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Passarono alcuni istanti e lei si ritrasse.

— Per favore, non entrare con me — gli bisbigliò. — E per favore, non fermarti a guardare.

Carr sapeva perché. La ragazza non voleva che lui vedesse le luci che si accendevano, imperiose e agitate, che lui udisse, forse, l’inizio d’una filippica fremente e torturante rivoltale a mo’ di accusa. Era la sua ultima briciola di libertà: lasciarlo con l’illusione di essere libera.

Le baciò con trasporto la mano complice, poi con delicatezza la prese fra le braccia. Nel buio, sentì le lacrime sulla guancia fredda di lei inumidire la sua.

Poi lei ruppe l’abbraccio. Carr udì un rumore di passi in corsa lungo il vialetto di ghiaia. Si girò e si allontanò in fretta.

Nel cielo, attraverso i neri profili degli alberi, traluceva il primo pallore dell’alba. L’estasi, o la sua ombra, pulsò e ondeggiò nella notte che si andava rischiarando.

4

Attraverso gli occhi appesantiti dal sonno, ridotti a due fessure, Carr vide le lancette nere dell’orologio che invocavano, rigide, la collera del cielo sui tiratardi. La stanza era invasa dal sole.

Ma Carr non si scagliò fuori dal letto per infilarsi a spron battuto i vestiti e precipitarsi al centro soltanto perché erano le dieci e dieci. Né cominciò a riflettere sul modo in cui avrebbe potuto far pace con Marcia.

Invece sbadigliò e chiuse di nuovo gli occhi, assaporando la sensazione d’indipendenza e di fiducia in se stesso, la libertà dell’ansia che l’aveva invaso.

Era inconsueto che una ragazza così strana e neurotica avesse potuto dargli tanto.

Senza fretta spinse le gambe fuori dal letto e si rizzò a sedere sfregandosi gli occhi. Qualunque cosa lei gli avesse dato, ne aveva certamente avuto bisogno. Signore, si era ridotto in un tale stato mentale. Non dormiva abbastanza, i suoi nervi erano a fior di pelle, provava ostilità nei confronti del suo lavoro, faceva troppi sforzi per tenersi al passo col mondo: erano sufficienti poche banalità per farlo tremare, un tranquillo ispettore al magnetismo per farlo diventare un codardo, e la splendida occasione che Marcia gli aveva fatto balenare davanti agli occhi per farlo scappare. Adesso, tutto questo gli appariva ridicolo. Provava l’intensa sensazione di essere tornato sul binario giusto.

Malgrado quanto le doveva, la notte appena trascorsa cominciava già a diventar nebulosa nella sua mente, come se si fosse trattato d’un episodio che non era appartenuto di diritto alla sua vita: un tassello d’esperienze intimo ma isolato, incorniciato come una fotografia.

L’agente avrebbe dovuto avere più esperienze come quella. Aiutavano a “rompere il ritmo”.

Sogghignando si alzò in piedi, fece il bagno e si rase con comodo.

Decise che avrebbe fatto colazione in centro. Qualcosa di speciale. Senza affrettarsi sarebbe andato in ufficio all’incirca all’ora in cui iniziava il normale intervallo per il pranzo.

L’aria fresca del lago, riscaldata dal sole, entrava dalle finestre aperte. Riscoprì i piaceri dimenticati nella consueta, trita cerimonia di scegliere camicia e cravatta.

Scese le scale con passo scattante. Questa volta il Carr Mackay dello specchio era una controparte briosa e rassicurante, malgrado gli occhi cerchiati e i capelli grigi che spuntavano qua e là. Salutò l’immagine con un distratto cenno del capo.

Aveva quasi avuto l’intenzione di permettersi un tassi fino al raccordo anulare. Ma cambiò idea appena uscito. Il sole e l’aria tersa, il delicato marrone degli edifici, l’azzurro del lago e del cielo e una diffusa voglia di sciogliere i muscoli, quando perfino i vecchietti incartapecoriti strisciavano fuori dai loro gusci, erano troppo attraenti. Si sentiva fresco e scattante: c’era tempo in abbondanza. Sarebbe andato a piedi.

