Le finestre chiuse dalle grate offrivano una veduta illimitata delle nubi illuminate dalla luna, e vidi di nuovo la città baluginare come se allargasse le braccia.
«Ah, più tardi potrai guardare tutto a sazietà», disse Magnus. Si girò verso di me mentre stava davanti a un grande mucchio di legna accatastato al centro del pavimento.
«Ascolta con attenzione», disse, «perché sto per lasciarti.» Indicò la legna con noncuranza. «E vi sono certe cose che devi sapere. Ora sei immortale. E presto la tua natura ti condurrà alla prima vittima umana. Sii rapido e non avere misericordia. Ma interrompi il tuo banchetto, per quanto delizioso, prima che il cuore della vittima cessi di battere.
«Negli anni futuri sarai abbastanza forte per sentire quel grande momento; ma per ora cedi la coppa al tempo prima che sia vuota. Altrimenti potresti pagare il tuo orgoglio a caro prezzo.»
«Ma perché mi abbandoni?» chiesi, disperato. Mi aggrappai a lui. Vittime, misericordia, banchetti… Mi sentivo bombardato da quelle parole come se fossero percosse.
Si svincolò da me così facilmente che il movimento mi fece male alle mani. Le guardai, meravigliato dalla strana qualità del dolore. Non era come il dolore dei mortali
Tuttavia si fermò e indicò le pietre del muro di fronte. Vidi che una, molto grande, era stata smossa, e si trovava a un piede dal resto della superficie.
«Afferrala», disse Magnus. «E toglila dal muro.» «Non posso», obiettai. «Deve pesare…»
«Toglila!» Tese un indice ossuto e fece una smorfia. Cercai di obbedire.
Con immenso sbalordimento smossi la pietra con facilità e vidi un’apertura buia, abbastanza ampia perché un uomo potesse passare strisciando.
Proruppe in una risata secca e annuì.
«Là, figlio mio, c’è il passaggio che porta al mio tesoro», disse. «Fa’ ciò che vuoi di quel tesoro, e di tutte le mie proprietà terrene. Ma per ora, devo avere i miei voti.»
Poi, sorprendendomi di nuovo, prese due fuscelli di legno e li strofinò con forza fino a far scaturire due fiammelle.
Li gettò sul mucchio di legna, e la resina fece divampare il fuoco, che gettò un’immensa luce sul soffitto a volte e sui muri di pietra.
Indietreggiai con un grido. Il tumulto giallo e arancione m’incantava e mi spaventava e il caldo, sebbene lo percepissi, non mi causava una sensazione comprensibile. Era squisito, e per la prima volta mi accorsi di aver avuto molto freddo. Il freddo era come una crosta di ghiaccio che mi rivestiva e il fuoco lo scioglieva, facendomi quasi gemere.
Magnus rise di nuovo, quella risata rantolante, e cominciò a danzare nella luce. Le gambe esili lo facevano sembrare uno scheletro con la faccia bianca di un uomo. Alzò le mani sopra la testa, piegò il busto e le ginocchia, e girò su se stesso, intorno al fuoco.
«Mon Dieu!» bisbigliai. Ero stordito. Appena un’ora prima sarebbe stato orribile vederlo danzare così; ma ora, in quella luce palpitante, era uno spettacolo che mi attirava a seguirlo passo passo. La luce esplodeva sui cenci di raso, sui pantaloni e sulla camicia lacera.
«Ma non puoi lasciarmi!» lo supplicai, cercando di conservare nitidi i pensieri e di comprendere ciò che aveva detto. La mia voce aveva un suono mostruoso. Cercai di abbassarla. «Dove andrai?»
Proruppe in una risata fragorosa, si battè la mano sulla coscia e danzò più svelto, allontanandosi da me, con le mani protese come per abbracciare il fuoco.
Solo adesso si stavano accendendo i ceppi più grossi. La camera, nonostante la grandezza, era come un grande forno d’argilla, e il fumo usciva a fiotti dalle finestre.
«No, il fuoco no!» Mi buttai all’indietro contro il muro. «Non puoi finire nel fuoco!»
La paura mi soverchiava, come tutto mi aveva soverchiato. Era come ogni sensazione che avevo conosciuto fino a quel momento. Non potevo resisterle e neppure negarla. Piagnucolavo e urlavo.
