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La John F. Kennedy prendeva sempre più forma, e velocemente. In tutto il mondo non c’era in ballo progetto più imponente di quello. Il ministero stava concentrando tuttiisuoi uomini e quasi tutti i suoi soldi su quell’astronave. Tra la gente delminesla John F. Kennedy era l’argomento del giorno, sia sulla Terra sia nello spazio.

L’enorme nave stava prendendo forma nel suo elemento naturale, lo spazio, e aveva come sfondo la superficie butterata della Luna e il nero pece del vuoto. Contribuiva a rendere ancora più bello e sereno lo scenario. Seduto nella navetta a cinquemila metri dalla Kennedy, Dom trovava difficile credere che sulla sfera biancoazzurra della Terra si stavano svolgendo terribili conflitti. I governi venivano continuamente cambiati, i terristi si abbandonavano ai loro ciechi atti di crudeltà, in Senato l’atmosfera era surriscaldata perché i radicali, che erano la maggioranza, erano in furiosa polemica con quelli che ritenevano che l’uomo non dovesse necessariamente restare confinato nel proprio pianeta ad autodistruggersi.

Per settimane e settimane infuriò un dibattito sulla battaglia delMINESPOV.quella in cui erano morti tremiladuecento terristi. Il partito populcratico, che era quello al potere, fu attaccato accanitamente da inferociti terristi e salvamondo, che senza timore si dichiaravano tali. La sinistra versò lacrime accorate, piangendo il massacro di massa avvenuto davanti al perimetro delMINESPOVe, zelante nell’opporsi alla pena di morte per i terroristi, richiese la spietata esecuzione capitale di tutti coloro che erano responsabili di avere massacrato i terroristi stessi, rei soltanto di avere usufruito dei diritti concessi loro dal primo emendamento e di avere espresso la loro disapprovazione per la politica spaziale del governo.

Solo una volta prese la parola un uomo coraggioso che ricordò al Senato che alMINESPOVerano morti due dozzine di civili e più di cento marines spaziali. Fu fischiato da tutti e costretto al silenzio. Mentre tornava al suo appartamento, fu attaccato da una terrista adolescente in abitino sexy, che nascondeva una bomba nel reggiseno imbottito. La bomba provocò la rottura del timpano sinistro del coraggioso senatore e uccise due delle sue guardie del corpo. Così veniva messo a tacere chi aveva il coraggio di dire cose di buon senso; evidentemente, delle libertà sancite dal primo emendamento si teneva conto solo in certi casi e non in altri.

Era come se la maggioranza degli americani si sentisse in colpa per il fatto di accettare la politica del governo, che garantiva la sicurezza dalla culla alla tomba a spese della libertà individuale, o desiderasse essere punita dai coltelli e dalle bombe dei terristi. Sovrappopolato e poco nutrito, il paese era un formicaio formato da metropoli così enormi da essere praticamente unite tra loro, e la gente che viveva il trauma del sovraffollamento sembrava non vedere speranze nel futuro e desiderare soltanto di morire.

La Terra era in tumulto, e non venivano date licenze agli spaziali. Gli impianti limitati della Luna erano messi a dura prova dalle squadre di costruzione, e gli spaziali che arrivavano da Marte o dalle vicinanze di Giove a volte dovevano passare il tempo della licenza a bordo della nave. Se si lamentavano, però, lo facevano bonariamente, perché avevano il vantaggio di vedere costruire la Kennedy.

Dom passava un mucchio di tempo con Neil Walters, che avrebbe collaudato e pilotato la Kennedy. Benché fosse piuttosto anziano, Neil come aspetto sembrava un eterno ragazzo di venticinque anni. Era alto un metro e novantatré ed era sormontato da una massa di capelli biondi e ricci. Aveva occhi profondi che ridevano sempre, e un viso squadrato e incisivo che ben si adattava al suo coraggio e alla sua reputazione. Parlare di volo spaziale gli piaceva quasi quanto il volo spaziale stesso. Si era prefisso di imparare sulla Kennedy tutto il possibile, per poterla conoscere in ogni suo più piccolo particolare. Per Dom la compagnia di Neil era piacevole, perché per lui la Kennedy era diventata la principale ragione di vita.

