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Dom presentò Doris ai suoi vecchi amici, e la portò al museo a vedere i miseri resti dell’antica vita vegetale e animale estinta. Il museo gli faceva sempre venire tristezza, perché era fin troppo eloquente, in quello che mostrava. Marte un tempo era stato un pianeta vivo sia geologicamente, sia biologicamente. Gli scienziati discutevano tuttora sulle possibili cause dell’estinzione della vita. Al momento, la teoria più in auge era quella che dava la colpa a una variazione nell’attività del Sole. Secondo tale teoria, decine o centinaia di milioni di anni prima il Sole avrebbe irraggiato più energia. A quell’epoca l’acqua ora racchiusa nelle calotte polari si sarebbe trovata allo stato libero sul pianeta, l’atmosfera sarebbe stata più densa e l’umidità più forte, sicché ci sarebbero state le condizioni per lo sviluppo della vita, sia animale, sia vegetale.

Dom era molto favorevole a quella teoria, la cui verità non poteva essere né dimostrata, né confutata. La natura di una stella è tale per cui in un corpo della grandezza del sole l’energia liberata nel nucleo ha bisogno di circa otto milioni di anni per farsi strada fino alla superficie, dove viene irraggiata fino ai pianeti in pochi minuti. L’attività sulla superficie del Sole, la luce che cadeva su Marte quel giorno, rappresentava il risultato di ciò che era avvenuto nel nucleo milioni di anni prima, e non dava modo di sapere quale fosse l’attività nel nucleo stesso in quel momento. Tuttavia, se Marte fosse stato influenzato da un cambiamento brusco di attività del Sole, la Terra avrebbe subito le stesse influenze. Naturalmente sulla Terra c’erano moltissimi reperti che testimoniavano che le condizioni erano cambiate. Le interpretazioni che si potevano dare di tali reperti erano tante.

Le felci fossili e i coralli delle zone artiche si potevano spiegare in vari modi diversi; le due teorie più in auge erano quelle della variazione dell’attività solare, e quella della deriva dei continenti. Attualmente la favorita era la prima, perché serviva anche a spiegare come mai Marte, da pianeta vivo, fosse diventato un pianeta morto la cui unica forma di vita, quando Trelawny vi aveva messo piede per la prima volta, si era rivelata il lichene.

Dom non era convinto di nessuna delle due teorie, che secondo lui lasciavano degli interrogativi irrisolti. La presenza di mammut nelle distese di ghiaccio dell’Alaska e della Siberia, e il fatto che la loro carne, dopo migliaia di anni, poteva ancora essere usata come cibo per i cani da slitta, non erano stati spiegati affatto dai sostenitori delle due teorie. In realtà, gli scienziati avevano semplicemente fatto finta che il problema dei mammut congelati non esistesse.

Dom pensava che la spiegazione potesse attingere sia all’una, sia all’altra ipotesi, con l’aggiunta di alcune cose ancora non teorizzate. Non che lui riuscisse a immaginare queste ultime, ma riteneva che la deriva dei continenti avesse una parte ben precisa nella faccenda. Le prove portate da quelli che studiavano la tettonica a placche erano molto convincenti.

Una cosa era studiare il passato della Terra, un’altra studiare il passato di Marte guardando i patetici resti che testimoniavano come qualche forza terribile avesse trasformato un pianeta vivo in un pianeta morto. L’antica idea romantica di una civiltà marziana scomparsa era già da tempo screditata, ma la vita sul pianeta c’era stata, una vita molto simile a quella della Terra, ed era andata distrutta, eccezion fatta per i licheni.

Doris intuì lo stato d’animo di Dom, il suo momento di malinconia. Propose di andare a consumare un pasto e a prendere un caffè nella principale tavola calda di Marte. Sarebbe stato bello, pensò, stare di nuovo in mezzo alla gente, sentirla parlare, sentire tangibilmente la sua presenza.

