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Scavalcò uno dei cadaveri e guardò fuori del portello. I cinque terristi stavano aspettando con vigile ma stoica pazienza. Uno di loro fumava. Dom calcolò se fosse possibile colpirli tutti con una raffica sparata dal portello, e si convinse che non c’era modo: le pallottole avrebbero colpito inevitabilmente anche i suoi amici. Tornò indietro, e strappò il cappuccio al terrista che era morto per primo, quello con la testa spappolata. Fremette sentendo la stoffa bagnata, ma fortunatamente il sangue era soprattutto nella parte posteriore del cappuccio. Dom trasse un respiro profondo e s’infilò il cappuccio. Poi fece capolino fuori del portello e chiamò i terristi con un fischio. Loro alzarono gli occhi a guardarlo, e lui fece segno a uno di venire su. Quello mise il fucile in spalla e si avviò di corsa su per la scala.

Il piano di Dom era di far venire su i terristi a uno o due per volta, ma la cosa non funzionò. L’uomo sulla scala vide i corpi dei suoi compagni e si mise a urlare. Dom gli diede una botta in testa e quello cadde, rimanendo con metà corpo fuori e metà corpo dentro il portello. Una serie di raffiche si abbatté sulla facciata del computer. Dom corse all’oblò da cui si vedeva la sala, sotto, e cominciò a sparare all’impazzata, cercando nel contempo di stare attento a non sparare troppo vicino al gruppo dei suoi amici. I due marines traditori e due dei terristi crollarono esanimi.

Art Donald, con sorprendente rapidità, spinse in terra Doris dietro una consolle, e le si buttò sopra. Così erano fuori dalla traiettoria del fuoco. Larry non fu abbastanza veloce e fu afferrato da uno dei due uomini rimasti. L’altro si mise anche lui al fianco di Larry, e assieme al complice trascinò Gomulka contro la consolle di controllo che stava direttamente sotto Dom, fuori della traiettoria dei suoi proiettili. Uno dei due terristi cominciò a sparare con metodo e precisione contro la facciata dei computer. Sia lui, sia il suo compagno stavano stretti vicino al Larry. Dom non se la sentì di sparare. Dovette cercare di schivare il fuoco che si stava abbattendo sulla facciata del computer. I proiettili esplosivi non penetravano oltre il metallo, ma spedivano dappertutto piccole schegge.

— Non potete uscire di qua vivi — gridò Dom. — Ma se vi arrenderete, potrete avere salva la vita.

Nonostante il fatto che i terristi non venissero mai giustiziati, ma soltanto messi in prigione (quasi che le autorità volessero mantenerli in buona salute in attesa che i loro amici rapissero qualche funzionario importante di cui barattare la vita con la libertà dei loro soci), difficilmente si arrendevano.

— Deponete le armi! — gridò Dom.

La risposta fu una nuova raffica di proiettili. Quando cessò, Dom guardò fuori dall’oblò. C’era stato un cambiamento di strategia. Non essendo riusciti a distruggere le banche dati, adesso i terristi avrebbero cercato di danneggiare il programma uccidendo tre persone importanti. Dom guardò senza poter fare niente uno dei tre terristi sopravvissuti tirar fuori una granata e portarla alla bocca per togliere coi denti al sicura. La granata avrebbe sicuramente ammazzato Art e Doris, senza contare che avevano Larry in mano loro. Dom aveva una possibilità. Sporgendosi fuori e puntando il fucile poteva beccarlo, ma avrebbe inevitabilmente colpito anche Larry coi proiettili esplosivi.

A poco a poco la situazione si avviò verso un’impasse, perché Dom, nemmeno per salvare Doris e Art, se la sentiva di uccidere l’ometto sorridente stretto fra i due terristi. No, non se la sentiva proprio. Non poteva fare nient’altro che gridare la sua disperazione.

Ma Larry Gomulka era un uomo abituato a risolvere problemi. Quella era la sua specialità. Anche lui aveva visto il gesto del terrista che si avvicinava alla bocca la granata, e dalla direzione del suo sguardo capì dove intendeva gettarla.

