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A tremila atmosfere Neil cominciò a cercare l’Ufo, andando su e giù con la nave sempre alla stessa altitudine.

Un’analisi preliminare dell’atmosfera a quel punto rivelò la presenza di un’interessante serie di composti di idrogeno e carbonio, sicché fu confermata l’ipotesi secondo la quale gli strati gialli di Giove dovevano essere costituiti da quel genere di materia. Perché si potessero prendere campioni puri dello strato giallo, la stiva fu vuotata dell’ammoniaca che era stata immessa al livello più alto.

La ricerca continuò senza successo. J.J. si preoccupò personalmente che venissero scaricatiigas eiliquidi velenosi, e che nella stiva restasse solo il materiale raccolto a tremila atmosfere, nello strato giallo. Sembravastranamente allegro, nonostante il fatto, tutt’altro che confortante, della scomparsa della nave aliena, della quale non si trovava traccia. Quando J.J. fu sicuro che l’enorme stiva contenesse soltanto materiale dello strato giallo, entrò nella sala di controllo con un sorriso soddisfatto dipinto in viso.

— Flash, appena sei pronto puoi riportare la Kennedy a casa — disse.

C’erano voluti tre giorni terrestri per liberare la stiva e poi riempirla. — Abbiamo ancora qualche giorno — disse Dom.

— Abbiamo quello per cui siamo venuti — disse J.J.

Dom si chiese se non gli avesse dato di volta il cervello a causa dello stress. — Non vedo tracce di navi aliene nella stiva — disse.

— Non c’è nessuna nave aliena — disse J.J.

— Come dici, scusa? — disse Dom.

— Non c’è mai stata nessuna nave aliena — disse J.J. — Quel segnale veniva da una nave Explorer, una sonda automatica.

— A tremila atmosfere? — disse Dom guardando J.J. dritto negli occhi.

— A sole dieci atmosfere — disse J.J.

— Ma la nave pattuglia misurava… — cominciò Dom.

— Quello che i suoi strumenti erano destinati a misurare — disse J.J. — E le trasmissioni sono cessate dietro mio ordine.

— Mi sto sforzando di capire qualcosa del tuo discorso. — disse Dom cupo. Neil stava ascoltando con la fronte aggrottata. — Stai per caso dicendo — continuò Dom — che abbiamo costruito questa nave solo per venire qua a caricare un po’ di merda gioviana?

— Siamo venuti per vincere la guerra — disse J.J. — Allora, adesso che hai definito come credevi la roba presente nella stiva, proporrei di metterla a una pressione interna di duemila atmosfere e di tornarcene a casa.

— Sto aspettando una spiegazione — disse Dom.

— Hai mai letto la Bibbia? — disse J.J. ridendo.

— Alcune parti.

— Ti ricordi quella dove si parla della manna, ragazzo mio? Della manna proveniente dal cielo?

Sì, era chiaramente ammattito. Dom si sentì profondamente triste. Tutta quella fatica per niente. Il lavoro, i rischi mortali, la morte di Larry, i terribili momenti in cui Dom aveva avuto paura di non riuscire a gettare la bomba dei terristi nello spazio, tutto quanto era solo servito a soddisfare le manie di un uomo che ora si stava dimostrando chiaramente pazzo.

La manna dal cielo! Minerva che usciva già bell’è formata dalla testa di Giove, e chissà cos’altro.

— Neil — disse Dom, sentendosi di colpo molto stanco. — Portiamo la Kennedy a casa.

— Sì — disse Neil, guardando J.J. con un misto di sgomento e di rabbia.

12

La nave affrontò un’ultima prova. Ne aveva affrontato già tante per riuscire a portarli lontano milioni di miglia, alla ricerca di qualcosa concepito dalla mente di un pazzo. Aveva sollevato migliaia di tonnellate d’acqua dalla Luna, vincendo la sua pur piccola attrazione gravitazionale, aveva viaggiato nello spazio e resistito alla pressione di Giove. L’ultima prova era più che mai importante. Se la Kennedy non fosse riuscita a tornare su e a vincere l’attrazione gravitazionale del gigante gassoso, il fatto che avesse superato le altre prove non sarebbe servito a niente.

Fino ad allora la sua energia era stata usata solo per neutralizzare l’attrazione gravitazionale e per mantenerla in orbita. Adesso le si chiedeva di vincere l’attrazione e di imprimere abbastanza forza allo scafo da spingerlo in su e fargli quindi raggiungere la velocità di fuga, che era anche il doppio di quella che occorreva per liberarsi dall’attrazione gravitazionale della Terra.

