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Era chiaro che tutto il complesso era stato isolato. Era un lavoro che era stato fatto dall’interno. Là nel rifugio c’erano undici cadaveri, nel corridoio c’erano due marines morti. In quanti erano, i terristi? In quanti erano per aver ucciso tredici, e forse più, persone?

Rifletté se tentare di chiedere aiuto al settore di J.J. Ma i terristi avevano catturato Doris, Larry e Art, e li tenevano prigionieri nella sala del computer.

Sapeva cosa doveva fare, e non poteva fermarsi a riflettervi sopra, perché se l’avesse fatto poi gli sarebbe mancato il coraggio.

Uscì dall’appartamento di Doris e imboccò dei corridoi secondari che giravano intorno alla sala del computer, finché raggiunse una piccola porta così ben levigata da essere quasi invisibile nella parete. Vi premette sopra il palmo della mano, e la porta si aprì. Salì una stretta rampa di scale e aprì, sempre premendo il palmo, un portello. Questi dava nella sezione di riparazione e manutenzione del grande computer, che dal pavimento della sala si levava su su fino all’alto soffitto. Dom entrò nella zona di livello medio. Non aveva il camice sterile, ma quel po’ di polvere che aveva addosso avrebbe certo fatto meno male al computer dei terristi. Percorse i piccoli corridoi della manutenzione che attraversavano il ventre del computer. Quando arrivò in fondo, poté sbirciare di là dalla facciata della macchina attraverso un piccolo oblò.

C’erano tre corpi stesi in terra, tutti e tre con la divisa blu dei marines. Un quarto marine era appoggiato a una parete, aveva il viso pallido e sconvolto, e un moncherino al posto di un braccio. Gli altri due marines impugnavano armi automatiche e avevano di fronte cinque uomini in calzamaglia nera e cappuccio nero.

Doris, Larry e Art, stretti l’uno all’altro, erano sorvegliati dai due marines. I cinque uomini che indossavano la calzamaglia nera tipica dei terristi stavano disfacendo dei pacchi e ammucchiando stecche di esplosivo. Due di loro si accinsero a piazzare le cariche alla base della consolle di controllo. I detonatori erano già al loro posto ed erano stati attivati. Le cariche erano del tipo che veniva fatto esplodere attraverso un segnale radio a distanza di sicurezza. Quegli uomini in calzamaglia nera evidentemente sapevano di avere ben poche speranze di salvezza, pensò Dom, d’altra parte i terristi erano noti per il loro fanatismo. Per loro, il principale obiettivo non era tanto riuscire a salvare la vita, quanto vender cara la pelle. Doris, Art e Larry erano tre ostaggi molto importanti. I terristi avrebbero potuto o usarli come merce di scambio, o usarli come scudo per uccidere più uomini possibile, prima di essere uccisi a loro volta.

Dom aveva sempre considerato i terristi gli esseri più egocentrici del mondo. Le squadre scelte di terristi avevano portato a termine azioni rischiose e clamorose, tra cui l’assassinio di un Presidente e del capo della defunta CIA, ma come si poteva credere di cambiare qualcosa sacrificando vite umane nonché la propria? I terristi semplicemente non riuscivano a capire che le loro azioni, isolate o organizzate che fossero, non avrebbero impedito in alcun modo alla società di precipitare verso l’autodistruzione generata dall’esplosione demografica.

Dom la vedeva in modo diverso. Secondo lui l’umanità, come specie, aveva già abbastanza nemici naturali contro cui lottare. Doveva tuttora vedersela con le forze della natura: con le alluvioni, gli incendi, i terremoti, le bufere di neve, gli uragani, le eruzioni vulcaniche. Il passato di guerre e di sangue dell’umanità poteva apparire come roba da dilettanti se confrontato con la potenza tremenda della natura. E se l’uomo durante la vita non veniva colpito da una calamità naturale, doveva sempre fare i conti con la natura al momento della morte. La natura sembrava decisa a eliminare la razza umana, perché aveva instillato nell’uomo quella mina vagante che era l’istinto della procreazione, un istinto che non si sarebbe fermato finché la morte per fame non avesse eliminato tutti. No, secondo Dom l’uomo aveva già abbastanza nemici naturali, non aveva alcun bisogno di combattere contro se stesso. Se la morte era l’unico obiettivo, tanto valeva lasciare che madre natura seguisse il suo corso. Poi, come aveva detto Robert Frost, la morte sarebbe giunta come una gradita sorpresa.

