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Il telefono color crema squillò. Sollevandolo con attenzione, tenendo le dita rigidamente tese, la figura davanti alla toilette lo tenne all’orecchio per un attimo, poi disse: — Certo. Fatelo salire.

Si esaminò le unghie, le agitò, guardò il suo riflesso nello specchio, allungò la mano verso il negligé grigio, e… il sorriso che rivolse a se stessa nello specchio si fece malizioso (vi fu anche una fuggevole strizzatina d’occhi di complicità) e un po’ crudele. Ritrasse la mano, l’incrociò sopra l’altra appoggiata sulle ginocchia e rimase seduta là, eretta e compita, “segnando il tempo”. Ma il suo sorriso continuò a danzare.

Attraverso la porta aperta, Carr poté udire il ronzio della cabina che saliva.

La cabina si arrestò. Vi fu lo scatto morbido dello sportello automatico che si apriva. Carr aspettò d’udire un rumore di passi. Non ve ne furono.

Quello era il suo ascensore, pensò con un brivido: l’ascensore con cui lui avrebbe dovuto salire.

D’un tratto Marcia si voltò. — Tesoro — disse, alzandosi in fretta.

Carr sentì i capelli rizzarglisi in testa. Sentì che non stava guardando lui, ma qualcosa proprio dietro a lui. Stava guardando lui che stava entrando dalla porta del soggiorno. E parve godersi in silenzio la sorpresa che la sua nudità gli avrebbe dato.

Poi si rese conto che lei lo stava effettivamente guardando, e che quello era il viso di Marcia viva, vitale e pieno di consapevolezza, proprio come lui lo ricordava, e che qualunque altra cosa era il frutto della sua sciocca immaginazione, e perché diavolo si era tanto stupito che lei non l’avesse notato prima, quand’era arrivato fin là in maniera tanto furtiva?

Quell’impeto di sollievo gli fece d’improvviso tremare le ginocchia.

Tese le braccia. — Marcia!

3

Mentre Carr si protendeva a baciarla, Marcia arretrò, con un movimentò flessuoso, sottraendosi alle mani che le aveva appoggiato alle spalle e gli ispezionò il viso.

— Hai un bell’aspetto — gli disse. — Su, prepàraci qualcosa da bere mentre m’infilo un vestito.

Si allontanò un po’ rigida, chiudendosi alle spalle la porta della camera da letto. Carr trovò in cucina una bottiglia di rye. Prima d’ogni altra cosa, ingollò subito un bicchierino. Quella piccola esperienza l’aveva scosso. Era stato come quel momento della sua infanzia, quando tutto gli era parso stranamente vivido ma allo stesso tempo irreale. Soltanto che… adesso era stato peggio. Gesso su una lavagna nera. L’impressione di trovarsi fuori e di osservare attraverso una finestra gli adulti che leggevano i giornali in un soggiorno, di notte.

Mise un contenitore di ghiaccio nel lavello per staccare i cubetti, rintracciò il ginger ale per sé. Marcia, naturalmente, avrebbe aggiunto acqua, ma non troppa.

Aveva pensato di parlarle dell’esperienza da lui vissuta in termini scherzosi. Ripensandoci, decise di non farlo. Per lo meno non subito. Talvolta Marcia non era interessata alle faccende soggettive. Lo era di più in quelle pratiche. La gente, i soldi, le ultime novità… cose del genere insomma. Posti di lavoro.

Carr corrugò la fronte, infelice, ricordando la sua telefonata.

Impiegò un sacco di tempo a preparare i drink, ma la porta della camera da letto era ancora chiusa quando li portò fuori. Si sedette reggendoli in mano senza assaggiare il suo! Era un po’ come aspettare nell’anticamera d’un ufficio.

Quando Marcia entrò, balzò in piedi sorridendo. — Senti, andiamo alla festa dei Pendleton venerdì? Dovrebbe essere interessante.

Marcia annuì. — Sì. Ed è là che incontrerai Keaton Fisher.

