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In quel momento notò il banco di nebbia che avanzava dal mare attraverso l’imboccatura della baia di Chesapeake, al di là dei forti. Se per un miracolo l’avessero raggiunto e fossero scomparsi in quella coltre grigia, avrebbero potuto seminare il branco di lupi di Porter. E in quel momento ricordò ciò che gli aveva detto Mallory a proposito del passeggero. Si sporse dal boccaporto.

«Signor Craven, è lì?»

Il primo ufficiale comparve sotto di lui e alzò gli occhi. Sembrava un orrendo spirito infernale, coperto com’era di polvere pirica, sangue e ustioni. «Sono qui, signore, e vorrei tanto non esserci.»

«Vada a prendere il passeggero che è nella mia cabina e lo porti qui, sulla casamatta. E prepari una bandiera bianca.»

Craven annuì. «Sì, signore.»

Il cannone superstite da 64 libbre e il Blakely di prua tacquero mentre la flotta unionista rimaneva indietro, impossibilitata a puntare sul bersaglio.

Tombs si preparava a rischiare il tutto per tutto con una mossa disperata, l’ultimo giro di carte. Era stordito e sofferente per le ferite, ma i suoi occhi neri ardevano più che mai. Pregò Dio che i comandanti dei forti unionisti tenessero i cannocchiali puntati sulla Texas come il capitano della New Ironsides.

«Diriga fra la prua della corazzata e Fort Wool», ordinò a Hunt.

«Come vuole, signore», rispose il capo pilota.

Tombs si voltò mentre il prigioniero saliva lentamente la scaletta e giungeva sul tetto della casamatta sventrata, seguito da Craven che stringeva un manico di scopa cui aveva legato una tovaglia bianca della mensa ufficiali.

L’uomo sembrava molto più vecchio della sua età. Il viso era scavato e teso, pallidissimo; il viso di qualcuno consumato e sfinito da anni di stress. Gli occhi profondamente incassati rispecchiavano una sorta di preoccupazione mista a pietà mentre osservava l’uniforme insanguinata di Tombs.

«È ferito gravemente, comandante. Dovrebbe scendere a farsi medicare.»

Tombs scosse la testa. «Non ho tempo. La prego di salire sul tetto della timoniera in modo che la vedano.»

Il prigioniero annuì. «Capisco il suo piano.»

Tombs girò di nuovo lo sguardo sulla corazzata e sui forti mentre un breve lampo di fuoco, seguito da un pennacchio di fumo nero e dal sibilo di un proiettile, erompeva dai bastioni di Fortress Monroe. Un grande zampillo d’acqua s’innalzò e rimase sospeso in aria, bianco e verde, prima di ricadere.

Tombs spinse con la spalla il passeggero e lo issò sul tetto della timoniera. «Si sbrighi, ormai siamo arrivati a tiro.» Poi prese la bandiera bianca portata da Craven e l’agitò freneticamente con il braccio illeso.

A bordo della New Ironsides il comandante Joshua Watkins osservava la scena al cannocchiale. «Hanno tirato fuori la bandiera bianca», commentò sorpreso.

Il primo ufficiale, il comandante John Crosby, annuì mentre guardava con un binocolo. «È maledettamente strano che abbiano deciso di arrendersi dopo la batosta che hanno inflitto ai nostri.»

All’improvviso, Watkins abbassò il cannocchiale con un’espressione incredula, controllò la lente per assicurarsi che non vi fossero macchie, e lo puntò di nuovo verso la malconcia corazzata ribelle. «Ma chi diamine…» S’interruppe per mettere meglio a fuoco lo strumento ottico. «Buon Dio», mormorò sbalordito. «Secondo lei, chi c’è sul tetto della timoniera?»

Non era facile incrinare la ferrea compostezza di Crosby, ma il suo volto cambiò di colpo. «Sembra… Ma no, è impossibile.»

I cannoni di Fort Wool aprirono il fuoco e gli enormi spruzzi d’acqua si levarono in una cortina intorno alla Texas nascondendola quasi completamente. Poi la corazzata, con splendida tenacia, eruppe dagli spruzzi e continuò ad avanzare.

