— E lui ti paga.
Lei annuì.
— Eppure guarda come vivi.
— Non… — Kathy andò in cerca di una risposta. — Non mi capitano molti clienti.
— Idiozie. Sei in gamba. Ti ho vista lavorare. Hai esperienza.
— Un talento naturale.
— Un talento allenato.
— Okay. Tutti i soldi finiscono nell’appartamento dei quartieri alti. Il mio appartamento grande. — Kathy strinse i denti. Non le piacevano gli interrogatori.
— No. — Jason non ci credeva.
Kathy fece una pausa. Poi: — Mio marito è vivo. È in un campo di lavori forzati in Alaska. Sto cercando di comperargli la libertà passando informazioni al signor McNulty. Tra un anno… — Scrollò le spalle. Adesso la sua espressione era malinconica, da introversa. — Lui dice che Jack potrà uscire. E tornare qua.
“E così” pensò lui “tu spedisci altra gente nei campi per tirare fuori tuo marito. Il tipico accordo degno della polizia. Probabilmente è vero.”
— Un affare fantastico per loro — disse. — Perdono un uomo e ne guadagnano… Quanti diresti di averne fregati per conto loro? Decine? Centinaia?
Lei rifletté. — Forse centocinquanta.
— È una malvagità — disse lui.
— Davvero? — Kathy lo scrutò con occhi nervosi, stringendo Domenico al seno piatto. Poi, lentamente, andò in collera. Glielo si poteva leggere in volto, e dalla stretta feroce sul gatto contro il petto. — Un accidente! — ribatté decisa, scuotendo la testa. — Io amo Jack e lui ama me. Mi scrive di continuo.
Lui fu crudele. — Lettere falsificate. Certamente da qualcuno dei pol.
Dagli occhi di Kathy sgorgarono lacrime in quantità sorprendente. Le offuscarono lo sguardo. — Credi? A volte lo penso anch’io. Vuoi guardarle? Riusciresti ad accorgertene?
— È probabile che non siano false. È più economico e semplice tenerlo in vita e lasciargli scrivere le lettere. — Jason sperò che quella risposta la facesse sentire meglio, ed evidentemente fu così. Le lacrime si fermarono.
— Non ci avevo pensato. — Lei annuì, ma continuò a non sorridere. Fissò lo sguardo nel vuoto, cullando automaticamente il gattino.
— Se tuo marito è vivo… — Jason, adesso, ci andò cauto. — Pensi che sia il caso che tu vada a letto con altri uomini, per esempio con me?
— Ma certo. Jack non ha mai fatto obiezioni. Anche prima che lo arrestassero. E sono sicura che non le farà adesso. A dire il vero, me ne ha parlato in una lettera. Vediamo, dev’essere stato forse sei mesi fa. Credo che dovrei riuscire a trovarla. Le ho tutte su microfilm. In laboratorio.
— Perché?
— A volte ne faccio leggere qualcuna ai clienti. Così poi potranno capire perché ho fatto quel che ho fatto.
A quel punto, Jason francamente non sapeva più quali emozioni provasse per lei, o quali dovesse provare. Gradualmente, con gli anni, Kathy era stata coinvolta in una situazione dalla quale non poteva più uscire. E nemmeno lui vedeva altre vie di fuga per lei; la faccenda era andata avanti per troppo tempo. I semi del male erano stati gettati e lasciati crescere.
— Non puoi più tornare indietro. — Lo sapeva, e sapeva che lei lo sapeva. — Ascolta — le disse in tono dolce. Le appoggiò una mano sulla spalla, ma Kathy, come prima, si ritrasse immediatamente. — Di’ ai pol che lo vuoi libero subito, e che non gli consegnerai altre persone.
— Lo libererebbero, se dicessi questo?
— Provaci. — Di certo quel tentativo non avrebbe potuto produrre delle gravi conseguenze. Però poteva immaginare McNulty, e come apparisse agli occhi della ragazza. Non sarebbe mai riuscita ad affrontarlo; i McNulty del mondo intero non si lasciano affrontare da nessuno. Tranne quando succede qualcosa di molto strano.
— Lo sai cosa sei? — disse Kathy. — Sei una persona molto buona.
Lui scrollò le spalle. Come tante verità, era questione d’opinioni. Forse era proprio così. In quella situazione, perlomeno. Non in altre. Ma Kathy non lo sapeva.
— Siediti — le disse. — Coccola il gatto e bevi il tuo Screwdriver. Non pensare a niente. Ci riesci? Sei capace di svuotare la mente per un po’? Provaci. — Le portò una sedia; e lei, obbediente, sedette.