Il pasto era a base di proteine coltivate, il caffè era caldo e forte. Chiacchierarono con i due minatori seduti al tavolo vicino al loro, fumarono lentamente le loro sigarette, poi andarono in superficie a prendere la navetta per tornare alla Kennedy. Il giorno marziano di ventiquattr’ore stava per finire quando salirono a bordo. Ellen e J.J. erano di guardia, ed erano ansiosi di finire il loro turno per andare anche loro nelle cupole. Significava solo passare da un ambiente chiuso all’altro, ma era un diversivo per chi era ormai annoiato dalla vita di bordo.

Rimasti soli sulla nave, Dom e Doris si sedettero nella sala di controllo, dove si aveva la vista migliore, presero un bicchiere di vino dalla loro razione personale, e guardarono i piccoli satelliti farsi più brillanti a mano a mano che sul pianeta calava la notte. Nonostante il buio, né Dom né Doris attivarono il sistema di illuminazione.

Dom sentì sempre di più la vicinanza di Doris. E alla fine Doris si abbandonò tra le sue braccia senza protestare. Le sue labbra erano dolcissime. Dom avvertì un senso di possessività e di gioia. Lei era sua, era la sua ragazza, la sua donna. Il pianeta morto davanti all’oblò panoramico pareva dare maggior risalto al loro essere vivi. Erano soli, e sembrava che solo le loro due vite potessero smentire la triste realtà di quel pianeta deserto, là fuori, e della sua superficie fredda e senza aria. Molto lontano da lì, il loro mondo ancora una volta era dilaniato dalle lotte fra i suoi abitanti. Ancora più lontano, c’era una gigante gassosa con un campo gravitazionale micidiale e una pressione mostruosa. Dietro di loro c’erano lotte e incertezze, davanti c’era il pericolo. Il bacio tra Dom e Doris servì come a riaffermare il fatto che per il momento, se non altro, erano vivi. Ma in passato era stato stretto un accordo preciso tra loro.

Dom se ne ricordò e, col respiro affrettato e il cuore che gli batteva forte, la respinse. — Sarà meglio che ti metta in salvo, ragazza mia — sussurrò.

— Non è giusto — disse lei. — Non costringermi a prendere decisioni per tutti e due.

— Le donne scarseggiano su Marte — disse Dom. — Così le cose vengono semplificate al massimo. Non c’è un fidanzamento prematrimoniale. Su Marte si ritiene che non si debba sprecare un solo momento.

— Magnifico — disse Doris.

— Eh?

— D’accordo, cercherò di essere chiara, in modo che perfino un uomo riesca a capire. Sì — disse lei.

— Sì? — disse Dom.

— Sì — scandì lei. — Sì.

— Sei sicura?

— Adesso sembra che sia tu a non essere sicuro — disse Doris, dandogli un piccolo pugno su un braccio. — Senti, mi sento così piccola e tanto insignificante in questo grande universo. Voglio che qualcuno mi rassicuri. Credo di essere molto femmina, perché quello di cui ho bisogno è la sicurezza e la tranquillità che mi danno le tue braccia intorno al mio corpo.

Lui l’abbracciò di slancio, felice. Poi si mise in contatto col controllo terra e fece le sue richieste. Il prete arrivò a bordo della Kennedy nel giro di un’ ora, e diede a Doris appena il tempo di indossare la sua uniforme più bella. Mancando il resto dell’equipaggio, alla breve cerimonia fecero da testimoni due uomini dello staff addetto agli atterraggi. L’evviva alla sposa fu fatto con un brindisi a base di acqua fredda e limpida.

Dom e Doris rimasero di nuovo soli. In un primo tempo ci fu un certo imbarazzo tra loro. Erano nella cabina di Dom che, essendo quella del Comandante, era la più grande. Dom aiutò Doris a trasportareipochi oggetti personali nella stanza, poi tutt’e due bevvero ancora un po’ di vino. Alla fine si strinsero uno vicino all’altra, come a difendersi dalla lunga, triste notte esterna. Doris era ancora più dolce di come Dom la ricordava, e rappresentava tutto quello che lui avesse mai sognato.