La tua unica possibilità di uscire dal pericolo in cui ti trovi, e di aiutarmi, è di fare esattamente come ti ho detto: e di dimenticarmi per sempre.
Carr si avvicinò al letto. Sul comodino c’erano due sottili bustine appoggiate a un bicchiere vuoto dal fondo piatto. Ne tastò una fra l’indice e il pollice. Stridette leggermente. La rimise giù.
Gratificò di un’altra occhiata la lettera. La testa cominciò a lanciargli fitte lancinanti. Perdiana, che razza di citrullo pensavano che lui fosse? E cosa gli avrebbe detto Jane, dopo: “Ci spiace molto di averti dovuto avvelenare?” “Non cercare di trovarmi… brucia questa lettera, sul tuo onore… dimenticami per sempre…” Che nauseante melodramma! Pensava forse che frasi come quelle bastassero a calmarlo e a fargli accettare l’accaduto? Sì, non c’era dubbio che Jane fosse romantica, sì, la cara ragazza romantica che ti butta le braccia al collo e sfrega il ventre contro il tuo cosicché il suo amico possa piantarti una pistola nelle costole. Si era imbattuto in una faccenda molto brutta, e forse aveva scelto la parte sbagliata.
E lei aveva una ragione per mentire. Poteva mentire per spaventarlo, per impedirgli di scoprire che razza d’imbroglio lei e il suo prezioso omettino dalla pelle scura e occhialuto stavano combinando, forse per guadagnar tempo e organizzare qualche tipo di fuga. (Non muoverti dalla tua stanza oggi).
Carr cominciò a infilarsi in fretta i vestiti, sussultando alle nuove fitte di dolore. Dopo aver indossato il soprabito si scolò fino in fondo la bottiglia di whisky, tornò a buttarla dentro il cassetto, guardò per un attimo le altre bottiglie ancora piene, se ne cacciò una in tasca e uscì, fissando ferocemente il Carr imprigionato nello specchio delle scale.
Percorse mezzo isolato fino all’albergo più vicino e aspettò un tassi. Due gli passarono accanto col segnale di libero, ma i conducenti ignorarono le sue chiamate e l’agitarsi delle sue braccia. Digrignò i denti. Poi un terzo tassi si avvicinò e si fermò contro la cordonatura del marciapiede. Ma proprio mentre stava per salire, due bionde impellicciate uscite dall’albergo gli passarono accanto e si accomodarono sul sedile posteriore. Carr imprecò ad alta voce, girò sui tacchi e s’incamminò a piedi.
Era una serata temperata e piacevole, ma lui la detestò. Provava una rabbia insensata per la gente che gli passava accanto.
Come sarebbe stato bello fracassare tutte le insegne al neon, lacerare i manifesti, irrompere nelle case e buttare fuori dalle finestre le radio e i televisori che cantilenavano, gemevano, blateravano. Sì, ci voleva la bomba atomica!
Ma, malgrado tutto questo, l’aria fresca contribuiva a fargli passare il mal di testa. Mentre si avvicinava alla Mayberry Street, cominciò a calmarsi, o quanto meno a mettere a fuoco la sua rabbia.
A metà isolato c’era una macchina parcheggiata con il motore che borbottava sommesso: una decappottabile, con la capote abbassata. Proprio mentre vi passava accanto, vide un uomo uscire dalla porta in corrispondenza dell’appartamento dei Gregg: un uomo dalla corporatura piuttosto massiccia. Questi si allontanò nella direzione opposta. Ma prima che si voltasse, Carr l’aveva già riconosciuto. Il signor Wilson!
Reprimendo l’apprensione che cresceva in lui, Carr prese una brusca decisione. Con passo rapido e deciso fece per inseguire il signor Wilson.
Ma proprio in quell’istante, una voce dietro di lui disse: — Se attribuite un qualche valore alla vostra vita o alla vostra ragione, tenetevi lontano da quel tipo. — E allo stesso tempo una mano lo afferrò per il gomito e l’obbligò a girarsi.
Stavolta l’ometto scuro con gli occhiali indossava un cappello nero a larghe tese e un impermeabile di foggia militare abbottonato dall’alto al basso, troppo lungo per lui al punto da ricordare un accappatoio. È questa volta non appariva terrorizzato, malgrado il pallore. Invece rideva sardonico.