Ma, soprattutto, la Kennedy doveva restare intatta, in un pezzo solo, e, se bisognava assecondare il folle J.J., doveva restarlo assieme alle migliaia di tonnellate di atmosfera di Giove che aveva nella stiva.

Il computer fornì i dati sull’angolo di salita, gli incrementi di energia, i tempi di realizzazione e i dispositivi automatici passarono i dati al motore. Neil seguì le varie fasi col comando manuale, per sentire più tangibilmente quello che succedeva alla nave. Il ronzio interno della nave cambiò un po’. L’accelerazione in un primo tempo fu lieve, percepibile solo dagli strumenti. La nave si spostò lentamente in su. L’atmosfera offriva troppi ostacoli perché la Kennedy potesse andare a tutta forza. Il volo all’insù fu quindi lento e tedioso, controllato da migliaia di strumenti che andavano dai congegni per la misurazione della temperatura dello scafo alle trappole al neutrino che misuravano l’efficienza dei motori nucleari.

Era una cosa meravigliosa quella nave, stava pensando Neil. Aveva pilotato tutti i vari tipi di nave costruiti negli Stati Uniti, e anche alcune delle navi costruite altrove, ma mai aveva volato su una meraviglia come quella.

— Sei un progettista fantastico — disse a Dom con un sorriso.

Dom fece un sorriso cupo. Essere lodati da un uomo come Neil era piacevole, ma era pur sempre una magra consolazione. Certo, Dom era orgoglioso che il suo lavoro e le sue idee avessero dati buoni frutti, e che il progetto avesse avuto successo. Non c’era un’altra nave che fosse all’altezza della Follia.

Già, pensò Dom. Stava di nuovo pensando ad essa come alla Follia, non più come alla Kennedy. La follia di J.J.

La tensione che c’era in sala di controllo non derivava soltanto dal fatto che si era nella fase delicata in cui bisognava portare la nave fuori dall’atmosfera di Giove senza causare danni allo scafo carico e senza bruciare qualche motore per la troppa energia. In realtà, la salita durò tanto che divenne quasi lavoro di routine; era piuttosto la presenza di J.J., a causare tensione nell’equipaggio. Dom era profondamente deluso. Solo quando J.J. aveva fatto il suo annuncio a sorpresa lui si era reso conto di avere puntato tutto su quella nave aliena. C’era un elemento personale, nella sua delusione. Era stato ingannato, gli avevano fatto credere che si trattasse di una sorta di favolosa caccia al tesoro, e che il tesoro potesse essere la propulsione iperveloce. Invece, non c’era traccia di tesori. Gli avevano promesso le stelle, e invece il carico era una zuppa di gas compressa dentro la stiva della Follia.

Se il mondo non fosse stato quello che era, la Follia avrebbe potuto essere costruita per il puro amore della ricerca; per dimostrare che era possibile andare su Giove, per prendere campioni della sua atmosfera, per aggiungere semplicemente altre nozioni al patrimonio della conoscenza. Se il mondo non fosse stato quello che era, però, ci sarebbe anche stata abbondanza di cibo. E invece questo non si verificava da decenni, sulla Terra.

Sui tempi lunghi, anche la ricerca pura serviva. I motori all’idrogeno della Follia erano stati concepiti ai primi stadi del programma spaziale. Le fotografie fatte durante il primo esperimento Skylab, un progetto di ricerca pura, avevano dato agli astrofisici nuove e sorprendenti informazioni sul Sole. I quesiti nati intorno all’idea tradizionale che si aveva dell’energia solare già negli anni Settanta avevano portato alla scoperta che adesso permetteva alla Follia di opporsi alla forza gravitazionale di Giove. Se gli scienziati che facevano ricerca pura in un osservatorio dell’Arizona non avessero scoperto che l’intero disco del Sole pulsava, le teorie che avevano reso la propulsione all’idrogeno una realtà non sarebbero state formulate. Sotto il profilo del lungo termine, il progetto Skylab era valso la pena, ma nonostante ciò c’erano persone che sbraitavano contro le spese eccessive per lo spazio e pretendevano invece che si distribuissero burro o Cadillac a quel gruppo di fannulloni che costituisce la parte più purulenta della società umana.