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La ragazza spaventata stava ancora scribacchiando: il raschiare della matita pareva a Carr l’unico vero suono dell’intero ufficio. Gettò un’occhiata guardinga lungo la corsia. La bionda in carne dagli occhi strani era ancora sulla soglia, ma si era fatta sgarbatamente da parte per lasciar passare un uomo basso e grasso in blue-jeans che si stava guardando intorno incerto.

L’uomo basso e grasso s’avviò verso la signorina Zabel. Il ciuffo di capelli in cima alla testa della signorina Zabel si sollevò ballonzolando dalla macchina per scrivere mentre lei gli diceva qualcosa. L’incertezza dell’uomo svanì. Le rivolse un: — Capito pupa — e puntò verso la scrivania di Carr.

La ragazza spaventata lo vide arrivare, spinse da parte carta e matita in un unico impulso affrettato e si alzò in piedi.

— Sedetevi — le intimò Carr. — Quel tizio può aspettare. A proposito, conoscete Tom Elvested? — Lei ignorò la domanda e raggiunse in fretta la corsia. Carr la seguì. — Voglio parlarvi, davvero — insisté.

— No — alitò lei, scostandosi.

— Ma non abbiamo ancora concluso niente — obiettò lui.

D’improvviso, la ragazza sorrise come la pubblicità d’un dentifricio. — Grazie per essermi stato così d’aiuto — dichiarò ad alta voce. — Rifletterò su quanto mi avete detto, anche se non credo che quel lavoro sia adatto a me. — Gli tese la mano. Lui la prese automaticamente. Era gelata.

— Non mi seguite — gli bisbigliò in fretta. — E se v’importa anche soltanto un poco di me e della mia sicurezza, non fate niente, qualunque cosa accada.

— Ma non conosco neppure il vostro nome… — La sua voce si affievolì. La ragazza si stava allontanando a grandi passi lungo la corsia. La bionda in carne le bloccava completamente la strada. La ragazza non si spostò d’un centimetro. Poi, mentre stavano per scontrarsi, la bionda alzò una mano e appioppò alla ragazza uno schiaffo bruciante sulla guancia.

Carr sussultò, fece un passo avanti, si bloccò.

La bionda si fece da parte con un sorriso sardonico.

La ragazza barcollò, ondeggiò per un passo o due, poi continuò a camminare senza voltare la testa.

Nessuno disse niente, nessuno fece niente, nessuno balzò su dalla sedia, nessuno si limitò anche soltanto a sollevare lo sguardo, magari per una rapida sbirciata, anche se tutti là dentro dovevano aver sentito lo schiaffo anche se non l’avevano visto. Ma, pensò Carr, con l’universale riluttanza della classe media a immischiarsi in un qualunque guaio salvo non esservi costretti, fingevano di non essersene accorti.

Carr tornò alla propria scrivania. Sentiva di avere il volto accalorato e la mente in subbuglio. L’ufficio intorno a lui pareva fuori tono, torbidamente sinistro, un po’ come la scena di un incubo: la penombra del centro cittadino che premeva contro le alte finestre un po’ velate dallo sporco, le luci nebbiose sulle scrivanie lucide, le frasi senza senso sospese nell’aria.

L’uomo basso e grasso in blue-jeans aveva già preso il posto della ragazza, ma per il momento Carr lo ignorò. Non tornò a sedersi. Il foglietto su cui la ragazza aveva scribacchiato attirò la sua attenzione. Lo prese e lesse.

State attento alla bionda strabica, al giovane senza una mano e all’uomo più vecchio apparentemente affabile. Ma l’uomo piccolo con la pelle scura e gli occhiali è vostro amico.

Carr si accigliò grottescamente La bionda dagli occhi strabici… Doveva essere quella bionda in carne che l’aveva sorvegliata. Ma in quanto agli altri tre? L’uomo piccolo con la pelle scura e gli occhiali è vostro amico… Pareva una sciarada.

— Grazie, credo di sì — disse in tono casuale l’uomo basso e grasso prendendo qualcosa nell’aria.

Carr fece per girare il foglietto per vedere se la ragazza aveva scribacchiato qualcosa anche sull’altro lato, quando…

— No, ho da accendere — disse ancora l’uomo basso e grasso.

