«In Algeria, naturalmente. Dove credevate di essere?»
«Qualunque posto va bene, purché non sia il Mali.»
L’arabo fece una smorfia. «In Mali c’è gente cattiva. Un pessimo governo. Ammazzano tanti innocenti.»
«Dov’è il telefono più vicino?» chiese Pitt.
«Adrar è trecentocinquanta chilometri a nord. Là hanno sistemi di comunicazione.»
«È un villaggio?»
«No, è una città grande. Progredita. Hanno un aeroporto e un regolare servizio passeggeri per Algeri.»
«È là che sta andando?»
«Sì. Ho portato un carico di scatolame a Gao, e sto tornando ad Algeri.»
«Può darci un passaggio fino ad Adrar?»
«Sarà un onore.»
Pitt guardò il camionista e sorrise. «Come si chiama, amico mio?»
«Ben Hadi.»
Pitt gli strinse calorosamente la mano. «Ben Hadi», disse, «lei non lo sa, ma salvando la vita a noi l’ha salvata ad altre cento persone.»
PARTE QUARTA
ECHI DI ALAMO
44.
«Sono usciti!» gridò Hiram Yaeger piombando nell’ufficio di Sandecker con Rudi Gunn alle calcagna.
Sandecker, che era tutto preso dal preventivo di un progetto sottomarino, alzò gli occhi senza capire. «Usciti?»
«Dirk e Al. Hanno attraversato il confine e sono in Algeria.»
Di colpo, Sandecker assunse l’espressione di un bambino al quale è stato annunciato l’imminente arrivo di Babbo Natale. «Come l’avete saputo?»
«Hanno telefonato dall’aeroporto di una città del deserto che si chiama Adrar», rispose Gunn. «La comunicazione era pessima, ma abbiamo capito che stavano partendo per Algeri con un volo commerciale. Appena arriveranno, si rimetteranno in contatto tramite la nostra ambasciata.»
«Hanno detto altro?»
Gunn si rivolse a Yaeger. «Tu hai parlato con Dirk prima che arrivassi.»
«La voce di Pitt si sentiva malissimo», disse Yaeger. «Il sistema telefonico del deserto algerino è poco più avanzato del metodo dei due barattoli collegati da uno spago cerato. Se non ho capito male, ha insistito perché lei chieda che una squadra delle Forze Speciali torni con lui in Mali.»
«Ha spiegato perché?» chiese incuriosito Sandecker.
«La voce era troppo confusa, la linea era disturbata. Quel poco che ho capito mi è sembrato pazzesco.»
«Pazzesco in che senso?» chiese Sandecker.
«Ha accennato alla necessità di salvare donne e bambini prigionieri in una miniera d’oro. Aveva un tono che faceva pensare alla massima urgenza.»
«È inspiegabile, davvero», disse Gunn.
Sandecker fissò Yaeger. «Dirk ha chiarito come sono fuggiti dal Mali?»
Yaeger sembrava sperso in un labirinto. «Non lo ripeta in gito citandomi come fonte, ammiraglio, ma giurerei che abbia detto che hanno attraversato il deserto su una barca a vela con una donna che si chiama Kitty Manning o Manncock.»
Sandecker tornò a sedersi e sorrise con fare rassegnato. «Conosco abbastanza Pitt e Giordino per sapere che sono capaci di averlo fatto davvero.» Poi socchiuse gli occhi e assunse un’espressione interrogativa. «È possibile che il nome fosse Kitty Mannock?»
«Non si capiva bene, ma, sì, credo di sì.»
«Kitty Mannock era un’aviatrice famosa degli anni ’20», spiegò Sandecker. «Stabilì numerosi primati di velocità sulle lunghe distanze in mezzo mondo prima di scomparire nel Sahara. Mi pare che accadesse nel 1931.»
«E cosa potrebbe avere a che fare con Pitt e Giordino?» chiese Yaeger.
«Non ne ho la più pallida idea», ammise Sandecker.
Gunn consultò l’orologio. «Ho controllato la distanza fra Adrar e Algeri: sono poco più di milleduecento chilometri. Se in questo momento sono in volo, dovrebbero farsi vivi all’incirca fra un’ora e mezzo.»
