Con Jane scossa da un violento tremito fra le sue braccia sentì, mentre l’eco delle fucilate si spegneva, un grido acuto che terminò con un gemito gorgogliante, il tonfo di un corpo, l’urlo lacerante di un animale, un trapestio di zampe in corsa, un’altra assordante raffica di fucilate, il tonfo di un altro corpo, un ultimo sparo, e poi i tonfi ritmici sempre più fievoli di un corpo che ruzzolava giù per le scale gradino dopo gradino.
Poi il silenzio, il più completo silenzio, più sconvolgente del rumore.
Una nube di fumo acre saliva come un fungo dalla tromba delle scale.
Poi dal silenzio sottostante una voce sconosciuta, recisa, crudele: — Bene, e con questo li abbiamo liquidati e in un buon posto. Brutta ferita, George?
Un’altra voce sconosciuta: — Soltanto un graffio.
Una terza voce: — Dobbiamo perquisire il resto della casa?
La prima voce, dopo quella che a Carr parve un’eternità: — No, c’erano soltanto quei tre e il gatto quando li abbiamo seguiti fin qua dentro. Inoltre erano soltanto tre in questa banda. L’ha detto il vecchio Jules.
Un rumore di passi che scendevano le scale.
La porta esterna del sottoportico che si chiudeva.
Carr sentì che Jane, contorcendosi, si liberava dal suo abbraccio e correva nella stanza alle loro spalle. La trovò che sbirciava da sopra il davanzale della finestra mezzo fracassata. Inginocchiandosi con cautela accanto a lei alzò in tempo gli occhi per vedere, mentre percorrevano il vialetto coperto di erbacce nella gelida luce del mattino, una mezza dozzina di uomini dall’impermeabile scuro.
Rimasero rannicchiati accanto alla finestra. Il vialetto si vuotò. Adesso la luce era più intensa, sufficiente a rivelare la debole sfumatura verde delle erbacce.
Carr guardò Jane proprio mentre la ragazza si voltava verso di lui.
Detestava l’idea di dover scendere, di doverla guidare in mezzo a quello che avrebbero trovato.
Lo faceva fremere la constatazione che dovevano la vita a creature micidiali, non meno orribili di quelle che erano state appena distrutte, che la sua salvezza e quella di Jane stavano soltanto nel fatto che quelle creature micidiali non erano state informate della loro presenza.
Tuttavia sapeva che la strada per poter tornare alla loro vita era finalmente sgombra.
16
Il vento soffiava, purificatore, su entrambi i lati. Gli alberi scuri scorrevano via veloci accanto a loro. Sopra le loro teste le stelle lottavano con i bordi dell’immenso fungo formato dal fumo di Chicago. Davanti a loro la massa brulicante delle luci di Chicago ardeva rosseggiante nell’aria.
Carr e Jane, i corpi rilassati fianco a fianco sullo schienale, si tenevano leggermente per mano (più di questo non gli sarebbe parso “giusto” quella prima volta). Ma le teste erano accostate, cosicché quando parlavano le loro voci erano mascherate dal vento, dal rombo e dallo sferragliare della vecchia decappottabile.
Osservavano la testa di Tom e quella di Midge sul sedile anteriore. Guardavano gli alberi e le stelle e il bagliore rosato di Chicago. Pareva a Carr infinitamente strano, eppure infinitamente naturale, di essere ancora una volta una parte normalmente funzionante d’una vasta macchina che comprendeva le stelle e il cielo e alberi e la terra e Chicago e Tom e Midge e Jane e lui stesso, una macchina che produceva pianeti e popoli e venti e parole. Si chiese: — A quale scopo? — Si chiese: — Quanta consapevolezza? — Guardando Tom e Midge, si chiese: — C’è davvero soltanto oscurità nelle loro menti? Sono soltanto automi dall’aspetto gradevole?
Ma quelle erano domande che non potevano ottenere risposta fintanto che restavate parte della macchina, fintanto che rispettavate lo schema, fintanto che non facevate o dicevate qualcosa che non sembrasse “giusto”. E adesso lui non voleva nient’altro, se non fare parte della macchina.
