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«Se avessi deciso di dedicarti al violino, probabilmente adesso suoneresti a corte», disse.

«Nicki, questi discorsi sono veleno», sussurrai io. «Non si può far altro che cercare di ottenere ciò che si vuole. Sapevi che le probabilità erano contrarie, quando hai incominciato. Non c’è nient’altro… a parte…»

«Lo so.» Nicki sorrise. «A parte l’insignifìcanza. La morte.»

«Sì», assentii io. «Al massimo puoi fare in modo che la tua vita abbia significato, fare in modo che sia il bene…»

«Oh, non ricominciare con il bene», m’interruppe. «Tu e la tua malattia della mortalità, e la tua malattia del bene.» Distolse gli occhi dal fuoco e mi guardò con un’espressione volutamente sprezzante. «Siamo una compagnia di attori e musicisti che non hanno neppure il diritto d’essere sepolti in terra consacrata. Siamo reietti.»

«Dio, se almeno potessi crederlo», dissi, «se credessi che facciamo del bene quando induciamo altri a dimenticare le loro angosce, a dimenticare per un poco che…»

«Che cosa? Che moriranno?» Nicki sorrise con cattiveria. «Lestat, pensavo che saresti cambiato, una volta arrivato a Parigi.»

«È una sciocchezza da parte tua, Nicki», risposi. Mi stavo irritando. «Io faccio del bene nel Boulevard du Temple. Lo sento…»

M’interruppi perché di colpo vidi di nuovo la faccia misteriosa, e una sensazione oscura passò su di me, una specie di premonizione. Tuttavia quella faccia sconvolgente di solito sorrideva, e questa era la cosa strana. Sì, sorrideva…, si divertiva…

«Lestat, ti amo», disse solennemente Nicki. «Ti amo come ho amato poche persone nella mia vita. Ma sei un vero sciocco con tutte le tue idee sul bene.»

Risi. «Nicolas», dissi, «posso vivere senza Dìo. Posso vivere persino con l’idea che non vi sia un aldilà. Ma non credo che potrei continuare se non credessi nella possibilità del bene. Per una volta, anziché irridermi, perché non mi dici in che cosa credi?»

«Secondo me», rispose, «c’è la debolezza e c’è la forza. E c’è l’arte buona e l’arte cattiva. Ecco in che cosa credo. In questo momento, siamo impegnati a creare un’arte piuttosto scadente, e questo non ha nulla a che vedere con il bene!»

La «nostra conversazione» avrebbe potuto trasformarsi a questo punto in un vero litigio se avessi detto tutto ciò che avevo in mente a proposito della pomposità borghese. Credevo sinceramente che il nostro lavoro al teatro di Renaud fosse sotto molti aspetti migliore di ciò che vedevo nei grandi teatri. Soltanto la cornice era meno impressionante. Perché un borghese gentiluomo non poteva dimenticare quella cornice? Com’era possibile indurlo a vedere qualcosa che non fosse la superficie?

Respirai profondamente.

«Se il bene esiste», disse Nicki, «allora io sono il suo contrario. Sono malvagio e me ne glorio. Sbeffeggio il bene. E se proprio ci tieni a saperlo, non suono il violino per rendere felici gli idioti che vengono da Renaud. Lo suono per me, per Nicolas.»

Non volevo ascoltare altro. Era tempo di andare a letto. Ma ero ferito da quel dialogo, e lui lo sapeva; e quando cominciai a togliermi gli stivali, si alzò dalla sedia e venne a sedersi vicino a me.

«Scusami», disse con voce spezzata. Era così cambiato rispetto a un minuto prima che alzai gli occhi: appariva tanto giovane e avvilito che non potei fare a meno di abbracciarlo e dirgli che non doveva più preoccuparsi.

«Hai in te una sorta di luminosità, Lestat», mi disse. «E attira tutti. È presente anche quando sei furioso o scoraggiato…»

«Poesia», dissi. «Siamo stanchi tutti e due.»

«No, è vero», disse Nicki. «Hai in te una luce quasi accecante. In me, invece, c’è soltanto tenebra. A volte penso che sia simile alla tenebra che ti ha contagiato quella notte nella locanda, quando hai cominciato a piangere e tremare. Eri così indifeso, così impreparato. Io cerco di tenerti lontana la tenebra perché ho bisogno della tua luce. Ne ho un bisogno disperato, mentre tu non hai bisogno della tenebra.»

«Il matto sei tu», dissi io. «Se potessi vederti e ascoltare la tua voce, la tua musica… che naturalmente suoni per te stesso… non vedresti la tenebra, Nicki. Vedresti una luce tutta tua. Cupa, sì; ma luce e bellezza si congiungono in te in mille modi diversi.»