— Sapevo che non sareste rimasto nella vostra stanza — disse. — Avevo avvertito Jane che la sua lettera avrebbe avuto l’effetto opposto.
Carr strinse il pugno, roteò all’indietro il braccio… esitò.
Dannazione, portava gli occhiali, con lenti così spesse da fare compassione.
— Procedete pure — lo sfidò l’ometto dalla pelle scura. — Fate una scenata, fate che ci piombino addosso. Non m’importa più ormai.
E poi fece qualcosa di stupefacente. Gettò indietro la testa, levò il braccio in un gesto teatrale e con una certa sbarazzina freddezza intonò: — Se il se sarà ora, non accadrà; se non sarà da venire, sarà adesso; se non sarà adesso, verrà ancora. La prontezza è tutto.
Carr fissò le lenti illuminate dal riflesso delle luci stradali.
— Amleto — precisò l’ometto dalla pelle scura. — Atto quinto, seconda scena. La prima citazione era tratta dal Mastino dei Baskerville. — Fece una pausa e studiò Carr, i suoi occhiali ebbero un luccichio ipnotico. — Non pensereste, vero — riprese — mentre ce ne stiamo qui a conversare tranquillamente, in questo rispettabile circondario, che siamo entrambi in mortale pericolo? — Sorrise. — No, sono sicuro che non l’avreste mai pensato.
— Ascoltate — intervenne Carr d’un tratto facendosi avanti vostro, col col pugno chiuso. — Ieri sera mi avete colpito.
— Certo che l’ho fatto — annuì l’ometto dondolandosi sui tacchi.
— Bene, in questo caso… — cominciò Carr, e poi si ricordò del signor Wilson. L’uomo corpulento non era visibile da nessuna parte. Carr fece qualche passo, poi si fermò di botto voltandosi a guardare dietro di sé. L’ometto dalla pelle scura stava camminando in fretta verso la borbottante decappottabile. Carr si lanciò al suo inseguimento, balzò sul predellino proprio mentre l’altro si stava infilando al posto di guida.
— Volevate distrarmi fino a quando lui non se ne fosse andato — lo accusò Carr.
— Proprio così — confermò l’ometto. — Saltate su.
Carr saltò dentro la macchina, rabbioso. Ma prima che potesse dire qualcosa, l’altro aveva ricominciato a parlare. La sua voce non era più ironica, ma bassa, quasi si trovasse in un confessionale. Teneva la testa china. Non guardava Carr.
— Tanto per cominciare — disse — voglio che sappiate che non mi fido di voi. E che soprattutto non vi trovo simpatico… Se così fosse, farei del mio meglio per farvi uscire da questa faccenda invece di condurvi direttamente verso il suo centro. E per concludere, non m’importa un fico secco di ciò che potrebbe capitare a voi o a me. Ma ho ancora una certa donchisciottesca preoccupazione per ciò che potrebbe capitare a Jane. È per il suo bene, non per il vostro, che farò quello che sto per fare. — Mise la mano sulla leva del cambio.
— E cosa state per fare? — esclamò Carr.
La decappottabile s’impennò e balzò in avanti con un ruggito.
Carr alzò di scatto lo sguardo quando la sinistra muraglia rossa d’un camion mastodontico si profilò sempre più alta… TRASLOCHI MONDIALI diceva la scritta. Carr chiuse gli occhi. Sentì una sbandata da far raggelare il sangue, e strinse i denti alla stridente carezza legno contro acciaio del loro paraurti. Quando tornò ad aprire gli occhi vide una donna e un bambino sfrecciare all’indietro a non più d’una trentina di centimetri dalle loro ruote. Fu scagliato di lato mentre svoltavano con uno stridio lacerante, lasciò andare il cappello per afferrarsi a qualche appiglio, notò un coupé e un autobus che convergevano davanti a loro, chiuse di nuovo li occhi mentre riuscivano a balzare indenni oltre il varco per il classico pelo… No, non sarebbe morto a causa di qualche misterioso pericolo sorto da un intrigo. Oh no! Lui e l’ometto scuro con gli occhiali avrebbero semplicemente aggiunto due corpi insolitamente ben maciullati all’elenco annuale delle vittime del traffico.