— E quanti uomini degni di fiducia? — chiese Dom.
— Come facciamo a saperlo? — disse J.J. facendo un gesto con la mano. — Ci sono cinquanta probabilità su cento che uno di loro faccia una soffiata ai terristi prima che la nave sia terminata. Se succederà questo, i terristi cercheranno prima o poi di distruggerla. Ecco perché, a parte il fatto che si costruisce meglio nello spazio, la stiamo costruendo vicino alla Luna. Siamo in grado di proteggere abbastanza bene le squadre dei tecnici, perché c’è un solo modo per arrivare lassù: usare una nave del MINES.
— C’è nessun segno che faccia pensare che i contestatori sospettino qualcosa?
— È difficile a dirsi — disse J.J. — Al Congresso non fanno più baccano del solito contro i finanziamenti per lo spazio, ma ci sono stati alcuni editoriali su giornali che in passato si erano mostrati più o meno neutrali. La settimana scorsa c’è stato un raduno di salvamondo a New York.
— Sì, ne ho sentito parlare — disse Dom. — Solo venticinque morti. Una cosa moderata.
— E a Los Angeles hanno beccato due spaziali, due giorni fa — disse J.J.
— Questo non l’ho saputo.
— Abbiamo cercato di tenere nascosta la cosa — disse J.J.
— Quei dannati cretini sono usciti dalla zona di sicurezza. I terristi hanno usato il coltello, come al solito. Dopo le mutilazioni che hanno subito quei due poveracci, penso che sia stata una fortuna per loro morire.
Dom aveva pensato molto al problema della sicurezza personale. — E se uno volesse andare a fare una passeggiata nel deserto? — disse.
— Prima dovrebbe firmare una bella polizza d’assicurazione. Abbiamo pattuglie che sorvegliano costantemente il perimetro, ma è impossibile tener d’occhio tutto il territorio.
— È stata registrata qualche attività insolita?
— No, ci sono stati i soliti gesti isolati di matti che si mettono in testa di fare gli eroi, ma niente di organizzato. Non ancora.
Il progetto della John F. Kennedy continuò a procedere a rotta di collo. I test dell’incollaggio diedero ottimi risultati. I dati delle prove fatte al Caltech vennero immessi nel computer, e fu dato il via all’operazione. Si cominciò a fabbricare il materiale per le armature interne, e ad assemblare l’impianto di propulsione nucleare.
Da un lato era bello, dall’altro era triste guardare le operazioni procedere. Era bello essere coinvolti in un progetto così grandioso oltre che dispendioso. Era da quando Kennedy aveva messo sotto sforzo le industrie dopo che l’Unione Sovietica aveva spedito nello spazio il primo Sputnik che non si vedeva tanta fervida attività nel campo aerospaziale. Impianti abbandonati da tempo venivano rimessi in funzione. I principali appaltatori cercavano in tutto il mondo tecnici e scienziati. Chiunque avesse una specializzazione e volesse usarla, invece di attingere al denaro delle sovvenzioni statali, poteva trovare lavoro al grandioso disegno.
Dom fino ad allora era stato abituato a lavorare con notevoli restrizioni finanziarie. Una volta il MINES aveva speso migliaia di dollari per avvertire tutto il personale di usare entrambe le facciate della carta per appunti, per risparmiare denaro. La maggior parte dei blocchetti per appunti erano costituiti da foglietti propagandistici dei politici. Adesso era sbalordito nel vedere quanto si fosse liberi di spendere quattrini. Se, per esempio, avesse voluto mettere al lavoro qualcuno al MIT, non avrebbe dovuto fare altro che telefonare, e poi spedire il conto a J.J. Quando si trattava della Follia, non si badava a spese, e si pretendeva il meglio, costasse quel che costasse. I suoi computer di bordo non avrebbero avuto nulla da invidiare a quelli della Terra; era necessario che fossero perfetti, perché nessuno sapeva quanto tempo la nave sarebbe rimasta nella densa atmosfera di Giove, senza contatti con la Terra. Niente doveva essere lasciato al caso. Bisognava dare alla nave la possibilità di compiere la sua missione, e se questo significava spendere alcuni milioni di dollari per un sistema di riserva che scongiurasse il rischio di un guasto pur improbabile, i milioni venivano spesi.
Era bello, ed era triste, guardare le operazioni procedere; bello perché le industrie erano tornate all’attività nonostante il lungo periodo di stasi, triste perché la missione poteva fallire. Poi c’era anche il rischio che la nave aliena deludesse le aspettative e non fosse in grado di fornire informazioni preziose, magari sul viaggio a velocità superiori a quella della luce. Se la missione fosse fallita, o se le cognizioni apprese dalla nave aliena fossero state irrilevanti, la costruzione della Follia avrebbe costituito l’ultimo atto di un dramma che era cominciato quando gli americani avevano sentito il bip-bip dello Sputnik il 4 ottobre 1957.
Era eccitante partecipare a un’impresa così gigantesca e ne erano orgogliosi tutti, dai più in alto nella gerarchia al più umile degli operai. Vennero persino fatte molte ore di straordinario non retribuite.
Durante i primi stadi del progetto, l’équipe di Dom non vide la luce del giorno e rimase ininterrottamente a lavorare, a volte anche per dodici ore filate, nei laboratori e negli uffici sotterranei del MINESPOV. Si aveva la sensazione che il tempo incalzasse. I segnali lontani della nave aliena continuavano ad arrivare da Giove, ma per quanto ancora sarebbero arrivati?
Dall’ufficio di Dom partivano e si diffondevano gli ordini per il MINES, finché raggiungevano l’industria. Vennero puntualmente fatte le prime prove col motore nucleare. Il sistema di sopravvivenza veniva montato in unità portatili, che sarebbero state portate sulla Luna quando fosse stato pronto lo scafo. Doris e la sua squadra verificarono l’efficienza del computer. I metalli della carena vennero fusi e mandati sulla Luna. Il traffico tra i posti di lancio sulla Terra e Base Luna non era così intenso da decenni. Da Canaveral partivano parecchie navi spola al giorno, e portavano sulla Luna travi, bulloni e cibo.
Una delle cose più belle di quell’impresa era il senso di unità che si aveva all’interno del MINESPOV. J.J., che di solito aveva un atteggiamento freddo e riservato, completamente assorbito dai suoi problemi, non disdegnava di passare un po’ di tempo a parlare con i tecnici dei laboratori. Le barriere sociali erano cadute. Era come se tutti fossero sulla stessa barca diretta verso un posto non ben definito, e tutti ben lieti di essere in quella compagnia. La nostalgia era all’ordine del giorno. Si sentiva spesso nominare cari vecchi eroi come Gagarin, Grissom, Shepard, Titov, Glenn, Carpenter e Armstrong, Trelawny, che aveva messo per primo piede su Marte, Jones e Edwin, la cui sonda era arrivata su Venere, Radcliff, che aveva girato attorno agli anelli di Saturno. E si sentivano nominare vettori famosi come la Mercury, la Gemini, l’Agena, la Voskod Uno…
Ma l’argomento principale era la Follia, la terribile Follia, così gigantesca, così complicata, così totalmente assurda; ed essa a poco a poco cominciò a prendere forma e a diventare bellissima, con la rete di rinforzi interni che sembrava un pizzo di geometrica precisione.