— Giù la testa! — gridò Larry, buttandosi in avanti e attivando il detonatore manuale di una delle cariche collocate sulla consolle. Tutti i congegni esplosivi dei terristi erano dotati di detonatori manuali. Il suicidio da kamikaze era un hobby popolare tra i terristi, e quando vi si dedicavano, amavano trascinare con sé nella morte gente innocente.

Dom sentì la facciata del computer crollare verso l’interno, avvertì la scossa violenta dell’esplosione e cadde. Lottò per rimettersi in piedi, mentre il rimbombo gli lacerava le orecchie. Art si stava muovendo e cercava di scrollarsi di dosso una parte di consolle. Doris era sotto di lui, e urlava. Dom le vedeva il viso. Lasciò cadere il fucile, che colpì quello che rimaneva di un corpo e rotolò sul pavimento con un suono sordo. Il terrista metà dentro e metà fuori del portello era stato proiettato in avanti dall’esplosione e non aveva più una gamba. La consolle era in pezzi, e nella base del computer si era aperto un buco. Vicino ai resti di una consolle secondaria rovesciata c’era un torso senza braccia. Non era quello di Larry, però: era troppo grande. La calzamaglia nera da terrista era volata via, e il petto appariva nudo, forte e muscoloso. Dom si tirò su puntellandosi alla consolle mentre Art, scrollando la testa, cercava di alzarsi. Doris deglutì a vuoto più volte, per riacquistare l’udito. Dom aiutò Art a rimettersi in piedi, poi lo lasciò appoggiato alla facciata in pezzi del computer e aiutò Doris a rialzarsi.

— Tutto bene? — le chiese, e la sua voce gli sembrò lontana. Aveva ancora nelle orecchie il rimbombo dell’esplosione.

— Non ti sento — disse lei. Parlava a voce alta. — Larry è morto?

Dom annuì. — Ti ha salvato la vita — le disse.

Lei contrasse il viso. Non pianse, ma dalla bocca le uscì un suono strozzato.

La porta esterna si spalancò di colpo e irruppero dentro sei marines spaziali, tutti giovani, tutti convinti della propria efficienza e tutti ormai terribilmente inutili. Dom riconobbe il cadetto che gli aveva assicurato che i marines se la sarebbero sbrigata in un attimo.

La reazione gli venne tutta in una volta. Cominciò a tremare e gli venne voglia di vomitare. In quel momento pensò che sarebbe stato contento di non sentir mai più nominare la Follia. Anche fosse stata la nave più importante dell’universo, non aveva proprio senso che per essa avesse perso la vita quel piccolo uomo sorridente che era Larry. Dom barcollò all’indietro e per poco non scivolò; per sostenersi si afferrò alla consolle semidistrutta. Doris gli posò una mano sul braccio e lo guardò.

— Ha impedito loro di distruggere le banche dei dati — disse. Per un attimo Dom pensò che stesse parlando di lui e gli venne voglia di ridere, ma poi capì che si riferiva a Larry. — Ha salvato il progetto.

Dom pensò che per il momento non aveva importanza cosa Doris credeva: avrebbe capito in seguito qual era la verità. Larry aveva salvato qualcosa cui teneva ben di più delle banche dati del computer. Aveva salvato la vita della donna che amava e quella di un amico.

6

Su un lato della stanza degli spessi oblò di plastica permettevano di vedere le stelle non offuscate dall’atmosfera; erano brillanti e vivide, punti di luce in un cielo nero come la pece. In fondo alla sala c’era un piccolo gruppo di persone di cui faceva parte anche Dom, vestito con l’uniforme da cerimonia. Art Donald era l’unico civile presente.

Un ammiraglio con quattro stelle doveva consegnare la medaglia al valore per Larry alla sua vedova, e la cerimonia era seguita in diretta per televisione dalla Terra.

Quando fu terminata e l’ammiraglio tornò al MINESPEST, a Washington, Dom guardò Doris ingollare un lungo sorso di scotch.

— Non la voglio — disse Doris, guardando la piccola medaglia d’oro che aveva in mano.

— Credo di capire i tuoi sentimenti — disse Dom.

— Larry si sarebbe scompisciato dal ridere a vedere questa — disse lei.

— Sì, lo so.

— Avrebbe detto di non avere mai conosciuto un candidato più improbabile di lui alla Medaglia Spaziale al Merito. — Doris abbozzò un sorriso privo di gioia.