— È stato un primo, buon appuntamento — gli bisbigliò Jane. — Fa sembrare bello il ritorno… mio padre e mia madre, la mia musica… Riesco quasi a dimenticare… molte cose.
— Meglio di no — le disse Carr sorridendo. — Non siamo del tutto al sicuro, sai.
— Ma siamo tornati alla nostra vita. Non possono accorgersi di noi… gli altri “loro”.
— Se stiamo attenti — insisté Carr.
Jane sorrise. — Fra quanto potremo sposarci?
— Quando lo schema ce lo permetterà.
— E se non ce lo permettesse?
— Lo farà — la rassicurò Carr.
Jane sorrise di nuovo. — Se non lo farà — dichiarò — c’incontreremo fuori dello schema.
Carr le diede una stretta alla mano. Jane lo guardò. Per un po’ restarono in silenzio, poi: — Perché supponi che sia accaduto a noi? — gli chiese lei. — Sì, perché proprio a noi due è capitato di viverlo?
— E chi lo sa? — rispose lui. — Forse è come succede a un singolo atomo: vibra, urta, esplode, tutto per caso, nessuno sa perché.
Jane corrugò leggermente le sopracciglia. Dopo un po’, aggiunse: — Mi chiedo se non ci siamo sbagliati in qualcuna delle nostre congetture. Mi chiedo se non ci siano, forse, persone sveglie in numero molto maggiore di quanto noi in realtà ci rendiamo conto, che vivono la loro esistenza in trance, attenendosi allo schema, ma non perché sono soltanto macchine, non perché la loro mente è buia. È così difficile pensare che Midge e Tom, qui…
— Sì — disse Carr ricordando qualcosa che aveva fuggevolmente provato quando si era trovato al Goldie’s Casablanca — forse ce ne sono più di quanti abbiamo immaginato di consapevoli, o semiconsapevoli, che sono qualcosa di più che macchine cieche…
— Forse — gli suggerì Jane con voce sommessa — è il nostro lavoro scoprirli e destarli del tutto.
— Dovremo fare molta attenzione, sondarli con delicatezza — le ricordò Carr.
— Sì. Ma potremmo destarli se riuscissimo a fare in modo che la macchina pensi sempre di più.
— È vero — annuì lui.
— È così terribile, Carr, pensare a quelle piccole, spregevoli bande che se ne vanno in giro, a quelli che ci avrebbero uccisi, a quelli che ci hanno salvati senza saperlo… è terribile pensare a loro come alle sole forze sveglie che ci sono nel mondo…
Lui fu d’accordo. — Anche se abbiamo un alleato — ricordò a Jane.
— Sì, il vecchio Jules.
Per un po’ rimasero in silenzio, percependo il veloce scivolar via dell’automobile, osservando le stelle che brillavano nel buio tenendosi al passo con loro.
— Mi chiedo cosa stesse per dirci — mormorò.
— Chi?
— Fred. La cosa importante che pensava di avere scoperto. Credi che fosse proprio questo… che dovremmo smettere di scappare, che dovremmo cercare di destare i semisvegli?
— Chissà? — rispose Carr. Ma dentro di lui sapeva di esser d’accordo con Jane, sapeva che non avrebbe mai potuto rimanere del tutto una parte della macchina, che si sarebbe sempre avventurato fuori degli schemi preordinati, ma in guardia, adesso, ben conscio dei pericoli, consapevole della necessità di fare soltanto la cosa “giusta” per la maggior parte del tempo, ma allo stesso tempo sempre alla ricerca di menti consce o semiconsce.
La vecchia decappottabile rallentò a un incrocio. Midge si voltò a guardarli. Il suo volto era alquanto impudente, circondato da una chioma rossa riccioluta.
Carr si chiese: — È il volto d’una macchina vuota o d’una ragazza conscia o semiconscia?
Midge chiese: — Di che state parlando voi due?
La decappottabile ripartì.
— Oh — rispose Carr — di gente… di cose… — Per qualche motivo gli parve la cosa giusta da dire.