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Dovettero salire un mucchio di massi per arrivare all’ingresso della grotta, evitando di toccarli con le mani nude per non scottarsi. Una piccola muraglia di sabbia aveva ostruito parzialmente l’imboccatura; s’inginocchiarono e la rimossero. Pitt dovette curvarsi per entrare, mentre Giordino avanzava nella sabbia restando eretto.

Non dovettero attendere che i loro occhi si abituassero alla luce fioca: non c’era una zona buia. La caverna non era stata scavata dal vento o dall’acqua penetrata nel calcare. Una massa di macigni, ammonticchiati l’uno sull’altro durante un grande sommovimento geologico del Paleozoico, aveva formato una grotta poco profonda. Il centro era illuminato dai raggi del sole che passavano attraverso le aperture in alto.

Mentre Pitt si addentrava, due grandi figure umane parvero balzargli incontro dall’ombra. Indietreggiò d’istinto e urtò Giordino.

«Mi hai pestato il piede», borbottò questi.

«Scusa.» Pitt indicò una parete liscia dove una figura umana stava per scagliare una lancia contro un bufalo. «Non immaginavo che avessimo compagnia.»

Giordino sbirciò al di sopra della spalla dell’amico la figura umana, sbalordito all’idea di trovarsi di fronte a un’opera d’arte nella zona più desolata e spopolata del mondo. Si guardò intorno e vide una vera galleria di arte preistorica e antica che mostrava secoli di stili artistici, adottati dalle varie culture che si erano succedute.

«È tutto vero?» mormorò.

Pitt si avvicinò ai misteriosi dipinti rupestri ed esaminò una figura alta tre metri con una maschera carica di fiori. La sete e la stanchezza l’abbandonarono mentre l’osservava, stupito. «È un’opera d’arte, sicuro. Vorrei essere un archeologo e poter interpretare i vari stili e le culture. I dipinti più antichi incominciano in fondo alla grotta, e le varie culture avanzano cronologicamente verso tempi più recenti.»

«Come l’hai capito?»

«Dieci o dodicimila anni or sono il Sahara aveva ancora un clima umido e tropicale. La vegetazione abbondava. Era molto più ospitale.» Pitt indicò un gruppo di figure che scagliavano lance contro un gigantesco bufalo ferito dalle corna enormi. «Deve essere il dipinto più antico perché mostra i cacciatori che uccidono un bufalo grosso poco meno di un elefante, d’una specie estinta ormai da molto tempo.»

Pitt passò a un altro dipinto che copriva diversi metri quadrati. «E qui ci sono mandriani con il bestiame», disse indicando le immagini. «Dovremmo essere intorno al 5000 avanti Cristo. Questa scena mostra una composizione più creativa, e una maggiore attenzione al dettaglio.»

«Un ippopotamo», esclamò Giordino mentre osservava un disegno colossale che copriva un intero lato d’una roccia piatta. «Questa parte del Sahara non deve vederne da molto tempo.»

«No, almeno negli ultimi tremila anni. È difficile immaginare che un tempo quest’area fosse una sconfinata prateria dove vivevano animali come gli struzzi, le antilopi e le giraffe.»

Mentre proseguivano e sulla roccia si snodava il trascorrere del tempo nel Sahara, Giordino commentò: «A questo punto si direbbe che gli artisti locali abbiano smesso di ritrarre il bestiame e la vegetazione».

«Le piogge cessarono e la terra cominciò a inaridirsi», spiegò Pitt, che ricordava le nozioni acquisite durante un corso di storia antica. «Dopo quattromila anni di pascolo incontrollato la vegetazione sparì e il deserto cominciò ad avere la meglio.»

Giordino procedette verso l’entrata, e si fermò davanti a un altro dipinto. «Questa è una corsa di carri.»

«I popoli venuti dal Mediterraneo introdussero i cavalli e i carri prima del 1000 avanti Cristo», spiegò Pitt. «Ma non immaginavo che fossero penetrati nel deserto.»

«E poi che cosa viene, professore?»

