Dom rifletté sui vantaggi e gli svantaggi della cosa. — Non riesco a pensare a nessuno meglio di te — disse.
— Ti ringrazio, figliolo — disse allegro J.J. — Sia chiaro che io sono superiore solo come grado. Nelle operazioni di navigazione verrò nel comando dopo Neil e te, e solo tu dovrai decidere per le questioni riguardanti la sicurezza.
— Ti ringrazio — disse Dom.
J.J. guardò davanti a sé, fuori dall’oblò. — Flash — disse, — su Giove tutto dipenderà da te. Abbiamo puntato il tutto per tutto su questo viaggio, ma non ha senso morire inutilmente. Se funzionerà, te ne verrà gloria. Se fallirà, nessuno potrà mai dirti che io l’avevo previsto e te l’avevo detto. Ma se falliamo, se l’impresa non avrà successo, l’intera stupida razza umana sarà la prima ad avere perso.
Dom rimase zitto. A un discorso del genere, non c’erano commenti da fare.
7
Dom era a cena con Doris la sera che J.J. chiamò dal MINESPOV per ordinargli di presentarsi al MINESPEST per testimoniare in tribunale in merito alla morte di Larry Gomulka.
Fu una serata piacevole. Una volta tanto Doris non aveva problemi pressanti da risolvere. Proprio allora si stavano installando i computer di bordo, e i componenti già collocati al loro posto funzionavano perfettamente.
Doris era rilassata. Pesava quattro chili meno di quando era arrivata al MINESPOV con gli abiti impolverati dal viaggio nel deserto. Era snella ed elegante, nella sua uniforme. Le rughe intorno agli occhi, che le erano venute dopo la morte di Larry, non si vedevano quasi più. Appariva ringiovanita.
La serata era stata una cosa improvvisata. Dom si era trovato per caso a passare davanti al laboratorio di Doris proprio nel momento in cui lei aveva deciso che per quel giorno il lavoro bastava. Lui le aveva offerto da bere, e lei aveva accettato. Si erano seduti al bar e avevano ascoltato la musica di sottofondo. Erano rimasti a lungo in silenzio, e quando si erano messi a parlare, avevano parlato di lavoro.
Dom suggerì di chiamare Art e di fare una cenetta a tre. Doris disse di sì, e andò a fare la telefonata.
— È impegnato col lavoro — disse, tornando. — Ci toccherà cenare in due.
— Sono così affamato che sono pronto a mangiare anche la parte di Art — disse Dom. — Dove? Qui non si mangia male.
— Vorrei un posto dove ci fosse abbastanza silenzio da permettermi di pensare, parlare, o che altro — disse Doris.
— Allora bisogna escludere anche la caffetteria — disse Dom.
— Farò il gran sacrificio — disse Doris. — Mi sono rimaste giusto due bistecche vere.
— Tentatrice! — disse Dom con l’acquolina in bocca.
— So come ingraziarmi il boss, vero? — disse lei.
— Ti giuro che ti restituirò la bistecca — disse Dom, facendo il segno di giuramento dei boy scouts.
— Mettilo per iscritto.
— Metti in dubbio la parola d’onore di un ufficiale e di un gentiluomo?
— Imparai a mettere in dubbio la parola degli ufficiali maschi quando scoprii che il primo ufficiale di macchina della mia prima nave aveva alterato la combinazione della serratura della mia cabina — disse lei.
Dom prese un tavagliolino di carta e scrisse: «Devo a Doris Gomulka una bistecca vera.» Le allungò il tovagliolino.
— Non hai firmato — osservò lei. Lui prese di nuovo il tovagliolino e firmò. — Sei una che si fida molto poco degli altri.
— Sì, quando si tratta di bistecche.
L’appartamento di Doris era sul davanti della costruzione. La Terra era bassa sull’orizzonte e, azzurra e bianca com’era, sembrava un gioiello, là nel cielo.
— Dio, che bella! — disse Doris fermandosi appena entrata a guardare la grande sfera che si vedeva dalla finestra.
— Non ci si stanca mai di ammirarla.
