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Era un modo di pensare da reazionario, si disse Dom. I poveri sono sempre esistiti, in tutte le società. Dom non era abbastanza di destra per dimenticarli, specie considerando che presto sarebbe stato uno di loro, e che avrebbe sofferto la fame assieme a loro. Cos’era che non aveva funzionato? Tutto quello che Dom voleva era lavorare nello spazio, magari fare qualcosa per favorire il controllo demografico, e magari anche aiutare l’uomo a fuggire dal suo pianeta sovraffollato verso pascoli più ricchi.

Dom, che aveva progettato la Follia, adesso si sentiva in colpa. Per costruire la Kennedy erano stati spesi tanti soldi, che col loro equivalente si sarebbero ingrandite di dieci volte le miniere su Marte, permettendo così una produzione di fosfati sufficiente a rendere fertili metà delle terre agricole del mondo. Si era raggiunto un obiettivo che giovava alla scienza pura, ma che era stato conseguito a spese di molti progetti più importanti. Una volta che tutta la storia della Follia fosse stata resa nota, per il programma spaziale sarebbe stata la fine. Anche se la guerra civile fosse stata vinta dal governo, finché fossero esistite persone affamate le critiche a quel progetto sarebbero continuate.

Per un attimo Dom si chiese se non sarebbe stato meglio che lo scafo cedesse o che un razzo si bruciasse, e che la Follia implodesse e non fosse mai più vista da occhio umano. Ma anche se la nave fosse scomparsa, della sua esistenza ormai si sapeva. Morta o viva, la nave, l’ultimo gioiello delMINES.sarebbe stata uno strumento nelle mani degli oppositori dello spazio, che si adoperavano per paralizzare il programma spaziale. E forse, portando come esempio lo spreco che era stata la Follia, sarebbero riusciti a paralizzarlo per decenni e magari per sempre.

Dom andò nella sua cabina, mentre Neil faceva passare la nave attraverso la zona sottile di ammoniaca ghiacciata degli strati più esterni. Dalla sua cuccetta sentì il ronzio dei motori che spingevano la nave oltre i satelliti solitari. I motori erano così potenti, che la Kennedy non risentiva nemmeno del peso della zuppa gioviana nella stiva.

Dom sentiva tutta la propria responsabilità in quell’impresa. Tornò nella sala di controllo, chiamò la nave pattuglia e disse: — Abbiamo finito. Siamo diretti a casa. Avete combustibile per il viaggio fino a Marte?

— Affermativo — fu la risposta. — Congratulazioni J.F.K.

Dom fece una smorfia e non ringraziò. Ora sentiva l’accelerazione. Si sentiva stanco. Per quanto lo riguardava, la nave avrebbe potuto essere lasciata ai suoi automatismi, in modo che procedesse da sola. Al momento provava disinteresse per tutto. Pensò alla guerra, agli americani che uccidevano degli americani. Cercò di immaginare l’impatto che avrebbe avuto la notizia che la missione della Follia, per la quale erano stati spesi tanti miliardi, era un fallimento. Anzi, più che un insuccesso, uno spreco. La notizia non si sarebbe potuta tenere nascosta per molto. Un’organizzazione che era riuscita a fare infiltrare un suo fanatico nella base di Marte, che era la roccaforte più sicura delMINES.avrebbe potuto senz’altro carpire la notizia che la Follia aveva compiuto una missione del cavolo ed era tornata indietro con un carico di gas dannosi presi all’interno dell’atmosfera di Giove.

Dom tornò nella sua cabina e si lasciò cadere pesantemente sulla cuccetta. Doris era ancora al posto di lavoro e ci sarebbe rimasta finché il piano di volo non fosse stato completato e controllato più volte. Bussarono alla porta della cabina.

J.J. fece capolino. — Posso parlarti un attimo, Flash?

— Non mi va molto in questo momento — disse Dom.

J.J. si chiuse la porta alle spalle. — È stato uno sporco giochetto, vero?

— J.J., vattene per favore, eh?

— Fra un attimo — disse J.J., sedendosi. — Vuoi darmi un pugno, così poi ti senti meglio?

