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Ben presto un’eccitazione infuriante, dimenticata da parecchi anni, afferrò Carr nella sua morsa. Era tornato in quel piccolo implacabile universo in cui il significato delle cose si riduceva agli stratagemmi in cui le torri merlate stabiliscono intangibili pareti difensive, gli alfieri sgusciavano astutamente al di là delle irte barricate e i cavalli balzano fuori in improvvisi attacchi sul fianco, come se sbucassero da tortuosi passaggi segreti medievali.

Giocarono tre partite lente e spietate. La ragazza vinse le prime due, ma Carr era troppo intento al gioco per dispiacersene troppo. Non aveva mai visto una donna giocare con tanta asessuata concentrazione. Sedeva sporgendosi in avanti in un modo che metteva in evidenza la sua figura esile, i piedi sul traverso della sedia, le ginocchia congiunte, la testa protesa come quella di un uccello. Con una mano si sorreggeva il gomito. Fra le due dita dell’altra mano si arricciava il fumo della sigaretta. Il suo volto era allo stesso tempo teso e sereno: Carr pensò al millenario busto di Nefertiti, la principessa egiziana morta da decine di secoli, come se Jane si fosse smarrita in una calma prossima all’eternità o alla tomba.

Alla fine lui vinse la terza partita, il suo re riuscì a eliminare in extremis l’ultimo pedone che le era rimasto. Doveva essere molto tardi, era quasi l’alba quando finirono.

La ragazza si lasciò andare contro lo schienale massaggiandosi il viso.

— Non c’è niente come gli scacchi — farfugliò — per distogliere la mente da altre cose. — Lasciò ricadere le mani.

Scesero le scale. Una vecchia inginocchiata stava lavando stancamente il pavimento dell’atrio, la testa china come se lo stesse facendo da sempre.

Giunti in strada si fermarono incerti sulla direzione da prendere. Faceva molto freddo.

— Vorrei accompagnarvi fino a casa — disse Carr.

Le sue, labbra formarono la parola “No” ma non la disse. Invece si voltò a guardarlo e, un attimo dopo: — D’accordo. Ma è una lunga camminata.

Il raccordo anulare era deserto salvo per la gelida oscurità e il vento rabbioso. Camminarono in fretta. Non si dissero molto. Il braccio di lui era stretto a quello di lei. Attraversarono il fiume sopra il ponte Michigan, là dove il vento si precipitava come in un canale spalancato. Attraccata forse un isolato più avanti lungo il fiume, c’era una massa nera che a Carr parve la chiatta a motore che aveva visto quella sera sul presto. Adesso pareva una barca funebre, a forma di bara, costruita per trasportare feretri: un simbolo della fine.

La vaga idea che Carr aveva avuto di diventare amico di quella ragazza, di risolvere il mistero della sua esistenza, di aiutarla a prendere un vero controllo sulla sua vita si spense nella gelida marea della notte. No, era Marcia la sua ragazza, in qualche modo avrebbe ricucito le cose con lei. Quella era soltanto… una notte bizzarra.

Come se avesse percepito i suoi pensieri, Jane si strinse ancora di più a lui.

Svoltarono in una strada dove alcune grandi case si nascondevano dietro allo spazio nero e agli alberi. Attraversarono un’altra strada, passando davanti a un lampione di stile arcaico con uno dei pannelli di vetro rotto, così da proiettare curiose lance luminose. Poi gli alberi si racchiusero di nuovo intorno a loro come muraglie e divenne ancora più buio.

La ragazza si fermò davanti a un alto cancello di ferro semiaperto tra due alti pilastri.

Tutt’a un tratto Carr vide l’immagine che la sua mente aveva cercato a tentoni per tutta la notte. Andava a pennello a Jane, con i suoi vestiti in disordine, i suoi modi di fare decisi, quasi imperiosi. Era la figlia d’un uomo molto ricco, troppo protetta, nevropatica, futilmente ribelle, tiranneggiata e tirannica con parenti e servitori. Il tutto mescolato, in maniera irrimediabilmente futile, così come soltanto il denaro può consentire.

— È stato così bello — disse la ragazza con voce soffocata, senza guardarlo. — Così bello fingere. — I suoi singhiozzi quasi inaudibili (se tali erano) si spensero.

Sempre senza guardarlo gli strinse la mano, restando dritta vicino a lui, premendo contro di lui il fianco, come per trovare il coraggio di lasciarlo entrare. Carr si girò verso di lei, l’abbracciò, e quando la ragazza sollevò il viso la baciò sulle labbra.

