— Siediti. Tienimi compagnia. — Kathy indicò uno sgabello a tre gambe su un lato del banco da lavoro. — Puoi raccontarmi della tua carriera di star televisiva. Dev’essere affascinante. Tutti i cadaveri sui quali bisogna passare per arrivare in cima. O no?
— Sì — disse lui seccamente. — Ma non ci sono cadaveri. È un mito. La carriera si costruisce col talento, e solo col talento, non con quello che fai o dici ad altra gente al di sopra o al di sotto di te. E bisogna lavorare sodo. Non basta presentarsi e fare due passi di danza per firmare un contratto con la NBC o la cbs. Quelli sono uomini d’affari duri, con un sacco d’esperienza. Specialmente quelli dell’A R. Sono loro a decidere chi mettere sotto contratto. Sto parlando delle case discografiche. È da lì che devi cominciare per arrivare a livello nazionale. Naturalmente puoi continuare a esibirti nei club, dappertutto, finché…
— Ecco qui la tua patente — disse Kathy. Gli passò una tesserina nera. — Adesso mi metto al lavoro sul documento del tuo servizio militare. È un po’ più difficile per le fotografie di fronte e di profilo, ma sistemerò tutto là. — Gli indicò un paravento bianco. Di fronte c’era un treppiede sul quale era montata una macchina fotografica, con il flash a fianco.
— Hai tutte le attrezzature. — Jason si irrigidì davanti al paravento. Nell’arco della sua carriera gli avevano scattato tante foto che sapeva sempre esattamente dove mettersi e quale espressione assumere.
Ma, a quanto sembrava, quella volta aveva sbagliato qualcosa. Kathy lo scrutava con espressione severa.
— Sei radioso — disse come parlando tra sé. — Di una radiosità fasulla.
— Foto promozionali — rispose Jason. — Istantanee venti per venticinque…
— Non è il nostro caso. Queste devono servire a tenerti fuori da un campo di lavori forzati per il resto della vita. Non sorridere.
Lui obbedì.
— Bene. — Kathy estrasse le fotografie dalla macchina, le portò con cautela al banco da lavoro, sventolandole nell’aria per farle asciugare. — Le maledette foto animate in 3-D che vogliono sui documenti del servizio militare… Quella macchina fotografica mi è costata mille dollari e mi serve solo per questo e nient’altro… Ma devo averla. — Lo scrutò. — Ti costerà caro.
— Sì — disse lui, rigido. Se n’era già reso conto.
Kathy lavoricchiò per un po’, poi si girò di colpo verso di lui. — Chi sei, realmente? Sei abituato a metterti in posa. L’ho visto. Ti ho visto immobilizzarti con quel sorriso contento sulle labbra e quegli occhi radiosi.
— Te l’ho detto. Sono Jason Taverner. La star della televisione. Vado in onda tutti i martedì sera.
— No. — Kathy scosse la testa. — Ma non sono affari miei. Scusa. Non avrei dovuto fare domande. — Però continuò a fissarlo. Pareva quasi esasperata. — Stai facendo tutto alla rovescia. Sei davvero una celebrità. Quel tuo modo di metterti in posa è stato un riflesso automatico. Però non sei una celebrità. Non esiste un Jason Taverner che abbia qualche importanza, che sia qualcuno. Allora chi sei? Uno che si fa fotografare di continuo anche se è uno sconosciuto?
Jason rispose: — Mi sto comportando come farebbe una qualunque celebrità del tutto sconosciuta.
Lei lo scrutò per un attimo, poi rise. — Vedo. Be’, grande. Davvero grande. Me lo dovrò ricordare. — Riportò l’attenzione sul documento che stava falsificando. — Non voglio conoscere le persone per le quali lavoro. Però… — Alzò gli occhi. — Credo che mi piacerebbe conoscere te. Sei strano. Ho visto gente di tutti i tipi, centinaia, forse, ma nessuno come te. Lo sai cosa penso?
— Pensi che io sia pazzo.
— Sì. — Kathy annuì. — Clinicamente, legalmente, quello che vuoi. Sei psicotico. Hai una personalità sdoppiata. Il signor Nessuno e il signor Tutti. Come hai fatto a sopravvivere fino ad oggi?
