O altrimenti (il tempo riprese a scorrere) quella donna era pazza.
Sì, ecco, pazza, demente. Comportandosi nella sua demenza, come se la figlia assente si trovasse invece là davanti a lei. Credendoci fermamente.
Carr si aggrappò a questo pensiero.
— Suvvia cara — stava dicendo ancora con voce insulsa la donna — devi semplicemente riposarti.
— Mamma, non eccitarti — insisté ancora l’uomo anziano, per calmarla. — Va tutto bene.
Anche il padre è pazzo, pensò Carr. No, sta soltanto assecondandola. Finge di credere alle sue allucinazioni. Dev’essere così.
— Non va affatto bene — lo contraddisse la donna in lacrime. — Non voglio che Jane si eserciti tanto e faccia quelle lunghe passeggiate sconsiderate sempre da sola. Jane non devi… Improvvisamente, un’espressione di vivo allarme le si disegnò sul viso. — Oh Jane, non andar tene. Per favore, non andartene, Jane. — Tese la mano in direzione dell’anticamera come per trattenere qualcuno. Carr si tirò indietro. Provò un émpito di nausea. Era orribile che quella vecchia pazza assomigliasse tanto a Jane.
La donna lasciò ricadere la mano. — Se n’è andata — disse, e cominciò a singhiozzare.
— Sai che ti dico, mamma? — disse l’uomo anziano. — Andiamo a sederci al buio per un po’. Ti farà riposare. — La sollecitò verso la veranda.
Proprio allora, dietro a Carr, il gatto soffiò e si ritrasse di alcuni gradini più in alto: la porta del vestibolo in fondo alle scale venne aperta con uno schianto, vi fu un forte rumore di passi e si levarono alcune voci litigiose.
— Vi assicuro signor Wilson, state soltanto sprecando il vostro tempo. Dris ha controllato. Ce l’ha detto.
— Ha mentito, era con la ragazza da due ore quando l’abbiamo incontrato.
— Non è vero!
— Pensate proprio di no?
La prima voce era petulante, lamentosa. La seconda fredda, allegra. Erano le voci che Carr aveva udito nella tabaccheria.
Prima che avesse il tempo di analizzare i propri timori o anche soltanto di pensare in maniera coerente, Carr era sgusciato entro la porta aperta davanti a lui, aveva attraversato la piccola anticamera con tutta la rapidità possibile (ormai i genitori di Jane avevano lasciato il soggiorno) e percorse in punta di piedi il corridoio che portava sul retro dell’appartamento dove entrò nella prima stanza che trovò e rimase in piedi con la guancia premuta contro la parete, sbirciando dietro di sé nella direzione da cui era venuto.
Non riuscì a vedere la porta d’ingresso. Ma poco dopo delle ombre oscurarono l’intonaco del corridoio, informandolo che qualcuno si trovava nell’anticamera interrompendo la luce che usciva dal soggiorno.
— Insomma, qui non c’è — sentì dire dal signor Wilson.
— Ma l’abbiamo appena sentita suonare echeggiò la voce irritata della bionda.
— Siate ragionevole, signorina Hackman — obbiettò il signor Wilson. — Sapete benissimo che questo non dimostra niente.
— Ma perché mai Dris avrebbe dovuto mentire dicendo di averla controllata?
Il signor Wilson sbuffò. — Dris mentirebbe su qualunque cosa pur di avere il tempo per quelle sue avventure da strapazzo.
— Questo non è vero! — La voce della signorina Hackman echeggiò come se fosse stata colpita sul viso. — Dris potrà anche divertirsi con le ragazze quando ce la spassiamo tutti insieme, è naturale. Ma non quando è da solo!
— Pensate che non abbia le sue voglie private? Pensate di essere voi tutto lo spettacolo?
— Sì!
— Ah!
Carr si aspettava di udire il rumore dei passi o le voci dei genitori di Jane. Dovevano essersi certamente accorti della presenza di quegli intrusi. La veranda non era totalmente isolata.
Forse avevano paura quanto lui.
O forse… no, dannazione, l’idea che aveva avuto (quando il tempo si era fermato) non poteva, non doveva essere vera.
