— E così inquinare il paese — disse J.J.
— E lasciarlo talmente malridotto da farne facile preda per i radicali d’oltreoceano — disse Neil.
— In questo momento si sta combattendo una guerra limitata — disse J.J. — Non è facile ammazzare degli americani come noi. Non è il caso di usare armi nucleari nel proprio paese. Bisogna cercare di fare meno danni che si può e pregare che il vecchio uomo qualunque cada in piedi, come tante volte ha fatto. La volgare maggioranza silenziosa prima o poi staccherà gli occhi dalla tv e si accorgerà che le stanno sparando. Tutto dipenderà da quello che farà l’uomo qualunque. In questo momento si stanno fronteggiando due eserciti ancora abbastanza piccoli.
— Le masse determineranno l’esito della guerra ragionando con la loro intelligenza — disse Paul. — Ovvero scegliendo l’esercito che ha i generali più fotogenici e le uniformi più belle.
— Può darsi di sì come di no — disse J.J. — Uno dei primi risultati della guerra sarà la distruzione del sistema di distribuzione. La gente comincerà a cercare cibo tra le erbe dei campi. Quando succederà questo, si arriverà al punto cruciale. Se riusciremo a convincere la gente che la fame è il risultato della guerra iniziata dai radicali, potremmo portare molti dalla nostra parte. La nostra missione assume a questo punto un’importanza tutta nuova, perché se tornando indietro potremo promettere alla gente le stelle…
— E una volta arrivati al governo dalle stelle… — disse Neil.
Dom era come stordito. Quella frase, una volta arrivati al governo, gli martellava nella mente. Era come se… Ma fu Doris a dare voce ai suoi dubbi.
— J.J., voi sapevate che sarebbe successo, vero? Tutto il piano è stato organizzato tenendo conto di una possibile imminente rivoluzione.
— Posso dire che siamo importanti — disse J.J. — Molto importanti. E abbiamo l’appoggio di quello che resta del governo e di tutte le forze armate.
10
Vedere Marte da vicino era sempre un’esperienza eccitante per Dom. L’atmosfera sottile del pianeta permetteva di osservarne chiaramente la superficie. Una tempesta di sabbia a forma di ciclone soffiava a ovest delle pianure di Eliade, nell’emisfero sud. Lo strato di ghiaccio della zona polare nord brillava, e sembrava un gioiello bianco sulla sommità del globo. Doris era al fianco di Dom e guardava con grande interesse gli schermi, poiché era il suo primo viaggio su Marte.
Benché fosse arido, spietato, mortale per gli esseri umani che vi si avventurassero senza gli adeguati equipaggiamenti, Marte era la seconda patria di Dom. Negli ultimi anni aveva passato lì tanto tempo quanto ne aveva passato sulla Terra. Era orgoglioso di far parte dell’organizzazione che aveva reso possibile la presenza umana su Marte, e nello stesso tempo era amareggiato, perché gli avvenimenti terrestri ora più che mai minacciavano le strutture che erano state realizzate sul pianeta a costo di grandi sacrifici e perfino di qualche vita umana.
Nei giorni in cui restò a osservare il pianeta diventare un’ enorme sfera sospesa sopra la Kennedy, Dom parlò con Doris e le disse quello che pensava della politica riguardante Marte. Era una politica che veniva decisa sulla Terra, e che era confusa e contraddittoria.
— Prendi per esempio la Kennedy — le disse. — Con quello che è costata, avremmo potuto fornire un mucchio d’acqua all’intero pianeta per l’eternità. — Indicò i depositi di ghiaccio ai poli. — Là c’è abbastanza acqua da cambiare la faccia del pianeta — disse. — Se si potesse liberare tutta l’acqua imprigionata nelle calotte di ghiaccio, il pianeta si coprirebbe di uno strato liquido profondo circa dieci metri. È un calcolo teorico, che sarebbe esatto solo se il pianeta avesse una superficie liscia. Il fatto è che abbiamo speso miliardi per costruire questa nave che deve portare acqua su Marte, quando su Marte stesso c’è già un’enorme quantità d’acqua, o almeno ci sarebbe se avessimo i soldi e la mano d’opera per far sciogliere le calotte di ghiaccio.
Marte era tutt’altro che un pianeta dalla superficie liscia. L’enorme cono vulcanico dalla forma a scudo, il Monte Olimpo, era presente ora all’orizzonte, e la sua altezza era impressionante perfino vista a quella distanza dallo spazio.
