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Due uomini della sicurezza, in divisa, erano in piedi accanto al suo letto e facevano ripetutamente le stesse domande, ottenendo ripetutamente le stesse risposte. Le risposte riguardavano i fatti. Dominic Gordon, pilota di flottiglia al servizio del MINES, era arrivato da Marte cinque giorni prima, per spendere tutta la sua licenza a Los Angeles. Doveva andare a visitare il MINESPOV dietro invito di J.J. Barnes, responsabile della base. Dominic Gordon non aveva la minima idea del perché fosse stato assalito. Fece un resoconto preciso e dettagliato degli avvenimenti, cominciando dal momento in cui aveva sorpassato la fila di macchine da costruzione. Non aveva visto il suo assalitore in viso: ne aveva visto solo le gambe e le mani.

Gli amici di J.J. Barnes non potevano che essere trattati con grande cortesia. Un amico di Barnes poteva perfino fare domande. Dom chiese se avessero interrogato il suo assalitore. Gli risposero di no, non avevano potuto interrogarlo. Una pattuglia di passaggio aveva visto l’uomo che appiccava fuoco al combustibile e per semplificare le cose lo avevano fatto fuori riempiendogli il petto di piombo, poi avevano coperto lui e il veicolo in fiamme di schiuma antincendio.

— Il vostro problema principale — disse in seguito un’infermiera a Dom, dopo che questi si fu risvegliato da un pisolino, — è che avete aspirato in parte le esalazioni della schiuma. Per un paio di giorni vi faranno male i polmoni.

L’infermiera era una signora dai capelli grigi, prosperosa e materna, con mani dal tocco delicatissimo. Dom se ne innamorò subito e la mattina del terzo giorno, mentre camminava (già abbastanza bene, considerate le fasciature) la baciò sulla guancia e le promise che le avrebbe portato un carbocristallo la prossima volta che fosse tornato da Marte.

Fuori della stanza gli venne incontro uno dei poliziotti che l’avevano interrogato. S’incamminarono in silenzio per un lungo corridoio, entrarono in un ascensore e poi ne uscirono. L’uomo della sicurezza lo fece salire su una monorotaia che partì a velocità pazzesca verso una destinazione sconosciuta, nel sottosuolo. Alla fine arrivarono all’ufficio di J.J., e Dom fu lasciato ad aspettare in anticamera. Passò il tempo osservando il profilo della segretaria: era un gran bel profilo, e lo sguardo sembrava assorto in qualche interessante pensiero. A un certo punto la segretaria si alzò, sorrise, e gli disse che il signor Barnes era pronto a riceverlo.

J.J. indicò a Dom la poltrona davanti alla sua scrivania. Dom si sedette, appoggiando allo schienale la stampella che usava per camminare. Si sentirono un sibilo e un lieve rombo, e intorno alla zona della scrivania si levò uno schermo anti-intercettazioni, che li avvolse in un involucro impenetrabile.

— Hai dei problemi perfino qui? — disse Dom.

— Mi accusano spesso di essere troppo prudente — disse J.J., — ma l’ultima volta che sono stato alla Casa Bianca, i mass media sapevano ogni particolare della discussione prima ancora che io fossi tornato in albergo.

— I giornalisti vogliono sempre poter dimostrare di essere a tu per tu coi potenti — disse Dom. Si agitò sulla poltrona, infastidito dal dolore al sedere.

— Flash — disse J.J., — sei appena tornato da Marte. Che carico avevi?

— Fosfati — disse Dom. Era chiaro che J.J. sapeva già che carico aveva trasportato, me J.J. era fatto così. Era metodico, aveva bisogno di introdurre l’argomento a poco a poco.

— Fosfati agricoli? — disse J.J.

— Sì.

— E nel viaggio precedente?

— Lo stesso.

— Ci rifletti mai, su questa cosa? — chiese J.J.

— Non molto — disse Dom.

— Perché non un carico di carbocristalli? — disse J.J. — O di platino raffinato? O di oro, o di radioelementi, o addirittura di petrolio?

— Non sono io a ordinare il carico — disse Dom. — Se cerchi di impartirmi lezioni sulla legge della domanda e dell’offerta, ti dico subito che so perché trasportiamo acqua su Marte e perché portiamo qui i fosfati. Marte non ha abbastanza acqua e voi non avete abbastanza cibo. Avete lasciato che il suolo di superficie finisse negli oceani, e avete rovinato quello rimasto insistendo con l’agricoltura intensiva.

