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Si sentiva estremamente perplesso e inquieto. Avrebbe voluto, soprattutto, ripensare con attenzione all’accaduto, ma sfortuna volle che quel pomeriggio il lavoro non gli concedesse tregua.

Tuttavia, in mezzo a tutti i particolari dei curriculum, e delle qualifiche, delle referenze e delle lettere di presentazione, i suoi pensieri (o meglio le sue sensazioni) continuarono a divagare. Talvolta ricordava una frase qua e là: “Preoccuparsi rende”. “Il divertimento dev’essere garantito”. “Non credo proprio che la bestia sarà necessaria”. Altre volte le riviste sensazionalistiche sulla rastrelliera della tabaccheria non ricordava di averle guardate con attenzione prima ma ora le loro copertine si stagliavano con chiarezza nella sua mente. Riusciva a leggerne i titoli farneticanti. A un certo punto ebbe perfino la sensazione che l’uomo corpulento fosse entrato nell’ufficio. E per parecchi minuti fu infastidito da qualcosa di nero e ruvido che sporgeva di tanto in tanto da dietro l’estremità di una delle panche in sala d’attesa fino a quando, guardando meglio, s’accorse che era la borsetta di una donna.

Con un sospiro di sollievo vide allontanarsi l’ultimo candidato. Si era quasi convinto che non avrebbe più smesso di parlare ed era già passato un minuto dalla fine dell’orario della giornata, e gli altri intervistatori si stavano già affrettando verso i loro cappelli e le sciarpe.

Il suo sguardo planò sopra un mozzicone di matita accanto al cestino di fil di ferro sulla sua scrivania. Lo fece rotolare verso di sé con la punta di un dito. Era profondamente rosicchiato e gli fece pensare a unghie morse fino alla carne viva. Lo riconobbe per quello che il giorno prima Jane aveva lasciato cadere sulla sua scrivania.

Maledizione, lui non voleva rimanere immischiato in… in… qualunque cosa fosse. Non adesso che aveva fatto la pace con Marcia e avrebbe dovuto concentrarsi sulla proposta di Keaton Fisher. Ieri aveva lasciato che i suoi nervi a fior di pelle avessero la meglio su di lui, e adesso non voleva che gli succedesse di nuovo. Quell’episodio piuttosto ridicolo con Jane era qualcosa che doveva rimanere un incidente concluso. E come avrebbe fatto ad avvertirla anche se avesse voluto? Non conosceva neppure il suo cognome.

Inoltre non pareva che quelle tre persone volessero veramente farle del male, quando analizzava la conversazione che aveva ascoltato nella tabaccheria. Avevano parlato di “controllarla”. L’impressione era che quei tre temessero che lei potesse danneggiarli più che il contrario. I riferimenti a una “bestia”, anche se bisognava ammettere che al momento avevano avuto un che di minaccioso, erano probabilmente una figura retorica. La “bestia” poteva essere soltanto una persona antipatica, oppure un’automobile, o perfino una macchina fotografica o una valigia.

Inoltre Jane gli aveva fatto capire parecchie volte che non voleva che lui ne sapesse di più delle tre persone contro le quali l’aveva messo in guardia, né che interferisse con loro perché ciò avrebbe potuto significare un pericolo per lei se lui l’avesse fatto. Cos’era che aveva detto di loro?… “Orribili e osceni…”

Chi potevano essere e cosa potevano volere? Agenti segreti di qualche tipo? Al giorno d’oggi, molta gente veniva “controllata”. Eppure c’era stato quell’accenno a “altra gente”, quel discorso sul “divertimento”. Comunque c’era da presumere che perfino gli agenti segreti volessero “divertirsi” di tanto in tanto. Carr immaginava che Jane fosse ricca. Ma ancora una volta non pareva che quella gente cercasse denaro, ma soltanto una qualche forma di sicurezza così da potersi “divertire” in perfetta tranquillità.

“Divertirsi” in perfetta tranquillità… Ancora una volta gli ritornò alla memoria la tremenda impressione di spietata potenza che quei tre gli avevano dato. La sua scrivania invasa, le cartelle del suo archivio tirate fuori ed esaminate una ad una… le sigarette rubate… lo schiaffo. No, maledizione, non poteva lasciar cadere così la cosa. Qualunque cosa Jane avesse tentato di fargli capire, era suo dovere riferirle ciò che lui aveva udito per avvertirla di ciò che i tre avevano in progetto quella sera.

