«Sono molti di più di un pugno», disse lui. «E Marius? I tuoi nemici discutono ancora se la storia di Marius è vera, se Coloro-che-devono-essere-conservati esistono o no…»
«Naturalmente. E tu, l’hai creduta?»
«Sì, non appena l’ho letta», rispose. E vi fu tra noi un momento di silenzio, nel quale forse ricordammo entrambi l’immortale di tanto tempo prima che mi aveva chiesto con insistenza: Dov’è incominciato?
Era una sofferenza troppo grande per rievocarla. Era come prendere i quadri dalla soffitta, togliere la polvere e scoprire che i colori erano ancora vibranti. E i quadri che dovevano essere i ritratti degli antenati morti erano i nostri ritratti.
Feci qualche piccolo gesto nervoso, come un mortale, mi scostai i capelli di fronte, cercai di sentire la frescura della brezza.
«Che cosa ti rende tanto sicuro?» chiese lui. «E se Marius ponesse fine all’esperimento non appena tu salirai sul palcoscenico domani sera?»
«Pensi che qualcuno degli antichi lo farebbe?» ribattei.
Riflettè a lungo, sprofondando nei suoi pensieri come usava fare, al punto di dimenticare la mia presenza. Mi sembrò che intorno a lui prendessero forma le vecchie stanze, e la luce a gas irradiasse il suo chiarore incerto, e giungessero i suoni e gli odori di un altro tempo, dalla strada. Noi due in quel salotto di New Orleans, il fuoco di carbone acceso nella grata del cammino di marmo, e tutto che invecchiava tranne noi.
E adesso era un giovane moderno con il maglione sformato e i jeans lisi, e guardava le colline deserte. I capelli spettinati, gli occhi accesi da un fuoco interiore. Si scosse lentamente, come se riprendesse vita.
«No. Io penso che se gli antichi si prendono il disturbo di occuparsene, saranno troppo interessati per farlo.»
«Tu sei interessato?»
«Sì, e lo sai», rispose.
Il suo volto si colorò leggermente. Divenne ancora più umano. In realtà, somigliava a un mortale più di qualunque altro della nostra specie che avessi mai conosciuto. «Sono qui, no?» disse. E io percepii una sofferenza in lui che scorreva come una vena di minerale in tutto il suo essere, una vena che poteva portare il sentimento fino alle profondità più fredde.
Annuii. Trassi un respiro profondo e distolsi lo sguardo, augurandomi di poter dire ciò che desideravo. Che l’amavo. Ma non potevo farlo. Il sentimento era troppo forte.
«Qualunque cosa accada, ne varrà la pena», dissi. «Cioè, se tu e io, e Gabrielle, e Armand… e Marius saremo insieme, anche per poco, ne varrà la pena. Supponi che Pandora decida di apparire. E Mael. E Dio sa quanti altri. Se venissero tutti gli antichi… Ne varrà la pena, Louis. In quanto al resto, non m’interessa.»
«No, t’interessa», disse sorridendo. Era profondamente affascinato. «Sei sicuro che sarà esaltante e che, per quanto possa essere accanita la battaglia, sarai tu a vincere.»
Chinai la testa. Risi. Infilai le mani nelle tasche dei calzoni come facevano gli umani di quel tempo, e proseguii tra l’erba. Il campo aveva ancora l’odore del sole, anche nella fresca notte californiana. Non gli parlai dell’aspetto umano, della vanità del desiderio di esibirmi. Quella strana follia che s’impadroniva di me quando mi vedevo sul teleschermo, quando vedevo la mia faccia sulle copertine degli album in mostra nella vetrina di dischi di North Beach.
Mi seguì.
«Se gli antichi volessero davvero annientarmi», dissi, «non credi che l’avrebbero già fatto?»
«No», rispose. «Io ti ho visto e ti ho seguito. Ma prima non riuscivo a trovarti. Appena ho saputo che saresti uscito allo scoperto, ho tentato.»
«Come l’hai saputo?» chiesi.
«Nelle grandi città vi sono luoghi dove s’incontrano i vampiri», disse. «Senza dubbio lo saprai.»
«No, non lo so. Dimmelo.»