— Non mi piace la tua scelta dei pronomi — disse J.J. — «Voi». E tu, tu non hai contribuito a consumare fino in fondo le risorse della Terra?

— Io, nel novanta, ho votato per il controllo obbligatorio delle nascite — disse Dom. — Era la prima volta che avevo l’età per votare, e anche in così giovane età ero dotato di buon senso. Voialtri no, invece.

— Non mi disturberò a protestare la mia affinità con te dicendoti che anch’io votai per il controllo delle nascite obbligatorio — osservò J.J. — L’essenziale è che il resto del mondo non votò così. — Guardò Dom pensieroso. — L’uomo che ha tentato di bruciarti vivo era un populcratico, naturalmente.

— Salvamondo?

— La militanza in un partito è pubblicamente permessa, quella in organizzazioni radicali e terroriste no. Immagino che fosse o un salvamondo, o un terrista. Forse un terrista: si sono fatti un po’ più sanguinari, negli ultimi tempi.

— In quale lista elettorale risultava iscritto? — chiese Dom.

— Quella del nostro caro senatore, il gentleman del New Mexico.

— Non hai ancora un’idea del perché abbia scelto me?

— No, non c’è ancora un rapporto ufficiale in tal senso. Nei documenti scritti, l’unico legame che risulta tra noi due è quello di fare entrambi parte dell’Arma dello Spazio. Ma può darsi che agli occhi dei terristi qualunque persona venga al MINESPOV sia un bersaglio prelibato. È probabile che la macchina del MINES sia bastata a fare di te il loro obiettivo. Stanno diventando sempre meno selettivi. Anche solo essere degli spaziali è motivo sufficiente per essere uccisi.

— Lo so. Infatti sono solito passare il tempo in luoghi sorvegliati quando mi trovo sulla cara vecchia madre Terra.

— E non vedi l’ora di tornare nello spazio — disse J.J.

— Già.

— Adesso ti ci vorrà un po’ di tempo prima di tornare nello spazio — disse J.J. — Sei dispensato dai tuoi doveri spaziali e assegnato a questa base.

— Non posso certo ringraziarti — disse Dom.

Barnes aprì un cassetto della scrivania e tirò fuori un registratore. — Penso che sia giunto il momento di farti sentire questo — disse. — Abbiamo corretto adeguatamente gli spazi di tempo tra i due interlocutori. — Premette un bottone.

La stanza si riempì dei suoni dello spazio profondo. Si sentirono il sibilo e il crepitio dei grandi vuoti interstellari e Dom provò una fitta di nostalgia mentre si protendeva in avanti. Le voci erano calme, da professionisti: voci di spaziali che compivano efficacemente il loro dovere lontano da casa, collegati alla Terra solo da fragili radioonde.

Controllo Houston, qui Callisto Explorer. Ore zero-nove-tre-cinque CSET. Ci sentite?

— Dite pure, Callisto Explorer.

— Houston, chiedo controllo veicoli nell’area J-77-343. Ripeto. Chiedo controllo veicoli nell’area J-77-343.

— Un attimo, Callisto Explorer. Aspettate, Callisto Explorer. La più vicina è la nave Queen Anne, del Regno Unito, davanti a voi a centottantasei gradi relativi punto di riferimento due-sette-Baker. La nave sovietica da esplorazione Kruscev è a trecentotredici gradi relativi alla vostra posizione punto di riferimento due-nove-Baker.

— Houston, qui Callisto Explorer. Chiedo controllo posizione zero-nove-sette relativa, punto di riferimento tre-tre-Charlie. Mi sentite?

— Sì, Callisto. Un attimo. Non c’è nient’altro che lo spazio vuoto, là dove dite.

— Houston, a meno che il vostro computer non sia in panne, laggiù c’è un bogie.

— Callisto Explorer, ripetete prego.

— Houston, abbiamo un bogie vicino all’orbita di Giove. Velocità presunta contosessantamila chilometri al secondo. Ripeto, velocità presunta centosessantamila chilometri al secondo. Massa di circa tre-zero-zero-zero tonnellate. Ripeto, tre-zero-zero-zero tonnellate. Houston, stiamo rilevando la traiettoria. Bogie in rotta di collisione con massa planetaria. Tempo previsto di arrivo nell’atmosfera esterna del pianeta: fra quattro ore e ventitré minuti.