E c’era un modo perfettamente ovvio per farlo: dalla scorsa notte lui sapeva dove lei abitava. Ci sarebbe andato subito.

Si alzò in piedi, accorgendosi soltanto in quell’attimo che l’ufficio si era svuotato mentre lui era rimasto lì a pensare. La donna delle pulizie, con gli strofinacci sulla spalla, stava spingendo dentro un cartello per la carta straccia. Lo ignorò.

Carr prese il cappello e uscì. Scese a rapidi passi le scale.

Fuori la giornata si era mantenuta bella e luminosa, cosicché, invece della tetraggine del giorno prima, le strade erano inondate da una luce bianca diffusa, che impartiva una lieve atmosfera carnevalesca alla spasmodica fretta delle ore di punta.

Carr percepì un tocco di eccitazione danzante che si stava aggiungendo alla sua tensione. Invece di dirigersi verso il Michigan Boulevard, prese una strada più diretta verso nord, attraversando uno dei ponti più anneriti, dove le travi d’acciaio, scrostate e arrugginite, ostentavano tutta la loro nudità. Qui il cielo si stendeva immenso sopra le alte, remote pareti formate dai depositi privi di finestre e dagli edifici adibiti a uffici con le guglie di marmo decorato, dorato o nero come l’ebano. Poi a ovest si profilavano i cantieri delle ferrovie.

Al di là del fiume la strada scendeva gradualmente addentrandosi in una zona in cui i flussi e i riflussi dell’economia della città cambiavano a velocità vertiginosa. Le piccole vetrine maltenute dei negozi appartenevano più che altro a tavole calde, con in mostra file per niente appetitose di hot-dog, botteghe con articoli di seconda mano, piccoli bar dalle vetrine completamente oscurate e in parte ricoperte dai manifesti pubblicitari di questa o quella birra, cubicoli in cui si potevano incassare assegni, piccoli empori dalle esposizioni chiassose e di pessimo gusto con la polvere di sei mesi… Più in alto si accalcavano gli appartamenti. Qua e là una chiesa annerita dalla fuliggine con le porte sprangate.

La scena continuò per otto o dieci isolati senza troppi cambiamenti, salvo per il numero sempre crescente di night-club con ammiccanti insegne azzurre e fotografie di ragazze dal sorriso stanco che elargivano un “divertimento” continuato.

Poi, nello spazio d’un solo isolato, grazie all’austera e inflessibile stregoneria delle leggi distrettuali, quello squallido circondario si trasformò in un’opulenta zona residenziale. Prima qualche residence, massiccio e altero, con il pianoterra buio e sbarrato come le antiche città-stato Firenze o Venezia. Poi case dall’aspetto greve con spesse tende alle finestre, i prati recintati e indenni che ricordavano, appunto, gli spazi sgombri intorno alle fortezze, con le siepi che fungevano da cavalli di frisia. Se la memoria non lo tradiva, la casa di Jane doveva trovarsi a un solo isolato di distanza dopo una curva a sinistra.

Ma adesso, per la prima volta, Carr rallentò il passo. Gli era venuto in mente che forse avrebbe dovuto comunicare il suo avvertimento in circostanze piuttosto difficili. Cosa sarebbe accaduto se i genitori non gli avessero permesso d’incontrare Jane o gli avessero chiesto come minimo una spiegazione preliminare? Avrebbe dovuto dir loro della notte precedente, ma Jane l’avrebbe voluto? O avrebbe detto che lui era un tizio che lei aveva raccattato per strada, dato che non conosceva neppure il suo cognome (salvo che lo trovasse sulla cassetta delle lettere)?

Accelerò il passo. Rimuginamenti come quelli erano inutili si disse. Avrebbe dovuto valutare la situazione una volta arrivato sul posto, inventando le bugie adeguate, se fosse stato necessario.

Girò l’angolo, notando il lampione rotto. Ricordò il curioso disegno di luce che aveva proiettato la notte prima.

Giunse a un’alta recinzione metallica, fino a un alto cancello che riconobbe.