— È alto tre volte l’Everest — disse Dom. — Ventiquattro chilometri.
— Che montagna! — disse Doris. — Credo che non mi andrebbe molto di scalarla.
— Non sarebbe poi così dura — disse Dom. — Ricordati che la gravità su Marte è meno di metà di quella della Terra. L’unica parte difficile della scalata è quella che riguarda la zona più bassa, e questo per via dei venti. Ho visto venti soffiare a trecento chilometri all’ora sui pendii più bassi. Ma nessuno si disturba a scalare quel monte. È troppo facile prendere una navetta e farla atterrare sulla cima. Se troveremo il tempo ti ci porterò. Credo che ti piacerebbe.
Dallo spazio, Marte sembrava un pianeta consumato fino all’osso. Un antico alveo di fiume, con gli affluenti che si diramavano da esso come vene da un’arteria, solcava una pianura butterata da crateri di meteoriti. Gli effetti dei venti marziani erano visibili nelle scie scure che si estendevano in fuori partendo dai crateri, e che segnavano il punto dove si erano depositate le particelle brillanti di polvere. Quando, grazie alla rotazione del pianeta, apparve alla vista la zona del canyon, Doris fu di nuovo impressionata dallo spettacolo. La gigantesca gola copriva un’area lunga quanto la distanza tra New York e San Francisco. Il principale crepaccio, la Forra di Titone, faceva sembrare i Gran Canyon del Colorado una ferita da niente. La bellezza aspra e terribile del pianeta diede a Doris un senso di commozione. Doris si appoggiò a Dom e gli posò una mano sul braccio.
— Una volta l’ho odiato, questo pianeta — disse.
— Perché? — disse lui, distratto.
— Perché ti ha portato via a me.
— È stato tanto tempo fa — disse Dom.
— Capisco perché Marte attiri tanto gli uomini — disse Doris. — Capisco, adesso, perché una volta che lo si è visto si sente il bisogno di tornarci.
— Ci sono diecimila persone laggiù — disse Dom, indicando le alte pianure vulcaniche nella zona di Eliade. — Vivono in abitazioni che darebbero alla maggior parte degli uomini che vivono sulla Terra un senso di claustrofobia. Respirano aria riciclata che hanno fabbricato loro stessi estraendo l’ossigeno dal terreno. Dipendono dalla Terra per la maggior parte delle risorse alimentari e dei manufatti. Ci sono cose meravigliose su Marte: minerali, pietre preziose, metalli. È un pianeta che non dovrà mai temere il sovraffollamento, perché non è nato per ospitare l’uomo. Ma può dare molto all’uomo. Su di esso ci sono abbastanza materie prime da soddisfare molti dei bisogni della Terra in tal senso. E noi cosa portiamo sulla Terra quando torniamo da Marte? Fertilizzanti!
— Ho sempre pensato che la politica seguita nei riguardi di Marte fosse tirchia con i centesimi e prodiga con le lire — disse Doris.
— Abbiamo già la tecnologia sufficiente a cambiare l’intero ambiente marziano — disse Dom. — Potremmo usare i motori nucleari per spostare solo un pochino i due satelliti, così da cambiare il moto del pianeta quel tanto da fargli ricevere più luce del sole ai poli. Le calotte si scioglierebbero, e il pianeta sarebbe più umido, più caldo, e quasi autosufficiente.
— T’immagini le urla di protesta degli adoratori della natura? — disse Doris ridendo. — T’immagini le cause che verrebbero intentate se il ministero annunciasse di voler cambiare l’ecologia di un intero pianeta?
— Il grido di battaglia sarebbe: «Anche i licheni hanno dei diritti!» — disse Dom.
I giganteschi motori della Kennedy la stavano facendo rallentare poco a poco. Marte era sospeso, rosso, enorme e bellissimo, sopra la nave. Cominciarono senza fretta i preparativi per l’atterraggio. Benché fosse enorme, la nave era in grado di atterrare e ripartire dal pianeta da sola, grazie alla bassa gravità. Neil la fece atterrare come se fosse una navetta di esplorazione enormemente più piccola della Kennedy. Gli uomini cominciarono a scaricare l’acqua che era quasi troppa per la capienza delle cisterne di Marte. Il lavoro si prospettava lungo, perché gli impianti di pompaggio erano stati progettati per quantità d’acqua molto inferiori.