Carr cercò di non sentire quella frase.

Marcia assaggiò il suo drink. Si era infilata uno slip nero, ma niente reggiseno.

— Va tutto bene? — le chiese lui.

— Certo — rispose Marcia. — Carr quest’idea di Keaton…

— Senti Marcia — cominciò a spostarsi così da venirsi a trovare in piedi davanti a lei — questo pomeriggio mi è capitata la cosa più strana della mia vita.

— …è straordinaria — concluse Marcia.

Carr rinunciò. — Be’, di che cosa si tratta esattamente? — chiese, accennando a sedersi accanto a lei. Ma Marcia si girò verso di lui cosicché dovette prender posto all’altra estremità del divano, mantenendo tra loro una distanza da discussione d’affari.

— Tanto per cominciare, tutto questo è confidenziale — cominciò lei. — Keaton mi ha chiesto di non dirlo a nessuno. Dovrai fingere di sentirlo da lui di prima mano venerdì sera. — Fece una pausa. — È un servizio di consulenza editoriale.

— Cosa sarebbe?

— Si prendono contatti con riviste d’ogni genere, quotidiani, giornali specializzati e così via, che siano in cattive acque, si analizzano le loro difficoltà, si conducono indagini sui lettori e sugli inserzionisti, si rimodella la loro politica e si modernizzano i metodi, gli si iniettano nuove idee… in breve, gli si vendono i consigli che li rimetteranno in piedi.

Carr cercò di dar l’impressione di rifletterci su profondamente. Marcia continuò senza fermarsi: — Keaton ha preparato i suoi piani. Li ha elaborati con molta cura. Ha individuato alcuni potenziali primi clienti: pubblicazioni mal gestite che, è convinto, sarà facile migliorare. In questo modo ti farai una reputazione fin dall’inizio. Una volta che la vendita di quelle prime pubblicazioni comincerà a salire vedrai come cominceranno a fioccare le richieste di sempre nuovi clienti! Anche se dovrai perderci un po’ di soldi per riuscirci, ne sarà valsa la pena.

Carr corrugò la fronte. — Non so — disse scandendo le parole. — Chi pubblica riviste e giornali ha le proprie idee. Non ripongono molta fiducia nel giudizio degli estranei.

Marcia sorrise con un’ombra di compatimento appena accennata. — La maggior parte dei direttori sanno che non possono avere una redazione all’altezza di Life o del Post, semplicemente perché non sono in grado di pagare la somma necessaria. Ma possono avere un servizio di consulenza editoriale altrettanto buono, poiché dozzine di altri editori contribuiranno a sostenere le spese.

Carr scrollò le spalle. — Se fossimo così in gamba come Life o il Post, perché non dovremmo lanciare una rivista tutta nostra?

Questa volta Marcia non sorrise, anche se questa volta l’accenno al compatimento era, se possibile, ancora più marcato. — Di nuovo obiezioni. Sempre obiezioni. Adesso mi dirai che i tuoi interessi non vanno in quella direzione. O che non è il momento giusto per tentare nuove imprese.

— Oh — replicò lui — posso capire come tutto questo vada bene per Keaton Fisher. Ma io dove entro in scena?

— È ovvio. Keaton non sa maneggiare la gente mentre tu sei un esperto. Non si tratterà d’un servizio puramente editoriale. Tu ti occuperai anche di rimodellare le abitudini dell’ufficio e del personale redazionale.

— Capisco — annuì Carr lentamente. — Be’, devo rifletterci. Ehi, che ne diresti di un altro drink?

Marcia tirò indietro il suo bicchiere.

— Ma cosa c’è di male se voglio rifletterci? Non lo vedrò fino a venerdì, hai detto.

— Cosa c’è che non va? — Marcia si rizzò sul divano. — Semplicemente, non è affatto questione di rifletterci. Non vorrai paragonare il tuo attuale lavoro con la proposta di Keaton.