La sera dopo, la rappresentazione andò particolarmente bene, il pubblico era vivace e ci incitava a fare del nostro meglio. Eseguii alcuni passi di danza nuovi che per qualche ragione non erano interessanti nelle prove, ma sul palcoscenico risultavano miracolosamente efficaci. E Nicki fu straordinario con il violino, ed eseguì una delle sue composizioni.

Ma, verso la fine della serata, scorsi di nuovo la faccia misteriosa. Mi turbò ancor più delle altre volte, e per poco non persi il ritmo del canto. Per un momento, anzi, mi sembrò che mi girasse la testa.

Quando restai solo con Nicki, dovetti parlare assolutamente della bizzarra sensazione di essermi addormentato in palcoscenico e di aver sognato.

Sedemmo accanto al camino, con il vino su un bariletto. Alla luce del fuoco Nicki appariva stanco e depresso come la sera precedente.

Non desideravo turbarlo, ma non potevo dimenticare quella faccia.

«Ebbene, com’è?» chiese Nicolas, mentre si scaldava le mani. Al di sopra della sua spalla vedevo, oltre la finestra, una distesa di tetti coperti di neve che mi facevano sentire un freddo ancora più intenso. La conversazione non mi era gradita.

«Questo è il peggio», dissi. «Vedo soltanto una faccia. Deve indossare qualcosa di nero, un mantello e persino un cappuccio. Ma la faccia mi sembra una maschera, bianchissima e stranamente nitida. Voglio dire, le rughe sono così profonde da sembrare tracciate con il cerone nero. La vedo per un momento. E splende. Quando guardo di nuovo, non c’è nessuno. La mia è senz’altro un’esagerazione. È qualcosa di molto più sottile, il suo modo di guardare… tuttavia…»

La descrizione parve turbare Nicki quanto turbava me. Non disse nulla. Ma il volto si raddolcì un poco, come se dimenticasse la tristezza.

«Bene, non voglio darti troppe speranze», disse poi. Era gentile e sincero. «Ma forse quella che vedi è davvero una maschera. Forse è qualcuno della Comédie-Francaise venuto a vederti recitare.»

Scrollai la testa. «Vorrei che fosse vero; ma nessuno porterebbe una maschera simile. E ti dirò un’altra cosa.»

Nicki attese; ma mi accorsi che gli stavo comunicando un po’ della mia apprensione. Allungò la mano, prese la bottiglia e versò un po’ di vino nel mio bicchiere.

«Chiunque sia», dissi, «sa dei lupi.»

«Che cosa?»

«Sa dei lupi.» Ero molto insicuro: Era come raccontare un sogno dimenticato quasi completamente. «Sa che a casa ho ucciso i lupi. Sa che il mio mantello è foderato con le loro pelli.»

«Cosa dici? Gli hai forse parlato?»

«No, ma lo so», risposi. Era così vago, e mi confondevo. Provavo di nuovo quella sensazione di stordimento. «È quello che sto cercando di dirti. Non gli ho mai parlato. Non gli sono mai stato vicino. Ma lui sa.»

«Ah, Lestat», disse Nicki, e si assestò sulla panca. Mi sorrideva nel suo modo più accattivante. «Fra un po’ vedrai i fantasmi. Hai l’immaginazione più scatenata che io abbia mai conosciuto.»

«I fantasmi non esistono», risposi a voce bassa. Feci una smorfia guardando il nostro fuocherello, e vi aggiunsi qualche pezzo di carbone.

Nicolas si oscurò. «Come diavolo potrebbe sapere dei lupi? E tu, come potresti…?»

«Te l’ho già detto, non lo so!» Rimasi seduto a pensare senza dir nulla; forse ero disgustato dall’apparenza ridicola di quella storia.

E mentre stavamo in silenzio e il fuoco era l’unica fonte di suono e di movimento nella stanza, l’espressione «Uccisore di Lupi» mi giunse distintamente come se qualcuno l’avesse pronunciata.

Ma non l’aveva pronunciata nessuno.

Guardai Nicki, dolorosamente consapevole che le sue labbra non si erano mosse; e credo che tutto il sangue mi defluisse dal volto. Non provavo il timore della morte, come era avvenuto tante altre notti, bensì una sensazione che per me era veramente estranea: la paura.

Ero ancora lì seduto, troppo insicuro per dire qualcosa, quando Nicolas mi baciò.

«Andiamo a letto», disse sottovoce.