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Quanti anni ha la bambina? – Quattordici.

– Bene! Nemmeno la Seconda Fondazione o Hari Seldon in persona potranno impedire alla ragazzina di diventare donna.

Detto questo si diresse a grandi passi verso la porta nascosta da una tenda e l'apri violentemente.

– Che cosa fai qui? – tuono.

Callia sbatte le palpebre impaurita. – Non sapevo che eri occupato.

– Adesso lo sai.

Ne parleremo dopo di questa faccenda, ma ora sparisci, capito? E in fretta.

I passi di Callia si persero lungo il corridoio.

Stettin torno nella stanza. – Sono i resti di un intermezzo durato troppo a lungo.

Finira presto.

Quattordici anni avete detto? Homir lo guardo in faccia con occhi pieni di orrore.

Arcadia si volto a guardare la porta che si apriva silenziosamente e scatto in piedi.

Una figura in bianco nascosta nella penombra le faceva segno di seguirla.

Rimase un attimo interdetta poi in punta di piedi traverso la stanza e si avvio nel corridoio.

Camminarono senza far rumore.

Era Callia, che le stringeva cosi forte la mano da farle male. Per una strana ragione la segui senza fare obiezioni, perche di Callia non aveva paura.

Ma che stava succedendo? Erano entrate nella stanza da letto, tutta tappezzata e arredata di rosa.

Callia chiuse la porta appoggiandovi la schiena.

– Questo – disse, – e il passaggio privato dalle mie stanze al suo ufficio – e indico con il dito, come se il solo pensiero di lui la terrorizzasse. – Ce l'abbiamo quasi fatta… quasi fatta. – Aveva le pupille dilatate dalla paura.

– Vi dispiacerebbe dirmi che cosa… – comincio Arcadia timidamente.

Callia la interruppe con un gesto frenetico. – No, bambina, no.

Non c e tempo.

Spogliati.

Per favore, fa, in fretta.

Ti daro altri vestiti.

Si precipito verso l'armadio, gettando i vestiti per terra, nell'affannosa ricerca di qualche abito che la ragazza avrebbe potuto indossare senza dare troppo nell'occhio.

– Ecco qui questo andra bene.

Hai denaro? Ecco qui prendi. – Si tolse gli orecchini e gli anelli. – Parti subito… ritorna alla Fondazione.

– Ma Homir… mio zio – protesto Arcadia mentre l'altra l'aiutava a rivestirsi.

– Lui non potra partire.

Puccino lo costringera a rimanere qui, ma tu, cara, devi fuggire.

Non capisci? – No – rispose Arcadia voltandosi improvvisamente. – Non capisco.

Callia le prese le mani stringendogliele. – Devi tornare per avvisare la tua gente che ci sara la guerra.

Hai capito? – Il terrore sembrava aver dato un po di coerenza ai suoi pensieri facendole pronunciare parole che prima non avrebbe mai nemmeno immaginato. – Ora vieni! Uscirono da un'altra porta, passando davanti ad alcuni ufficiali di guardia che le guardarono ma non tentarono di fermare la donna che solo il Primo Cittadino poteva ordinare di fermare.

Le guardie sbatterono i tacchi e salutarono militarmente.

Arcadia respirava solo a tratti, il palazzo sembrava non finire mai, eppure da quando era stata portata via dall'anticamera del Primo Cittadino a quando furono fuori dal cancello, erano passati solo venti minuti.

Si volto indietro commossa. – Non… non so perche avete fatto questo per me, mia signora, ma grazie… grazie di cuore.

Che succedera allo zio Homir? – Non lo so – rispose Callia, – ma adesso vai.

Vai subito allo spazioporto.

Non ti fermare per nessuna ragione.

Puo darsi che lui ti stia gia cercando.

Arcadia esitava.

Non se la sentiva di abbandonare Homir, e ora che si trovava all'aria aperta s'era fatta sospettosa. – Ma che vi importa se lui mi cerca? Callia abbasso la testa e mormoro. – Non posso spiegare certe cose a una bambina come te.

Non sta bene.

Ebbene, tu crescerai e io… io ho incontrato Puccino che avevo sedici anni.

Non posso permettere che tu vada in giro per la casa, capisci? – I suoi occhi la fissavano ostili.