Lei si abbandonò a quel bacio e Carr si rese conto che stava reagendo fisicamente. Il desiderio che Marcia gli aveva acceso la sera prima ritornò in lui con inaspettata violenza. Jane fece un blando tentativo di staccarsi da lui e Carr spostò rapidamente la mano sul fondo della schiena di lei premendola a sé, mentre con l’altra mano faceva ricadere quella di lei, accarezzandole la nuca senza interrompere il bacio.

Allora lei si tirò indietro, con una sorta di allegro rantolo, e lo gratificò d’uno sguardo quasi comico come se stesse per rivolgergli una domanda sbalordita. Lui annuì mesto e abbassò lo sguardo, diede in una scrollatina di spalle come per dire: “Non avevo progettato che accadesse”.

— Oh signore — disse la ragazza, con una costernazione ancora venata di comicità. — Senti Carr, fa troppo freddo qua fuori, e semplicemente non posso chiederti di salire, ma non posso lasciarti così. — Un’espressione maliziosa le affiorò nello sguardo, e le tornò un po’ dell’allegria di prima mentre gli afferrava una mano. — Ma prima cerchiamo un po’ d’ombra.

E mentre lei lo trascinava attraverso il cancello, dietro uno dei grandi pilastri, gli disse in fretta, in tono avido: — Quando avevo dodici anni, un mio cugino era venuto ad abitare con noi ed eravamo diventati grandi amici. Lui usciva per i suoi primi appuntamenti e, come puoi immaginare, avevo cominciato a interessarmi moltissimo alle sue esperienze erotiche, ai suoi progressi amatori insomma. Quand’era via per un appuntamento, io rimanevo sveglia e poi sgusciavo nella sua stanza per sentire com’era andata, se aveva fatto oppure no centro e come. Adesso, aspetta un momento…

L’aveva fatto arretrare oltre il pilastro, dietro una macchia d’arbusti. Frugò nella borsetta, poi sibilò tra i denti: — Dannazione! — Alzò lo sguardo. Carr vide qualcosa di pallido scivolare tra gli arbusti, gli occhi di lei si allargarono. Proprio quello che cercavo! — esclamò con un sorriso mentre, con fare impudente, gli sfilava il fazzoletto dal taschino della giacca, stringendone l’angolo fra il mignolo e l’anulare, per poi stringerlo a pugno nella mano.

Riprese a parlare: — Quando non aveva fatto centro, la qual cosa accadeva molto spesso, e ne soffriva perché era tutto “arrapato” come si esprimeva lui, mi aveva insegnato come dovevo fare per metterlo a posto, dargli una mano, potresti dire.

Carr scelse quel momento per cominciare a sbottonarle la parte alta del giubbetto e la blusa sottostante. Sentì la chiusura lampo dei calzoni che gli veniva abbassata, e le punte fredde del suo indice, pollice e medio che strisciavano fino alla radice del suo pene, girandogli intorno con competenza, talvolta accarezzandolo, talvolta andando in profondità, talvolta sfiorandolo come una piuma. Carr rovesciò la mano con cui l’aveva sbottonata e la spinse delicatamente verso il basso, nel caldo spazio fra le sue piccole mammelle che esplorò in entrambe le direzioni fino ai capezzoli sorprendentemente grandi. Il tempo passò mentre erano intenti nella loro attività. Col naso freddo e la bocca ardente si strofinarono reciprocamente il viso. Lui le toccò i capezzoli con la levità d’una piuma e sentì le areole sollevarsi e indurirsi. I polpastrelli delle dita di lei, ancora freddi, si mossero verso il suo glande e ne tirarono indietro completamente il prepuzio teso, così da poterne seguire il solco fino alla base. Le dita di lui guizzarono da un capezzolo all’altro, accarezzando e premendo ciascuno di essi tutt’intorno, mentre l’altra mano s’infilava tardivamente dentro la gonna, passandole sopra il ventre incavato e la pelle sottostante, sorprendentemente rasata. Trovò la sua fessura, la clitoride e l’accarezzò. Lei fece scivolare in basso il prepuzio, poi lo spinse verso l’alto. Il tempo galoppava, altre cose accaddero, la sofferenza era squisita. Lei rantolò, lui eiaculò e lei accolse il suo seme nel fazzoletto, con una risatina. Lui gemette, ma solo un po’.