Carr lo guardò e dimenticò ogni altra cosa. L’uomo basso e grasso aveva acceso un fiammifero e lo teneva racchiuso nella coppa formata dalle mani a circa sei centimetri dalle labbra curiosamente contratte. Sorrise grato al di sopra delle mani chiuse a coppa verso la poltroncina vuota di Carr. Poi con una mano scosse il fiammifero per spegnerlo e spostò l’altra verso le labbra dove si arrestò un attimo per poi spostarla verso l’esterno, a una trentina di centimetri dal viso, con l’indice e il medio tesi come quelli d’un prete benedicente. Dopo un breve intervallo la mano tornò ad avvicinarsi alle sue labbra e venne ripetuta l’inspirazione sibilante, e l’uomo basso e grasso buttò indietro la testa ed esalò attraverso le narici serrate.

Era ovvio che l’uomo stava fumando una sigaretta.

Soltanto che non c’era nessuna sigaretta.

Carr avrebbe voluto scoppiare a ridere: c’era qualcosa di tremendamente buffo in quei movimenti così realistici! Ricordò le pantomime durante il corso di recitazione all’università. Si fingeva di guidare una macchina o di mangiare o di scrivere una lettera senza nessun materiale di scena, mimando i movimenti. In quel corso, l’uomo basso e grasso si sarebbe guadagnato un 10 e lode.

— Sì esatto — disse l’uomo rivolgendosi alla poltroncina vuota di Carr mentre agitava le dita sopra il portacenere rivestito di un’appiccicosa plastica marrone.

D’un tratto, Carr perse ogni desiderio di ridere. Era ovvio, nel modo in cui qualunque cosa del genere poteva essere ovvia, che quell’uomo non era un attore.

— Sì, l’ho fatto per circa otto mesi. Ci sono arrivato passando dalla catena di montaggio delle saldature — continuò l’uomo basso e grasso fra una tirata immaginaria e l’altra. — Stavo per fare il mio secondo test quando io e mia moglie abbiamo deciso di trasferirci qui per star lontani da sua madre.

Carr si sentì afferrare da una profonda inquietudine. Esitò, poi si piegò lentamente in avanti dal punto in cui si trovava, fino a quando il suo viso fu a una trentina di centimetri soltanto da quello dell’uomo basso e grasso.

L’uomo non reagì, non parve vederlo per niente e continuò a parlare alla poltroncina vuota, guardando attraverso lui come se fosse trasparente.

— Oh è un lavoro sporco, non c’è dubbio. Ho avuto la mia porzione di problemi con la pelle. Ma posso resistere.

— Smettetela — gli ingiunse Carr.

— No, l’ho passato dopo essere stato là tre mesi. — L’uomo era amichevolmente enfatico. — Stavo per diventare ispettore di ruolo. Avrei ricevuto la nomina ufficiale con le relative marche dei contributi.

Carr rabbrividì. — Basta — scandì con voce ben chiara. — Smettetela.

— Certo, ogni genere di cose. Magnetismo circolare e longitudinale. Parti di macchine, forgiature, saldature, centinature…

— Basta — ripeté Carr afferrandolo saldamente per le spalle.

Quello che accadde poi fece desiderare a Carr di non averlo fatto. Il volto dell’uomo basso e grasso s’imporporò a chiazze, come quello di un bambino arrabbiato. Un’intensa pulsazione si trasmise alle mani di Carr. E dalle labbra dell’uomo uscì un crescente borbottio senza senso.

Carr balzò all’indietro. Si sentì debole e vile, impotente come un neonato. Si allontanò fino a quando non si trovò dietro a Tom Elvested che era impegnatissimo con un candidato.

Riuscì a malapena ad alzare la voce fino a un sussurro.

— Tom, ho un uomo che si comporta in modo strano. Vuoi aiutarmi?

Carr vide sull’altro lato della stanza un uomo dai grandi baffi camminare con passo spigliato. Gli corse accanto, continuando a fissare con apprensione l’uomo basso e grasso, il quale stava ancora seduto accanto alla sua scrivania col volto tutto arrossato.