— Non siete giusto — gemette la signorina Hackman. — È probabile che la ragazza sia da qualche parte in fondo alla casa. Diamo un’occhiata.
Carr si era già chinato e aveva disfatto i nodi dei lacci delle sue scarpe. Adesso se le sfilò. La stanza in cui si trovava conteneva due letti gemelli. Era illuminata dalla luce che proveniva da un bagno dalle piastrelle bianche. Nella camera da letto c’era la stessa confusione e abbondanza di cianfrusaglie del soggiorno. Una delle ombre nel corridoio divenne più scura. Ma proprio mentre Carr stava per nascondersi nel bagno sentì il signor Wilson che esplodeva in un ordine: — Fermi! La veranda! Ascoltate la vecchia! Cosa sta dicendo?
Nel silenzio che seguì, Carr riuscì a udire un fioco farfugliare.
— Vedete — insisté ad alta voce il signor Wilson. — Sta parlando come se la ragazza fosse là.
— Ma…
— Ascoltate!
Il farfugliare cessò.
— Avete bisogno di altre prove? — chiese il signor Wilson. E un attimo dopo proseguì, con voce tranquilla: — Conosco i vostri teneri sentimenti per Dris signorina Hackman. In quanto sentimenti, per me non hanno alcun significato. Come influenze che distorcono la vostra capacità di giudizio, significano moltissimo. Dris è molto intelligente a volte, ma è indolente. Sapete che i nostri piaceri, i nostri piani, la nostra stessa esistenza dipendono da una vigilanza costante. Potremmo venir rovinati da una singola persona, come questa ragazza, o dall’ometto con gli occhiali.
— È morto — interloquì la signorina Hackman.
— È un pio desiderio. Supponete che lui o la ragazza diventino attivamente ostili. Cosa ancora peggiore, supponete che informino un altro gruppo come il nostro, ma più forte (ce ne sono, credetemi!), della nostra esistenza. Voi e io sappiamo, signorina Hackman, che quella ragazza sa di noi…
— Credo che sia rientrata nel suo vecchio solco — l’interruppe la signorina Hackman — e non dobbiamo più preoccuparci di lei. Può succedere. La maggior parte di loro vogliono tornare indietro.
Cercando d’intravedere quelli che parlavano Carr cominciò ad avvicinarsi di più alla porta senza far rumore, con le sole calze ai piedi.
— Ma la madre… — stava replicando il signor Wilson.
— Pazza. Al punto da credere che la ragazza sia là.
L’ombra del signor Wilson annuì. — Ve lo concedo… come possibilità. Forse la ragazza è rientrata nel solco. O forse no. Forse si è messa con Dris, o lui con lei, in segreto.
— Oh no! È indecente! Se ripetesse a Dris quello che avete appena detto…
— Comunque, non vorreste avere delle prove che non è così?
— Non mi abbasserei mai a coltivare un simile spregevole sospetto!
— No, eh? Non mi date l’impressione… Cos’è stato?
Carr s’irrigidì. Abbassando lo sguardo s’accorse di aver rovesciato un piccolo stupido fermaporte dalla forma di un pechinese seduto in posizione implorante sulle zampe posteriori. Fece per dirigersi verso la porta del bagno ma non aveva ancora fatto il primo passo, penosamente cauto, quando udì da quella stessa direzione, debole ma inequivocabile, il lieve rumore di qualcun altro che si muoveva. S’immobilizzò, poi si girò verso il corridoio. Sentì un ticchettio di tacchi alti, un’esclamazione gutturale, di sorpresa, da parte del signor Wilson, un morbido picchiettio affrettato, il miagolio d’un gatto inferocito, un agitarsi di ombre, uno schianto e un tonfo come se un bastone fosse stato calato con violenza su un tavolo e l’esclamazione del signor Wilson: — Dannazione!
Poi Carr intravide la signorina Hackman. Indossava un abito da sera grigio perla che le lasciava scoperte le spalle e reggeva una stola di visone sul braccio. Stava avanzando lungo il corridoio, ma lei non lo vide.
Nel medesimo istante qualcosa le si scagliò addosso da dietro. Il gatto Gigolò atterrò fra i suoi impeccabili capelli biondi lacerandole la pelle con gli artigli. La signorina Hackman urlò.