Arcadia comprese e la guardo sorpresa e terrorizzata.

Mormoro: – Che cosa fara quando lo sapra? Callia ebbe un brivido. – Non so. – E l'accarezzo mentre la ragazza si girava per meta verso l'uscita del palazzo del Signore di Kalgan.

Per un secondo che parve eterno, Arcadia non si mosse, perche all'ultimo momento, prima che Callia se ne andasse, Arcadia aveva visto qualcosa.

Quegli occhi impauriti s'erano illuminati per un istante di una luce divertita.

Aveva visto quegli occhi solo per un secondo ma Arcadia non ebbe dubbi su cio che aveva intuito.

Ora correva, correva disperatamente, alla ricerca di una cabina pubblica libera dove avrebbe potuto, premendo un bottone, chiamare un taxi.

Non stava fuggendo da Stettin, non da lui o dagli impedimenti materiali che avrebbe potuto crearle.

Fuggiva da una fragile donna che l'aveva aiutata a scappare.

Da una creatura che l'aveva colmata di denaro e di gioielli; che aveva rischiato la propria vita per salvarla.

Fuggiva un'entita che aveva riconosciuto con certezza come una donna della Seconda Fondazione.

Un taxi si fermo davanti alla cabina.

Il vento agito i riccioli che spuntavano dal cappuccio che le aveva dato Callia.

– Dove andiamo, signorina? Si sforzo di mantenere un tono di voce basso che non tradisse la sua voce da bambina. – Quanti spazioporti ci sono in citta? – Due.

In quale volete andare? – Qual e il piu vicino? Il tassista la guardo sorpreso. – Kalgan Centrale, signorina.

– Portatemi all'altro, per favore.

Ho abbastanza soldi. – Aveva in mano un biglietto da venti kalganidi.

Il tassista guardo il biglietto soddisfatto.

– Agli ordini, signorina.

Il servizio taxi del cielo vi porta ovunque.

Arcadia appoggio la guancia al finestrino.

Le luci della citta si muovevano lentamente sotto di lei.

Che cosa avrebbe fatto ora? In quel momento senti d'essere una stupida bambina, lontana dal padre e impaurita.

I suoi occhi erano pieni di pianto, e la gola le faceva male nello sforzo di trattenere le lacrime.

Non aveva paura che Stettin la raggiungesse, Callia avrebbe fatto in modo che non ci riuscisse.

Callia! Vecchia, grassa, stupida, ma che riusciva a controllare il suo padrone.

Adesso tutto le appariva chiaro.

Il te con Callia, quando lei aveva creduto di essere cosi furba, quanto sei furba, Arcadia! Cominciava a odiarsi.

Quel te era una manovra, e anche Stettin era stato giocato in modo da permettere a Homir di visitare il palazzo.

Era stata Callia, la povera sciocca, che aveva preparato tutto in modo che la piccola Arcadia fornisse la scusa senza sollevare sospetto nelle menti delle vittime, senza che lei dovesse minimamente apparire.

Ma perche l'aveva liberata? Homir era ancora prigioniero…

A meno che…

A meno che avessero deciso di mandarla sulla Fondazione per fungere da trappola, nella quale sarebbero cascati tutti…

Non poteva tornare alla Fondazione.

– Siamo arrivati, signorina – Il taxi s'era fermato.

Strano! Non se ne era nemmeno accorta.

– Grazie – disse.

Gli porse il biglietto senza guardare l'uomo in faccia, spalanco la porta, e si mise a correre senza guardarsi indietro.

Luci.

Uomini e donne indifferenti.

Enormi tabelloni, su cui in continuazione apparivano e sparivano nomi di navi in arrivo e in partenza.

Dove stava andando? Non importava.

L'unica cosa che sapeva con certezza era che non sarebbe potuta tornare alla Fondazione! Qualunque altro luogo sarebbe andato bene.

Fortunatamente era riuscita a rendersi conto di cosa stava succedendo.

Era bastato quel prezioso secondo, quando aveva visto Callia mutare atteggiamento, in cui aveva visto quell'espressione divertita negli occhi della donna.

Poi Arcadia venne turbata da un altro pensiero, che aveva cercato di ricacciare nel suo subconscio fin da quando era salita sul taxi, e che aveva ucciso per sempre in lei la ragazzina di quattordici anni.