Affascinato, Watkins fissava l’uomo alto e magro che stava ritto sulla timoniera. Poi assunse un’espressione d’orrore. «Signore Iddio, è lui!» Lasciò cadere il cannocchiale e si girò verso Crosby. «Segnali ai forti di cessare il fuoco. Si sbrighi!»

I cannoni di Fortress Monroe imitarono quelli di Fort Wool e spararono contro la Texas. Quasi tutti i colpi passarono alti, ma due esplosero contro il fumaiolo, aprendo grandi squarci nella struttura circolare. Gli artiglieri ricaricarono disperatamente, nella speranza di infliggere il colpo definitivo.

La Texas era appena a 200 iarde di distanza quando i comandanti dei forti segnalarono di aver ricevuto il messaggio di Watkins. I cannoni tacquero uno dopo l’altro. Watkins e Crosby corsero a prua della New Ironsides giusto in tempo per vedere chiaramente i due ufficiali nelle uniformi insanguinate della Marina sudista e l’uomo barbuto in abiti civili che li guardò con fermezza e quindi rivolse loro un saluto stanco e solenne.

Rimasero immobili. Sapevano con agghiacciante certezza che la scena cui stavano assistendo sarebbe rimasta impressa in eterno nelle loro menti. E nonostante la tempestosa controversia che più tardi sarebbe infuriata, loro e le centinaia di altri a bordo della nave e sui bastioni dei forti non ebbero mai dubbi circa l’identità di colui che avevano visto quella mattina a bordo della malconcia corazzata della Confederazione.

In preda a una soggezione impotente, quasi mille uomini assistettero al passaggio della Texas, guardando il fumo che saliva dagli oblò dei cannoni silenziosi e la bandiera sbrindellata e lacera legata alla ringhiera contorta. Non si udì un suono né uno sparo mentre la nave entrava nel banco di nebbia e scompariva per sempre dalla vista.

SPERDUTA

10 ottobre 1931
Sahara sud-occidentale

Kitty Mannock aveva la sensazione stranissima di volare a capofitto nel nulla. Era sperduta, completamente e disperatamente sperduta. Per due ore lei e il piccolo, fragile aereo erano stati sballottati nel cielo da una feroce tempesta di sabbia che nascondeva completamente il deserto. Sola in quel cielo vuoto e invisibile, doveva lottare contro strane illusioni che sembravano sbocciare dalla nube bruna e avvolgente.

Kitty inclinò la testa all’indietro e guardò attraverso il parabrezza superiore. Lo splendore arancio del sole era completamente nascosto. Poi, forse per la decima volta in dieci minuti, abbassò il finestrino laterale e sbirciò dall’abitacolo, ma non vide nulla sotto di sé se non l’immensa nube turbinante. L’altimetro indicava 1500 piedi, un’altitudine sufficiente per superare tutti i plateaux dell’Adrar des Iforas, un prolungamento del massiccio dell’Ahaggar nel Sahara.

Si affidava agli strumenti perché impedissero all’aereo di precipitare. Per quattro volte, da quando era entrata nella tempesta accecante, aveva notato una diminuzione dell’altitudine e un cambiamento di direzione, segni sicuri che stava incominciando a scendere in cerchio verso il suolo. Attenta al pericolo, ogni volta aveva riportato l’aero in assetto senza incidenti, virando fino a che l’ago della bussola era ritornato, tremando, a indicare una direzione verso sud di 180 gradi.

Kitty aveva tentato di seguire la pista Transahariana, ma l’aveva perduta di vista poco dopo essere penetrata nella tempesta di sabbia che era arrivata senza preavviso da sud-est. Impossibilitata a vedere il suolo, non aveva idea della deriva dell’aereo e non capiva per quale distanza il vento l’avesse spinta fuori rotta. Virò verso ovest e accentuò la deviazione nel tentativo vano di aggirare la tempesta.

Non poteva far nulla se non proseguire in solitudine attraverso il grande oceano di sabbia minacciosa. Era il tratto che Kitty temeva di più. Calcolava che le restassero ancora quattrocento miglia di volo prima di raggiungere Niamey, la capitale del Niger. Là avrebbe fatto rifornimento di carburante prima di continuare la trasvolata da primato fino a Città del Capo, nel Sud Africa.