— È stupenda — disse lei. — Sai, vorrei che tutti la potessero vedere così come la vediamo noi adesso. Vorrei che vedessero com’è piccola e vulnerabile, sospesa lassù. Forse questo gli schiarirebbe un po’ le idee. Vorrei che vedessero da vicino Marte o Mercurio, mondi del tutto inospitali per l’uomo, e che dopo guardassero lei, la nostra Terra. Come ci si può combattere e autodistruggere su un mondo così bello?
— Sotto un certo profilo credo che noi siamo la nuova nobiltà. Siamo così in pochi ad averla vista dallo spazio…
— Per fortuna non si può vedere da qui cosa le abbiamo fatto — disse Doris. — Abbiamo spogliato le sue miniere, fatto esperimenti nucleari nel sottosuolo, riempito di radioattività l’aria e inquinato i suoi oceani. E lei riesce ancora in qualche modo a mantenerci in vita tutti.
— E solo di tanto in tanto ci ripaga con qualche terremoto e qualche siccità — disse Dom, sorridendo.
— E dài, cinico, prepara l’insalata.
Sulla Luna si praticava la coltura idroponica dell’insalata verde, e quindi ce n’era sempre in abbondanza. Le bistecche invece erano tesori preziosi, ed erano rigidamente razionate.
Doris infilò un paio di cassette di vecchia musica nel registratore, e tenne il volume basso. Parlarono del più e del meno mentre lavoravano fianco a fianco in cucina e sorseggiavano l’aperitivo. Le bistecche vennero cotte con estrema cura e attenzione.
Doris mangiò con tanto gusto, che per Dom fu un piacere guardarla. Mangiava in modo piuttosto mascolino, senza dedicare tempo alle chiacchiere e alle sciocchezze. Quando ebbe finito si pulì la bocca col tovagliolo ed emise un sospiro di soddisfazione. I pochi piatti sporchi furono messi nella lavapiatti, che lavorava con l’acqua riciclata.
Doris versò un bicchierino di brandy per entrambi.
La Terra era a circa trenta gradi nel cielo, e per vederla bene si sedettero vicini davanti all’oblò panoramico. La musica, sommessa, li riempiva di nostalgia, e Dom pensò che non era; mai stato meglio di così in vita sua. La Kennedy stava prendendo sempre più forma. La bistecca era stata deliziosa. Il brandy era uno dei superalcolici sintetici più buoni che Dom avesse mai assaggiato. Doris si appoggiò allo schienale della poltrona. Il suo collo formava una lunga linea delicata, e i capelli le incorniciavano dolcemente il viso. Indossava l’uniforme corta, e le sue lunghe gambe, che muoveva lentamente al ritmo della musica, erano abbronzate e muscolose per le molte ore passare in sala esercizi.
C’era qualcosa di molto familiare nella musica che stavano ascoltando adesso, e se ne accorsero subito tutt’e due. Doris si mise a canticchiare piano, ripetendo qui e là le parole della canzone, e Dom la vide di colpo come donna, e dovette distogliere lo sguardo.
— Era da tanto che non la sentivo — disse Doris, quando la canzone finì. Era stata la loro canzone: avevano ballato tante volte al suono di quella musica, ai tempi dell’Accademia.
Dom si alzò. Doveva muoversi se non voleva comportarsi in modo di cui poi si sarebbe pentito. Si piazzò vicino all’oblò, e Doris lo raggiunse, aumentando un pochino il volume quando passò accanto al registratore. Adesso arrivavano le note di un’altra vecchia canzone nota a entrambi. Dom sentì la vicinanza di lei, e il suo corpo che sfiorava il suo.
— Abbiamo ballato tanto anche questa — disse lei, pensierosa.
Dom la guardò. Era possibile che anche lei sentisse quello che sentiva lui? Si era rimessa a canticchiare e muoveva il corpo al ritmo della musica, guardando il placido disco della Terra alto nel cielo.
La musica cambiò e il ritmo aumentò. — Ehi, non posso resistere — disse Doris, posando il bicchiere. Prese il bicchiere di Dom, lo mise giù e alzò le braccia per invitarlo a ballare. Dom le prese la mano e cominciarono a ballare. Dopo qualche passo prese il ritmo giusto e ripeté con Doris i vecchi passi di una volta, ridendo. Le mode nella musica e nel ballo cambiavano così in fretta che Dom non si ricordava sempre il tipo di passi che andavano con una certa musica, ma Doris era un’autorità in materia.