Lui non rispose. Era impossibile da spiegare.
— Okay — disse Kathy. Uno dopo l’altro, con esperienza ed efficienza, falsificò i documenti necessari.
Eddy, il portiere dell’hotel, spuntò di nuovo sul fondo della stanza. Stava fumando un falso Avana. Non aveva niente da dire o da fare, ma per qualche oscura ragione restava lì. “Vorrei che se ne andasse” pensò Jason. “Mi piacerebbe parlare un po’ di più con Kathy…”
— Vieni con me — gli disse all’improvviso lei. Scese dallo sgabello e gli indicò una porta in legno sulla destra del banco da lavoro. — Voglio cinque copie della tua firma, ognuna un po’ diversa dall’altra, in modo che non si possano sovrapporre. È qui che tanti documentatori… — Sorrise mentre apriva la porta. — Noi ci chiamiamo così… È qui che tanti di noi mandano tutto a puttane. Si procurano una sola firma e la trasferiscono su tutti i documenti. Afferri?
— Sì — rispose lui, entrando con Kathy nella stanzetta umida di muffa che sembrava un ripostiglio.
Lei chiuse la porta, fece una pausa, poi disse: — Eddy è una spia della polizia.
Lui la fissò. — Perché?
— Perché? Perché cosa? Perché è una spia della polizia? Per i soldi. Per lo stesso motivo per cui lo sono anch’io.
— Dio vi stramaledica! — Jason la afferrò per il polso destro, la attirò a sé. Lei fece una smorfia sotto la presa della dita. — E ha già…
— Eddy non ha ancora fatto niente — ansimò lei, cercando di liberare il polso. — Mi fai male. Senti, calmati e ti farò vedere. Okay?
Riluttante, con il cuore che gli martellava nel petto, Jason la lasciò andare. Kathy accese una piccola lampada molto luminosa e spostò tre dei documenti falsificati nel fascio di luce. — Una chiazza color porpora sui margini — disse, e indicò i cerchietti quasi invisibili. — Un microtrasmettitore. Emetterai un bip ogni cinque secondi. Vanno in cerca di cospiratori. Vogliono la gente che sta con te.
Jason ribatté con voce roca: — Io non sto con nessuno.
— Ma loro non lo sanno. — Kathy si massaggiò il polso con una smorfia da ragazzina imbronciata. — Certo che voi celebrità televisive del tutto sconosciute avete i riflessi rapidi — mormorò.
— Perché me l’hai detto? — chiese Jason. — Dopo avere falsificato i documenti, dopo…
— Voglio che tu riesca a scappare — rispose lei con semplicità.
— Perché? — Lui continuava a non capire.
— Perché, per la miseria, tu hai qualcosa di magnetico. Me ne sono accorta appena sei entrato. Sei… — Kathy cercò la parola. — Sexy. Anche alla tua età.
— La mia presenza.
— Sì. — Lei annuì. — L’ho già visto in altri personaggi pubblici, da lontano, ma mai tanto da vicino. Capisco benissimo perché immagini di essere una star televisiva. Lo sembri sul serio.
— E come faccio a scappare? — chiese lui. — Me lo dici tu? O mi costerà anche questo?
— Dio, come sei cinico.
Lui rise, la afferrò di nuovo per il polso.
— Ma non credo di avercela con te. — Kathy scosse la testa, assunse un’espressione da maschera impenetrabile. — Per prima cosa potresti comperare Eddy. Altri cinquecento dollari dovrebbero bastare. In quanto a me, non dovrai comperarmi. Se, e solo se, e non scherzo, se resterai con me per un po’. Sei… seducente, come un buon profumo. Reagisco alla tua presenza, ed è una cosa che non mi capita mai con gli uomini.
— Con le donne, allora? — chiese Jason, acido.
Kathy ignorò la frase. — Resterai?
— Al diavolo — disse lui. — Me ne andrò. — Tese la mano, aprì la porta alle spalle di Kathy, la superò e tornò in laboratorio. Lei lo seguì immediatamente.
Lo raggiunse, tra le ombre vuote e indecifrabili del ristorante abbandonato. Lo guardò dritto in faccia nella tenebra. Ansimava. — Ti hanno già messo addosso un trasmettitore.