«Il periodo del dromedario», rispose Pitt, che era davanti alla lunga scena di una carovana che mostrava una sessantina di dromedari in una fila serpeggiante. «Furono introdotti in Egitto dopo la conquista persiana del 525 avanti Cristo. Con i dromedari, le carovane romane attraversavano il deserto dalla costa a Timbuctu; e da allora i dromedari sono sempre rimasti grazie alla loro incredibile resistenza.»

In un periodo più recente i dipinti con i dromedari diventavano più rozzi e rudimentali delle opere precedenti. Pitt si fermò davanti a un’altra serie di scene e studiò una battaglia che era stata incisa e poi dipinta d’un magnifico rosso ocra. I guerrieri dalle barbe quadrate, che brandivano lance e scudi e stavano a coppie su carri a due ruote trainate da quattro cavalli, attaccavano un esercito di arcieri negri le cui frecce piovevano dal cielo.

«Bene, signor Sotutto», disse Giordino. «Spiegami un po’ questa.»

Pitt si avvicinò. Per qualche secondo fissò sconcertato il dipinto. L’immagine era tracciata in uno stile lineare, infantile. Una imbarcazione avanzava sul fiume che brulicava di pesci e coccodrilli. Era difficile immaginare che l’inferno circostante fosse stato un tempo una regione fertile dove, in fiumi ora prosciugati, nuotavano i coccodrilli.

Si avvicinò di più, con un lampo d’incredulità negli occhi. Non erano i coccodrilli o i pesci ad attirare la sua attenzione: era il vascello a galla fra i ghirigori che rappresentavano la corrente d’un fiume. Avrebbe dovuto essere un’imbarcazione di tipo egiziano, invece era completamente diversa, molto più moderna. La sagoma che emergeva dall’acqua era una piramide tronca, una piramide con il vertice tranciato e parallelo alla base. Dalle fiancate sporgevano tubi rotondi e numerose figure minuscole stavano sul ponte in varie pose, sotto quella che sembrava una bandiera tesa dal vento. La nave si estendeva per circa quattro metri sulla superficie scabra della roccia.

«Una corazzata», esclamò Pitt, sbigottito. «Una corazzata della Confederazione.»

«Non è possibile», disse Giordino, completamente frastornato.

«Invece lo è», ribatté bruscamente Pitt. «Deve essere quella di cui ci ha parlato il vecchio cercatore.»

«Allora non è un mito.»

«Gli artisti locali non avrebbero potuto raffigurare qualcosa che non avevano mai visto. Ha persino la bandiera da combattimento confederata che fu adottata verso la fine della guerra di secessione.»

«Forse l’ha dipinta un ufficiale della Marina dei ribelli, capitato nel deserto dopo la fine del conflitto.»

«Non avrebbe imitato lo stile locale», disse pensosamente Pitt. «In questa scena non c’è niente che faccia pensare a un’influenza occidentale.»

«E cosa ne dici delle due figure in piedi sulla casamatta?» chiese Giordino.

«Uno è senza dubbio un ufficiale. Forse il comandante.»

«E l’altro?» mormorò Giordino con una smorfia d’incredulità.

Pitt esaminò dalla testa ai piedi la figura accanto al comandante. «Chi credi che sia?»

«Non mi fido dei miei occhi. Sono bruciati dal sole. Speravo che me lo dicessi tu.»

Pitt cercava di far mente locale su tutta una serie di eventi che gli sfuggivano completamente. «Chiunque sia stato l’artista», mormorò, affascinato, «ha dipinto un ritratto molto somigliante di Abraham Lincoln.»

42.

Il riposo nella frescura della grotta ritemprò Pitt e Giordino al punto che si sentirono in grado di tentare la traversata del territorio ostile che li separava dalla pista Transahariana. Accantonarono per il momento tutti i pensieri e le congetture sulla leggendaria corazzata nel deserto e si prepararono mentalmente a tentare un’impresa quasi impossibile.

Verso la fine del pomeriggio Pitt uscì dalla grotta sotto il fuoco implacabile del sole per piantare in terra il tubo che usava come bussola. Dopo pochi minuti in quell’atmosfera da forno ebbe la sensazione di struggersi come una candela di cera. Scelse una grande roccia che spuntava all’orizzonte, all’incirca cinque chilometri più a est, come meta per la prima ora di cammino.