«Dia l’ordine al dipartimento Comunicazioni di aprire una linea diretta con la nostra ambasciata ad Algeri», disse l’ammiraglio. «E raccomandi che sia al sicuro dalle intercettazioni. Se Pitt e Giordino hanno scoperto qualche dato d’importanza vitale sulla contaminazione che provoca la marea rossa, non voglio che vengano a saperlo i mass media.»
Quando la chiamata di Pitt arrivò alla rete di comunicazioni della NUMA, Sandecker e gli altri, incluso il dottor Chapman, erano raccolti intorno a una console che registrava la conversazione e amplificava la voce di Pitt tramite un sistema di altoparlanti, in modo che potessero parlare con lui senza bisogno di microfoni e ricevitori.
Quasi tutte le domande che si erano accumulate durante gli ultimi novanta minuti trovarono risposta nel meticoloso rapporto di Pitt, che durò un’ora. Tutti ascoltavano attentamente e prendevano appunti, mentre il loro interlocutore riferiva gli avvenimenti tremendi e la lotta epica che lui e Giordino avevano sostenuto dopo essersi separati da Gunn nel fiume Niger. Descrisse nei particolari la scoperta delle attività fraudolente di Fort Foureau, e scandalizzò tutti quando rivelò che il dottor Hopper e gli scienziati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità erano vivi, tenuti in schiavitù nelle miniere di Tebezza assieme agli ingegneri francesi di Massarde e alle loro mogli e ai loro figli, oltre a una ventina di stranieri sequestrati e di avversali politici del generale Kazim. Concluse il rapporto parlando del fortunato ritrovamento di Kitty Mannock e del suo aereo mentre attraversavano a piedi il deserto. Gli ascoltatori non seppero trattenere un sorriso quando raccontò della costruzione del veicolo a vela.
Adesso gli uomini riuniti intorno alla console capivano perché Pitt aveva chiesto di tornare nel Mali con un contingente armato. Le rivelazioni sulle miniere d’oro di Tebezza e sulle condizioni disumane che vi regnavano li avevano sgomentati. Ma erano ancora più sorpresi nel sentir parlare dei depositi sotterranei dei rifiuti nucleari e tossici a Fort Foureau. La scoperta che il modernissimo impianto solare era una frode fece apparire sui loro volti smorfie di preoccupazione, e ognuno di loro incominciò a domandarsi quanti altri impianti dello stesso genere, sparsi in tutto il mondo, erano in realtà soltanto coperture.
Poi Pitt chiarì i rapporti criminosi fra Yves Massarde e Zateb Kazim. Ripeté in ogni dettaglio ciò che aveva sentito durante i suoi incontri con Massarde e O’Bannion.
Poi vennero le domande. Il primo fu Chapman. «È arrivato alla conclusione che Fort Foureau sia l’origine della contaminazione che causa la marea rossa?» chiese.
«Giordino e io non siamo esperti di idrologia delle acque sotterranee», rispose Pitt. «Ma siamo certi che i rifiuti tossici nascosti sotto il deserto filtrino e raggiungano direttamente le falde acquifere che scorrono sotto l’antico letto di un fiume sino a gettarsi nel Niger.»
«Com’è possibile che siano stati effettuati grandi scavi sotterranei senza che gli ispettori degli organismi ambientalisti internazionali si siano accorti della cosa?» domandò Yaeger.
«E senza che risultasse dalle foto scattate dai satelliti?» soggiunse Gunn.
«La chiave sta nella ferrovia e nei container», rispose Pitt. «Gli scavi sono iniziati durante la costruzione del reattore solare, degli impianti fotovoltaici e delle file di concentratori. Solo dopo che è stato costruito un grande edificio per nascondere l’operazione, i treni che arrivavano con i rifiuti nucleari e tossici hanno incominciato a tornare in Mauritania carichi di terriccio e roccia estratti dagli scavi e usati per un terrapieno. A quanto abbiamo potuto osservare Al e io, Massarde ha sfruttato le caverne calcaree già esistenti.»
Tutti rimasero in silenzio per qualche minuto, poi Chapman disse: «Quando la cosa si risaprà, lo scandalo e le indagini non finiranno più».