La città gli si mostrava nel suo aspetto migliore. Provò piacere nel sentire i movimenti calmi ma allo stesso tempo elastici del suo corpo mentre ispezionava, come se fosse un dio giunto sulla Terra per un breve soggiorno, la scena mutevole e la gente che passava.

Se la vita aveva un ritmo, pensò Carr, questo si era ridotto al pigro mormorio d’una corda vibrante.

La sua mente rivide oziosamente gli avvenimenti della scorsa notte. Si chiese se sarebbe riuscito a ritrovare la casa di Jane. Non c’era dubbio che fosse un posto davvero imponente. La sua ipotesi sulla ricchezza della ragazza aveva colpito nel segno.

Ma non provava curiosità. Già Jane cominciava a sembrargli una ragazza conosciuta in sogno. Si erano incontrati, aiutati a vicenda, accomiatati. Un episodio perfetto ma concluso. Perché mai tanta gente voleva che gli incontri conducessero a qualcosa? Spesso vediamo le persone al loro meglio la prima volta. Perché insistere su nuovi contatti umani finché si trasformano in una monotona amicizia?

Nell’attraversare il ponte Michigan, si guardò intorno distrattamente cercando con lo sguardo la chiatta nera, ma non la vide da nessuna parte. — In lontananza, il lago era abbacinante. Vicino al ponte alcuni inservienti stavano pulendo un battello turistico. I grattacieli svettavano nell’aria coi loro schietti profili grigi. Talvolta, le metropoli potevano anche essere luoghi piacevolissimi. Carr decise che per coronare il tutto avrebbe fatto una capatina in uno dei grandi magazzini per un acquisto del tutto inutile. Una cravatta forse. D’una nuova sfumatura blu, magari.

All’interno dell’emporio la folla era più densa. Soffermandosi accanto all’ingresso per individuare il banco che cercava, Carr provò una quasi impercettibile sensazione di oppressione.

Tanto basso da non attirare l’attenzione generale, ma udibilmente distinto, risuonò un ronzio. Tre ronzii, uno dietro l’altro. Poi altri tre. D’un tratto, Carr fu sul chi vive senza sapere perché.

Un uomo grande e grosso cominciò a muoversi verso la porta più vicina, senza mostrare una fretta eccessiva ma senza perder tempo. Due corsie più in là un altro grande e grosso stava avanzando nella stessa direzione.

Fra quei due, una donna ben vestita, dai capelli grigi, si stava dirigendo verso la stessa porta con un passo un po’ più rapido di quello che sarebbe parso appropriato alla sua voluminosa figura.

I due uomini stavano convergendo su di lei. La donna accelerò. I due uomini la raggiunsero giusto davanti alla porta.

All’apparenza avrebbe potuto trattarsi di una zia che veniva accostata da due nipoti cortesi e solleciti. Nessun altro lì nell’emporio pareva essersi reso conto che stava accadendo qualcosa d’insolito.

Ma Carr notò la mano sul polso della donna, la delicata spinta (avrebbe potuto trattarsi dell’amorevole buffetto d’un nipote), l’espressione indignata e la minaccia di fare una scenata da parte della donna, l’amabile “Sarà tutto assai più semplice se non farete tante storie” scritto nel sollevarsi delle loro sopracciglia, la faccenda di scortarla verso le scale del mezzanino, come se i nipoti avessero convinto l’agitatissima zia a pranzare con loro.

D’un tratto Carr non sentì più alcun desiderio. Qualunque pregustazione dei sottili piaceri che gli sarebbero venuti da quelle compere oziose era svanito dalla sua mente. Voleva arrivare al più presto al suo posto in ufficio.

Non era stato l’incidente in sé perché non era niente di straordinario: soltanto due investigatori della ditta che avevano arrestato una taccheggiatrice allo squillo d’un segnale d’allarme.

Questo era ciò che il fatto suggeriva.

Era accaduto tutto in maniera così rapida, sfuggente. Vi faceva diffidare della folla e di qualunque senso di sicurezza avevate pensato di poter riporre in essa.