A Dom parve di riconoscere in uno dei terristi incappucciati un esperto in elettronica che era stato assunto dietro raccomandazione del MINESLUN. Era un tecnico bravo, abbastanza bravo da aver potuto interrompere le comunicazioni e disattivare i sistemi d’allarme.

I due uomini che stavano sistemando gli esplosivi si stavano spostando, con i loro mortali pacchi in spalla. Cominciarono a salire le scalette sulla facciata del computer che portavano a un’entrata che dava sul livello dov’era Dom. Ci sarebbero volute solo tre o quattro cariche sistemate nei posti giusti per distruggere tutto il lavoro fatto fino ad allora per la John F. Kennedy.

Dom si nascose dietro un banco di memoria perché non lo vedessero dal portello d’entrata sul suo livello. Si chiese se non fosse anche lui, come i terristi, troppo egocentrico, visto che stava pensando di potere, da solo, fermare sette uomini armati e bene addestrati. Lui era uno spaziale, un esperto di scafi pressurizzati. Aveva passato alcune settimane nel campo di combattimento dell’Accademia, a suo tempo, e aveva seguito lezioni di lotta corpo a corpo nel quadro delle attività che servivano a mantenere il fisico in forma. Ma non aveva mai imparato a uccidere. A suo favore giocava il fatto che era ancora abbastanza in forma, nonostante i mesi passati a lavorare a tavolino. E c’era il fatto che era veloce. Lo svantaggio più grande era invece che non aveva mai provato a uccidere un uomo.

La testa degli esseri umani è molto, molto resistente. È strutturata in modo da poter sopportare colpi terribilmente forti. Conscio di ciò, Dom esagerò. Nel ventre del computer erano entrati i due terristi che stavano mettendo l’esplosivo, ed erano passati accanto a Dom senza vederlo. Lui abbassò il calcio del fucile con tutte le sue forze sulla testa del terrista che veniva per ultimo. La testa dell’uomo si spappolò, e la materia cerebrale si sparse dappertutto. Dom si mosse in fretta, come aveva imparato all’Accademia, e colpì l’altro uomo che si stava voltando. Vide il sangue sprizzare dai buchi per respirare ritagliati nel cappuccio, e velocissimo colpì una seconda volta. Vide volare in terra dei denti, e colare altro sangue da dietro il cappuccio. L’uomo era sicuramente morto.

Dalla sala, sotto, non veniva alcun suono. Nessuno si era accorto di niente.

Si meravigliò dell’indifferenza con cui aveva ucciso i due. Ansimando guardò se mostrassero ancora qualche segno di vita. Il secondo si mosse un attimo, e cercò di respirare con quella sua faccia che era ormai una macchia informe, poi giacque immobile. Uomini del genere vivevano solo per essere uccisi, pensò, e lui aveva fatto loro un favore. L’errore fondamentale che si faceva quando si parlava di terrorismo era di non capire una cosa importantissima, ovvero che i terroristi si consideravano sacrificabili, quindi erano meno che umani, e per questo andavano eliminati senza pietà dalla società.

Ma Dom non poteva ergersi a giudice. In fin dei conti, non era abituato a uccidere. Lo shock gli venne in ritardo, quando le gambe del secondo uomo si mossero ritmicamente in una danza di morte. E ce n’erano altri cinque di quegli uomini, là sotto.

Oltre naturalmente ad Art, Doris e Larry. Se Dom si fosse lasciato prendere dalla paura del sangue e della carne maciullata, sarebbe stata la fine per i suoi tre amici.