Quando la nave fosse partita, Neil ne sarebbe stato al comando. Neil aveva un’intelligenza acuta, e Dom non doveva ripetergli mai le spiegazioni sui particolari tecnici più complicati. Anzi, Neil poneva domande che costringevano Dom a tornare in laboratorio e a lavorare assieme a Doris al computer, per controllare e ricontrollare dati. Le domande di Neil erano importanti e acute, e inducevano Dom a controllare tutti i calcoli fondamentali, nonché la teoria che era alla base del concetto rivoluzionario di scafo avvolgentesi. Dom non scoprì niente di seriamente sbagliato ma apportò comunque lievi cambiamenti.

La critica principale di Neil era che sarebbe stato impossibile collaudare lo scafo della Kennedy nelle condizioni di pressione di Giove.

— Sapremo solo quando entreremo nell’atmosfera di Giove se funzionerà o no — disse Dom.

— Be’, se non funziona non possiamo mica più rimediare alla cosa, una volta che siamo là — disse Neil con un gran sorriso.

— Terremo d’occhio momento per momento la situazione, controllando la pressione che si eserciterà sullo scafo — disse Dom. — Se vedessimo segni di cedimento nello scafo, potremmo sempre tornare indietro.

Neil rise. — Be’, almeno un vantaggio ci sarebbe. Se qualcosa andasse male, avrei probabilmente il tempo di sputare in faccia al progettista prima di crepare.

Neil era una compagnia stimolante, ma nemmeno parlare con lui bastava a Dom. Non c’ era molto da fare sulla Luna, e le ore erano lunghe da passare. Bere costava molto perché non c’erano distillerie sul satellite e la sbornia era un genere di lusso non compreso nelle razioni. Dom passava molto tempo negli osservatori, giocava un po’ a bridge, andava un po’ in esplorazione, anche se, una volta che si è visto un acro di Luna, tutti gli altri gli somigliano. I crateri sono uno uguale all’altro, e differiscono solo per la grandezza. Dom si dedicava anche molto alla lettura. Ma i giorni erano ugualmente lunghi da passare, e le settimane e i mesi interminabili. La nave prendeva sempre più forma, e il piacere più grande per Dom era seguire passo passo il lavoro che veniva fatto di giorno in giorno.

Fu interessante quando le minisaldatrici cominciarono a unire le giunzioni legate dall’incollaggio porridge alle lamine di metallo della carenatura. Andò tutto come previsto, senza problemi.

Doris era completamente assorbita dal lavoro. Era sempre occupata e trovava tempo solo ogni tanto per cenare con Dom. Quando era da solo con lei, Dom stava attento a badare solo al lavoro e a non introdurre elementi personali nella conversazione. Dopo avere pianto ed essersi sfogata il giorno che aveva ricevuto la medaglia alla memoria di Larry, Doris riusciva a parlare di lui senza soffrire. Non era più necessario ricordarsi di non nominare Larry, perché lei lo faceva spesso. Come se lui fosse solo lontano per uno dei suoi giri. Doris diceva: — Mi chiedo cosa direbbe Larry di questo. — Lui viveva nella memoria di lei, ma non era diventato un’ossessione. Dom aveva l’impressione che il dolore fosse ancora presente in lei, ma che non fosse più una ferita aperta per Doris. Doris ora riusciva a ridere se le raccontava una barzelletta, e a soffermarsi sul passato senza dare l’idea dell’eterna vedova in gramaglie.

J.J. si recava sulla Luna a intervalli regolari per incoraggiare, indagare, rallegrarsi e incalzare. Era sulla Luna il giorno che l’aria fu pompata nello scafo e per la prima volta gli operai poterono lavorare dentro la Kennedy senza la bombola d’ossigeno. Il lavoro intorno alle finiture e all’equipaggiamento procedette veloce.

J.J. si sedette al posto di pilotaggio ed esaminò gli strumenti davanti a sé.

— Mi sa che dovrò fare un corso d’aggiornamento — disse.

— Per che cosa? — chiese Dom.

— Per riuscire a far volare questa nave.

— Tu?

— Sono l’aiuto pilota — disse J.J.