«Sono i bar che chiamiamo Vampire Connection», disse lui, con un sorriso lievemente ironico. «Sono frequentati dai mortali, naturalmente, e noi li conosciamo per nome. C’è il Dr. Polidori a Londra e il Lamia a Parigi. Ci sono il Bela Lugosi a Los Angeles e il Carmilla e il Lord Ruthven a New York. Qui a San Francisco abbiamo quello che è forse il più bello di tutti, un cabaret che si chiama Dracula’s Daughter, in Castro Street.»
Scoppiai a ridere. Non riuscivo a trattenermi e sapevo che stava per ridere anche lui.
«E dove sono i nomi di Intervista col Vampiro?» chiesi con simulata indignazione.
«Verboten», disse lui inarcando leggermente le sopracciglia. «Non sono fittizi. Sono reali. Ma posso dirti che in Castro Street stanno guardando i tuoi videoclip. Lo chiedono i clienti mortali. Brindano in tuo onore con i Bloody Mary alla vodka. La Danza degli Innocenti fa tremare i muri.»
Stava per arrivare un attacco di risate. Tentai di fermarlo. Scossi la testa.
«Ma hai causato una specie di rivoluzione anche nel linguaggio», continuò lui con lo stesso tono ironicamente serio.
«Cosa vorresti dire?»
«Opera Tenebrosa, Dono Tenebroso, Strada del Diavolo… adesso tutti usano questi termini, i novizi più rozzi che non si erano mai neppure considerati vampiri. Imitano il libro, sebbene lo condannino completamente. Si sovraccaricano di gioielli egizi. Il velluto nero è ritornato di gran moda.»
«Troppo bello», dissi io. «Ma quei posti… come sono?»
«Sono pieni di armamentari vampireschi», disse lui. «Manifesti di film dei vampiri alle pareti, e i film vengono proiettati di continuo sugli schermi. I mortali che li frequentano sono un assortimento sensazionale… giovincelli punk, artisti truccati con mantelli neri e zanne di plastica bianca. Non ci notano. Spesso, in confronto a loro, siamo scialbi. E nelle luci fioche è come se fossimo invisibili, tra il velluto e i gioielli egizi. Naturalmente, nessuno succhia il sangue dei clienti mortali. Andiamo nei bar dei vampiri in cerca d’informazioni; e quei bar sono i posti più sicuri di tutta la Cristianità, per i mortali. In un bar dei vampiri non si può uccidere.»
«Mi meraviglia che qualcuno non ci avesse pensato prima», dissi.
«Ci avevano pensato», disse lui. «A Parigi c’era il Teatro dei Vampiri.»
«Certo», ammisi. Lui continuò:
«Un mese fa, attraverso la Vampire Connection è arrivata la notizia che eri tornato. Era una notizia già vecchia. Dicevano che andavi a caccia a New Orleans, e poi avevano scoperto che cosa intendevi fare. Avevano le copie-pilota della tua autobiografia. E non si finiva mai di parlare dei video».
«E perché non li ho visti a New Orleans?» domandai.
«Perché da mezzo secolo New Orleans è territorio di Armand. Nessuno osa andare a caccia a New Orleans. L’hanno saputo tramite fonti mortali, a Los Angeles e a New York.»
«Non ho visto Armand a New Orleans», dissi io.
«Lo so», rispose. Sembrò turbato e confuso per un momento.
Provai una lieve stretta al cuore.
«Nessuno sa dove sia Armand», disse lui, con voce un po’ spenta. «Ma quando era là, uccideva i giovani. Gli avevano lasciato New Orleans. Dicono che molti degli antichi lo fanno… uccidono i giovani. Lo dicono di me, ma non è vero. Mi aggiro per San Francisco come uno spettro. Non dò fastidio a nessuno, se non alle mie sventurate vittime mortali.»
Tutto questo non mi sorprendeva molto.
«Siamo troppi», disse ancora. «Siamo sempre stati troppi. E ci sono molte guerre. Una congrega, in ogni data città, è solo un mezzo con il quale tre o più esseri potenti si accordano per non annientarsi a vicenda e per spartirsi il territorio secondo le regole.»
«Le regole, sempre le regole», dissi.
«Ora sono diverse e più rigorose. Non si deve assolutamente lasciare in giro traccia dell’uccisione. Non deve restare un solo cadavere che possa servire ai mortali per le indagini.»