Ma all’improvviso pensai: «Sto guardando la mia immagine! E non era stato detto e ridetto che spettri e spiriti e coloro che hanno perduto l’anima non si riflettono negli specchi?»
Fui preso dalla smania di sapere tutto ciò che ero. Dalla smania di sapere come dovevo muovermi tra i mortali. Volevo girare per le vie di Parigi e vedere con i miei occhi nuovi tutti i miracoli della vita che avevo appena intravvisto. Volevo vedere le facce della gente, vedere i fiori in boccio, e le farfalle. Vedere Nicki e ascoltare Nicki che suonava la sua musica… no.
Dovevo rinunciare. Ma c’erano centinaia di forme di musica, no? E quando chiudevo gli occhi potevo quasi sentire l’orchestra dell’Opera, e le arie che mi risuonavano all’orecchio. Il ricordo era così chiaro, così nitido.
Ma ormai non vi sarebbe stato più nulla dì normale. Né la gioia né il dolore né il ricordo più semplice. Tutto avrebbe avuto un fulgore magnifico, persino il rammarico per le cose perdute per sempre.
Posai lo specchio, presi dalla cassapanca uno dei vecchi fazzoletti di trine ingiallite e mi asciugai le lacrime. Mi voltai e sedetti accanto al fuoco. Il calore era delizioso sul mio viso e sulle mani.
Una grande, dolce sonnolenza mi vinse; chiusi di nuovo gli occhi e all’improvviso mi sentii immerso nello strano sogno di Magnus che rubava il sangue. Tornò il senso d’incantamento, di piacere vertiginoso… Magnus che mi teneva e il mio sangue che fluiva in lui. Ma sentivo le catene che stridevano sul pavimento della vecchia catacomba, vedevo il vampiro indifeso tra le traccia di Magnus. C’era qualcosa di più… qualcosa d’importante. Un significato. A proposito del furto, del tradimento… la decisione di non arrendersi a nessuno, né Dio né demone e neppure uomo.
Pensai e pensai, semisveglio e semismarrito nel sogno, e fui colpito dal pensiero più folle: avrei detto tutto a Nicki, appena fossi tornato a casa avrei raccontato tutto, il sogno e il suo possibile significato, e avremmo parlato…
Aprii gli occhi con un sussulto. L’umano che era in me si guardò intorno disperato. Ricominciò a piangere, e il demone appena nato era troppo giovane per tenerlo a freno. I singhiozzi erano violenti, e mi coprii la bocca con la mano.
Magnus, perché mi hai lasciato? Magnus, che cosa devo fare, come posso andare avanti?
Piegai le ginocchia e vi appoggiai la testa. A poco a poco la mia mente si schiarì.
«Bene, è stato divertente fingere di essere quel vampiro», pensai, «e portare quei vestiti lussuosi e passare le dita tra quelle ricchezze. Ma non puoi vivere così! Non puoi nutrirti di esseri viventi! Anche se sei un mostro, hai una coscienza che ti è naturale… il Bene e il Male, il bene e il male. Non puoi vivere senza credere in… Non puoi ammettere gli atti che… domani… domani… che cosa farai? Berrai il sangue, no?»
L’oro e le pietre preziose brillavano come braci nella cassapanca, e al di là delle sbarre della finestra spiccava contro le nubi grigie il riverbero violetto della città lontana. Com’è il loro sangue? Il sangue vivo e caldo, non il sangue dei mostri. Premetti la lingua contro il palato, contro le zanne.
Pensaci, Uccisore di Lupi.
Mi alzai in piedi, lentamente. Era come se fosse la volontà a fare in modo che accadesse, e non il corpo. Era così facile. Presi il mazzo di chiavi che avevo trovato nella stanza, e andai a ispezionare il resto della mia torre.
6.
Stanze vuote. Finestre con le grate. La grande volta infinita della notte sugli spalti. Fu tutto ciò che trovai al di sopra del piano terreno.
Ma al piano inferiore della torre, davanti alla porta della scala delle segrete, c’era una torcia resinosa infilata in un anello, e una scatola con l’esca nella nicchia vicina. Orme nella polvere. La serratura ben oliata e facile da aprire quando finalmente trovai la chiave giusta…
Protesi la torcia davanti a me nella stretta scala a chiocciola e cominciai a scendere, un po’ schifato dal lezzo che saliva da molto più in basso.