«Oh, sì, posso», rise Magnus. «Sì, posso!» Rovesciò la testa all’indietro e la sua risata si prolungò in ululati. «Ma da te, aquilotto, ora voglio una promessa», disse fermandosi davanti a me con l’indice proteso. «Suvvia, un piccolo onore mortale, mio coraggioso Uccisore di Lupi, altrimenti, anche se mi si spezzerà il cuore, ti getterò nel fuoco e mi cercherò un altro figlio. Rispondi!»
Tentai invano di parlare. Annuii.
Nella luce divampante vidi le mie mani diventare bianche. E sentii una fitta dolorosa al labbro inferiore che quasi mi fece gridare.
I miei canini erano già diventati zanne! Li sentii e guardai Magnus in preda al panico, ma lui ghignava come se godesse del mio terrore.
«Ora, dopo che sarò bruciato», disse afferrandomi il polso, «e dopo che il fuoco sarà spento, devi disperdere le ceneri. Ascoltami, piccolo. Disperdi le ceneri, altrimenti posso ritornare, e non oso pensare quale forma potrei assumere. Ma ricorda le mie parole: se mi permetterai di ritornare più orrendo di quanto sia ora, ti darò la caccia e ti brucerò fino a quando sarai sfigurato come me. Hai compreso?»
Non trovavo ancora la forza di rispondere. Non era paura. Era l’inferno. Sentivo i miei denti crescere, il mio corpo fremere. Annuii, freneticamente.
«Ah, sì.» Magnus sorrise e annuì a sua volta. Il fuoco lambiva il soffitto dietro di lui, la luce gli alonava la faccia. «Ora vado in cerca dell’inferno, se esiste l’inferno, oppure del dolce oblio che sicuramente non merito. Se esiste un Principe delle Tenebre, allora finalmente lo vedrò. E gli sputerò in faccia.
«Perciò disperdi ciò che sarà bruciato, te lo comando: e poi raggiungi il mio covo attraverso quel passaggio e abbi cura di rimettere a posto la pietra. Vi troverai la mia bara. In quella, o in un’altra simile, dovrai rinchiuderti durante il giorno, altrimenti la luce del sole ti incenerirà. Ricorda le mie parole: sulla terra nulla può porre fine alla tua vita tranne il sole, o un fuoco come quello che vedi davanti a te; e in questo caso, come ho detto, solo se le ceneri verranno disperse.»
Distolsi il viso da Magnus e dalle fiamme. Avevo cominciato a piangere, e per non singhiozzare mi premevo la mano contro la bocca.
Magnus mi attirò intorno al fuoco, davanti alla pietra smossa, e l’additò di nuovo.
«Rimani con me, ti prego», lo implorai. «Ancora un poco, ancora una notte!» Il volume della mia voce mi atterrì di nuovo. Non era la mia voce. Lo abbracciai. Lo strinsi. La faccia bianca e scarna mi appariva inspiegabilmente bella, e gli occhi neri avevano l’espressione più strana.
La luce gli guizzava sui capelli e sugli occhi. Atteggiò di nuovo la bocca in un sorriso buffonesco.
«Ah, figlio avido», disse. «Non ti basta essere immortale con tutto il mondo a tua disposizione? Addio, piccolo. Fai ciò che ti dico. Ricorda, le ceneri! E, oltre questa pietra, la camera interna. Là c’è tutto ciò di cui avrai bisogno per esistere nella prosperità.»
Mi sforzai di trattenerlo. Rise sommessamente al mio orecchio, meravigliandosi della mia forza. «Eccellente, eccellente», mormorò. «Ora vivi per sempre, bell’Uccisore di Lupi, con i doni che ho aggiunto alle tue doti.»
Mi scostò facendomi vacillare. E spiccò un balzo così alto, per ricadere in mezzo alle fiamme, che mi sembrò volasse.
Lo vidi discendere. Vidi il fuoco appiccarsi alle sue vesti.
Mi sembrò che la testa diventasse una torcia. All’improvviso gli occhi si spalancarono, la bocca divenne una grande caverna nera nello splendore delle fiamme, la risata acquistò un volume penetrante. Mi tappai le orecchie.
Sembrava saltare carponi nelle fiamme. Di colpo mi accorsi che le mie grida avevano sommerso la sua risata.
Le braccia e le gambe esili e nere si alzarono e si abbassarono, e all’improvviso sembrarono consumarsi. Il fuoco si spostò e ruggì. E nel suo cuore non vidi più nulla se non la vampa.