disse Gary Marx affacciandosi nella cabina. «Lieto di averla a bordo.»
«Salve, Gary.»
«Sono trasferito anch’io?»
Gunn scosse la testa. «No, lei deve continuare a occuparsi di questo lavoro. Dick White e Stan Shaw arriveranno domani per rimpiazzare Dirk e Al.»
«È tempo sprecato», disse Marx. «Qui siamo pronti a concludere.»
Gunn guardò Pitt con aria interrogativa; poi comprese e sgranò gli occhi. «La nave funeraria del faraone?» mormorò. «L’avete trovata?»
«Un colpo di fortuna», spiegò Pitt. «Appena al secondo giorno di lavoro.»
«Dove?» chiese Gunn.
«Ci stai sopra in questo momento, in un certo senso. La nave è nove metri sotto la nostra chiglia.»
Pitt mostrò il modello digitale isometrico del relitto sul monitor del computer. Le ore necessarie a definire l’immagine colorata si concretizzarono in una visione vivida e particolareggiata di ogni metro quadrato della nave millenaria.
«Indescrivibile», mormorò Gunn, affascinato.
«Abbiamo registrato anche la posizione di oltre cento relitti che vanno dal 2800 avanti Cristo al 1000 della nostra era», soggiunse Giordino.
«Congratulazioni a tutti e tre», esclamò soddisfatto Gunn. «Avete ottenuto risultati straordinari, degni di comparire sui libri di storia. Il governo egiziano vi coprirà di medaglie.»
«E l’ammiraglio?» chiese Giordino. «Lui di cosa ci coprirà?»
Gunn distolse gli occhi dal monitor e li guardò con un’espressione divenuta di colpo serissima. «Vi affibbierà un lavoro rognoso, sospetto.»
«Non ha lasciato capire di cosa si tratta?» insistette Pitt.
«Non ha detto niente che avesse un senso preciso.» Gunn fissò il soffitto e si concentrò. «Quando gli ho chiesto la ragione di tanta urgenza, ha citato qualche verso. Non ricordo le parole esatte. Parlava dell’ombra di una nave e di rossa acqua stregata…»
«’I suoi bagli irridevano il mare afoso’», citò Pitt. «’Come la brina d’aprile: ma come s’estendeva l’ombra immane della nave, l’acqua incantata bruciava d’un rosso spaventoso.’ È una strofa della Ballata del vecchio marinaio di Samuel Coleridge.»
Gunn guardò Pitt con aria di rispetto. «Non sapevo che conoscessi così bene le poesie.»
Pitt rise. «Ho semplicemente imparato a memoria qualche verso, ecco tutto.»
«Chissà cos’ha in mente quel diavolo di Sandecker?» rifletté Giordino. «Fare il misterioso non è nello stile del vecchio avvoltoio.»
«No», ammise Pitt, un po’ a disagio. «Non è affatto nel suo stile.»
8.
Il pilota dell’elicottero della Massarde Entreprises si stava dirigendo a nord-est dopo essere partito dalla capitale, Bamako. Per due ore e mezzo il territorio desolato continuò a scorrere sotto di lui come uno scenario in miniatura incollato su un rotolo. Dopo due ore notò il riflesso del sole, in lontananza, sui binari d’acciaio. Si abbassò e incominciò a seguire le rotaie che sembravano proseguire verso il nulla.
La ferrovia, completata appena il mese prima, terminava nell’immenso stabilimento di smaltimento di rifiuti tossici che sorgeva nel cuore del deserto maliano. L’impianto si chiamava Fort Foureau, come un fortino della Legione Straniera francese abbandonato da molto tempo e situato a parecchi chilometri di distanza. Dal luogo dello stabilimento, i binari si estendevano per milleseicento chilometri quasi in linea retta, superavano il confine ed entravano in Mauritania prima di terminare nel porto artificiale di Capo Tafarit sull’oceano Atlantico.