— Non tentarmi.

— Non ti metterei nemmeno a rapporto — disse J.J. — Sei disposto ad ascoltare, o stai ancora crogiolandoti nel tuo dolore?

— Cos’altro potrei fare? — ringhiò Dom.

— Hai afferrato l’idea, però, vero?

— Sì — disse Dom. — L’ho afferrata. Dio, J.J., hai inventato la storia della nave aliena e speso miliardi di dollari per dare la caccia ai fantasmi.

— Ho dovuto inventare la storia della nave aliena — disse J.J. — Dovevo fare in modo che dei tipi pratici come te avessero qualcosa di concreto cui riferirsi. A me pareva che questa idea fosse abbastanza brillante, e a te?

— J.J., sono stanchissimo. Perché non vai a farti un sonnellino?

— Chi mi avrebbe ascoltato se avessi detto le vere ragioni del progetto? — disse J.J. — Ci voleva un incentivo forte, come per esempio la prospettiva di conoscere il segreto dell’ipervelocità, perché il mio pubblico mi ascoltasse.

— Sì — disse stancamente Dom.

— Non c’è bisogno di farla fermare su Marte quando torniamo a casa, no?

— No.

— Andiamo su Base Luna, sulla faccia nascosta.

— Che differenza fa? Tanto, dovunque la faremo atterrare, la cosa più probabile è che non decollerà mai più.

— Decollerà — disse J.J., — e decolleranno dozzine di altre navi come lei.

— Vattene — disse Dom.

— Promettimi una cosa.

— Non so se posso.

— Promettimi che in nessun caso getterai via il carico. Promettimelo.

— Che differenza fa? — disse Dom. — E va be’, ce lo porteremo dietro fino alla fine. Farà una bella nube quando lo scaricheremo dalla parte nascosta della Luna.

— Io ho un modo migliore di utilizzarlo — disse J.J.

— Certo — disse Dom. — Potrai nutrire gli ultimi due scienziati della terra con la tua atmosfera gioviana, e farli restare in vita ancora un pochino, finché la marmaglia non li prenderà e non li farà a pezzi.

J.J. adesso era in piedi. — Devo constatare che sei un non credente. Coraggio, la pace e l’abbondanza ci aspettano.

Dom sentì la porta chiudersi. Si addormentò, e fu svegliato poco dopo dal comunicatore.

Era Neil. — J.J. ha indetto una riunione dell’equipaggio. Ci si vede nella sala di ritrovo. Pensavo che volessi partecipare.

— Ma sì, parteciperò — disse Dom. Si spruzzò acqua fresca sulla faccia e, ancora insonnolito, s’incamminò pesantemente lungo il corridoio. Passò dalla sala di controllo. La nave procedeva col pilota automatico, e funzionava perfettamente. Dietro di essa, visibile dagli oblò di poppa, c’era la massa di Giove. Era ancora uno spettacolo impressionante. Dom sentì una punta d’orgoglio pensando che in un certo senso aveva conquistato il corpo celeste che per grandezza era secondo soltanto al Sole, nel sistema solare. Ma il suo orgoglio svanì presto.

Effettuò un ultimo controllo visivo degli strumenti. Gli automatismi producevano i consueti ronzii e conducevano la nave con una precisione che l’uomo non avrebbe mai potuto eguagliare. Dom s’incamminò lentamente verso la sala di ritrovo, già temendo che J.J. desse ulteriore sfogo alla sua pazzia.

La porta era aperta. Dom si fermò poco prima della soglia e sentì Doris ridere. Neil era seduto in modo da vedere il pan nello comandi della sala di ritrovo, e teneva così d’occhio le funzioni più importanti della nave. Doris era in piedi vicino a J.J., davanti al bar, e versava da bere dalla bottiglia personale di J.J. C’erano tutti, tranne Jensen. Dom rimase lì fuori a guardare. Ellen accettò da bere. Doris rise di qualcosa che aveva detto Ellen. Tutti quanti bevevano e ridevano. Nerone che suonava la cetra mentre Roma gli bruciava intorno. Dom non aveva voglia di assistere a una cosa del genere.