Naturalmente conoscevo quel lezzo. Era abbastanza comune in tutti i cimiteri di Parigi. Agli Innocenti era come un vapore nocivo, e bisognava sopportarlo per fare compere nei banchetti e parlare con gli scrivani. Era il fetore dei cadaveri in decomposizione.
E, sebbene mi nauseasse e mi costringesse a risalire di qualche gradino, non era poi tanto forte, e l’odore della resina che bruciava contribuiva a vincerlo.
Continuai la discesa. Se lì c’erano mortali defunti… be’, non potevo comunque fuggire.
Ma al primo livello sotterraneo non trovai nessun cadavere. C’era solo una grande camera sepolcrale, con le porte di ferro arrugginite aperte verso la scala, e tre giganteschi sarcofagi di pietra al centro. Era molto simile alla cella di Magnus, ma era assai più grande. Aveva lo stesso soffitto a volta, e lo stesso camino rudimentale.
E che cosa poteva significare, se non che un tempo lì avevano dormito altri vampiri? Nessuno costruisce camini nei sepolcri. O almeno, a me non risultava. E c’erano panche di pietra. E i sarcofagi erano come quello che stava di sopra, con grandi figure scolpite sui coperchi.
Ma su tutto era posata la polvere degli anni. E c’erano tante ragnatele. Senza dubbio lì non dimoravano più i vampiri. Impossibile. Eppure era molto strano. Dov’erano coloro che avevano dormito nei sarcofagi? Si erano bruciati come Magnus? Oppure esistevano tuttora, chissà dove?
Andai ad aprire i sarcofagi, a uno a uno. Dentro c’era soltanto polvere. Niente faceva pensare alla presenza di altri vampiri, o alla loro esistenza.
Uscii e continuai a scendere la scala, anche se l’odore di putredine diventava sempre più forte. Molto presto, anzi, divenne insopportabile.
Proveniva da una porta che vedevo, più in basso. Dovetti compiere uno sforzo per avvicinarmi. Come mortale, naturalmente, avevo odiato quel fetore; ma non avevo mai provato nulla di simile all’avversione che sentivo ora. Il mio corpo nuovo voleva fuggire. Mi fermai, trassi un profondo respiro, e con uno sforzo mi avviai verso la porta, deciso a vedere che cosa aveva fatto lì il demonio.
Ebbene, il fetore non era nulla in confronto a ciò che vidi.
In una cella giaceva un cumulo di cadaveri in tutte le fasi della decomposizione, con le ossa e la carne putrida che brulicavano di vermi e insetti. I ratti fuggirono lontano dalla luce della torcia e mi sfiorarono le gambe correndo verso la scala. E la nausea divenne un nodo alla gola. Il lezzo mi soffocava.
Ma non potevo smettere di guardare quei corpi. C’era qualcosa d’importante, di terribilmente importante da comprendere. E all’improvviso mi resi conto che tutte le vittime erano stati uomini, come attestavano gli stivali e gli indumenti laceri, e tutti avevano avuto i capelli biondi, come i miei. I pochi che conservavano ancora i lineamenti sembravano giovani, alti, snelli. E il più recente… il cadavere madido e puzzolente che giaceva con le braccia protese attraverso le sbarre, mi somigliava tanto che avrebbe potuto essere mio fratello.
Stordito, mi avvicinai fino a che la punta del mio stivale gli toccò la testa. Abbassai la torcia e aprii la bocca come per urlare. Gli occhi viscidi coperti da moscerini erano azzurri!
Arretrai barcollando. Fui preso dalla paura folle che l’essere si muovesse e mi afferrasse la caviglia. E sapevo perché. Mentre indietreggiavo verso il muro inciampai in un piatto di cibo marcio e in una caraffa. La caraffa si rovesciò e si ruppe e il latte cagliato si sparse come vomito.
Il dolore mi serrò le costole. Il sangue mi salì alla bocca come fuoco liquido e mi sprizzò dalle labbra, piovve sul pavimento davanti a me. Dovetti appoggiarmi alla porta per sostenermi.