— Lo faccio sempre — disse con voce vacua, cupa.
— Ma fallo in modo positivo.
— Cosa vorresti dire?
— Fallo per un vero scopo, non solo per cercare di sfuggire a verità sgradevoli. Fallo perché ami tuo marito e lo vuoi riavere. Perché vuoi che tutto torni a essere come prima.
— Sì — convenne lei. — Ma adesso ho incontrato te.
— E questo cosa significa? — Jason tornò a essere più cauto. Quella risposta lo lasciava perplesso.
— Sei più magnetico di Jack. È magnetico anche lui, ma tu lo sei molto di più. Magari, dopo avere conosciuto te, non riuscirò più ad amarlo sul serio. O tu pensi che si possano amare due persone con la stessa intensità ma in modi diversi? Il conduttore del mio gruppo di terapia dice di no. Dice che devo scegliere. Dice che è uno degli aspetti basilari della vita. Il fatto è che è già successo. Ho incontrato diversi uomini più magnetici di Jack… Però nessuno quanto te. Adesso non so proprio cosa fare. È molto difficile decidere su cose simili perché non ne puoi parlare con nessuno. Nessuno capisce. Bisogna cavarsela da soli, e a volte si fanno le scelte sbagliate. Per esempio, come se io scegliessi te al posto di Jack e poi lui tornasse e a me non fregasse più niente di lui: cosa succederebbe? Cosa proverebbe lui? È importante, ma è importante anche quello che provo io. Se tu, o qualcun altro come te, mi piace più di lui, devo dare via libera a quel che sento, questo almeno secondo il mio gruppo di terapia. Lo sapevi che sono stata in un ospedale psichiatrico per otto settimane? Il Morningside Mental Hygiene Relations di Atherton. Me l’hanno pagato i miei. È costato una fortuna, perché non avevano diritto alle sovvenzioni federali. Comunque, là ho imparato tante cose su di me e mi sono fatta un sacco di amici. La maggior parte della gente che conosco davvero l’ho incontrata al Morningside. Certo, quando li ho visti per la prima volta ero convinta che fossero gente famosa, come Mickey Quinn e Arlene Howe. Insomma, celebrità. Come te.
Lui disse: — Conosco sia Quinn che la Howe. Non ti sei persa niente.
Kathy lo scrutò. — Forse non sei una celebrità. Forse sono regredita al mio periodo delle illusioni. Hanno detto che probabilmente mi sarebbe successo, prima o poi. Ora è capitato.
— Il che — fece notare Jason — mi renderebbe una tua allucinazione. Sforzati di più. Non mi sento del tutto reale.
Lei rise. Ma il suo umore restò piuttosto cupo. — Non sarebbe strano se ti avessi inventato io, come hai appena detto? Se guarissi del tutto, tu scompariresti.
— Non scomparirei. Però smetterei di essere una celebrità.
— Hai già smesso di esserlo. — Kathy alzò la testa e lo fissò senza timori. — Ecco perché, forse. Ecco perché sei una celebrità che nessuno ha mai sentito nominare. Ti ho creato io. Sei un prodotto della mia mente in preda alle illusioni, e adesso sto recuperando la sanità mentale.
— Una visione solipsistica dell’universo…
— Per favore, lo sai che non ho idea di cosa significhino parole come quella. Che razza di persona credi che io sia? Non sono famosa e potente come te. Sono solo una che fa un lavoro orribile, mostruoso, e fa finire della gente in prigione perché amo Jack più di tutto il resto della specie umana. Stai a sentire. — Il tono di Kathy diventò deciso, fermo. — L’unica cosa che mi abbia riportata alla normalità è stato il fatto di amare Jack più di Mickey Quinn. Io pensavo che quel ragazzo, quel David, fosse Mickey Quinn, e che fosse un gran segreto che Mickey Quinn fosse uscito di testa e si fosse fatto ricoverare in quell’ospedale per rimettersi in forma, e nessuno doveva saperne niente perché avrebbe rovinato la sua immagine. Così lui faceva finta di chiamarsi David. Però io sapevo. O piuttosto, credevo di sapere. E il dottor Scott ha detto che dovevo scegliere tra Jack e David, o Jack e Mickey Quinn, qualunque cosa pensassi. E ho scelto Jack. Così ne sono uscita. Magari… — Ebbe un attimo di instabilità sulle gambe. Le tremò il mento. — Magari adesso riesci a capire perché devo credere che Jack sia più importante di tutto e di tutti, o comunque di tanta altra gente. Lo capisci?