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Eppure prima o poi anche gli altri avrebbero dovuto sentire tutta quanta la storia. Dom stava per entrare, deciso ad affrontare la situazione, ma subito dopo cambiò idea. Jensen non c’ era ancora, e quando fosse arrivato sarebbe stata raccontata da capo la storia, e ascoltare una terza volta i discorsi di J.J. era più di quanto Dom potesse sopportare.

Era passato dalla sala di controllo appena pochi minuti prima, ma gli venne spontaneo di dare un’occhiata lo stesso. Esaminò i congegni, e il suo sguardo si soffermò su una spia luminosa d’allarme. Preoccupato, attivò l’analizzatore e fu sollevato nello scoprire che il problema riguardava soltanto il sistema di equilibramento della pressione della stiva. Non avrebbe fatto male a nessuno che qualche tonnellata di atmosfera di Giove andasse perduta nello spazio. Attivò il sistema di auto-verifica. Il problema era localizzato nella sala di controllo. Dom sollevò una sezione e sentì odore di materiale isolante bruciato. Non era niente di grave. Tutti i sistemi importanti erano ridondanti. Perfino il sistema di equilibramento della pressione aveva il suo doppione. Dentro l’atmosfera di Giove, esso era di fondamentale importanza. Dom effettuò un controllo completo e vide accendersi una seconda spia luminosa d’allarme. Era strano, ma la faccenda restava tutt’altro che grave.

In quel momento nella sezione di poppa si accese un’altra spia rossa, la spia del sistema di equilibramento manuale che entrava in funzione solo nell’improbabile caso che i primi due si guastassero contemporaneamente. Le probabilità che ciò accadesse erano infinitesime, ma nello spazio qualche volta era successo. Ma che se ne guastassero tre era un po’ strano. Non era però ancora troppo preoccupato; s’incamminò verso poppa, deciso a trovare Jensen e a verificare cosa diavolo fosse successo al sistema di equilibramento della pressione. Non era un guasto critico, altrimenti avrebbe messo in stato d’allarme l’equipaggio. I corto circuiti nella sala di controllo centrale si potevano riparare facilmente, e gli altri guasti si potevano riparare con comodo, visto che del sistema di equilibramento della pressione nella stiva ci sarebbe stato bisogno solo quando si fosse arrivati sulla Luna e si avesse ricevuto l’ordine di gettare l’inutile carico nello spazio. Dom intendeva limitarsi a controllare a poppa e a rintracciare Jensen, poi sarebbe tornato nella sala di ritrovo per ascoltare ancora una volta la penosa storia di J.J.

Avanzò con le scarpe silenziose lungo il corridoio interminabile che costeggiava la stiva. Entrò nel compartimento stagno, aprì l’ultima fila di portelli e s’ infilò nel reparto macchine anteriore. Di colpo si trovò davanti Jensen che gli puntava contro una pistola a proiettili multipli. Alle spalle di Jensen il pannello mostrava che il sistema di equilibramento della pressione era tutto sul rosso. Dom capì che se avesse potuto guardare fuori della Kennedy, avrebbe visto il contenuto della stiva riversarsi nello spazio spinto da una grande pressione.

— Cosa diavolo vuol dire questo, Paul? — disse, fermandosi di colpo e stando attento a non fare mosse improvvise. Era la seconda volta in pochi giorni che si trovava davanti a una pistola.

— Non dovevate essere nella sala di ritrovo, a quest’ora? — disse Paul.

— Paul, un matto a bordo non è forse già abbastanza? — Sfoderò un sorriso, per rabbonirlo. — Qual è il vostro problema?

— Mi eravate abbastanza simpatico, Dom — disse Jensen. Dom vide il suo dito stringersi sul grilletto e si buttò di lato, sul pavimento, proprio nel momento in cui dalla pistola partiva una raffica di proiettili. I proiettili colpirono il ponte e una paratia. La pistola sparò una seconda volta, e Dom si sentì colpire di striscio a una caviglia; non avvertendo alcun male, continuò a muoversi, sollevò un robot delle pulizie e, nascondendosi dietro una consolle, gettò il pesante congegno contro Jensen. Jensen alzò la mano che impugnava la pistola per cercare di bloccare il robot, e questi lo colpì di striscio. Dom si gettò contro di lui, schivando la pistola che era ancora puntata verso l’alto. Mentre il robot rotolava in terra con gran fracasso, Jensen abbassò lentamente l’arma per prendere la mira. Dom si scagliò contro di lui, bloccandogli il polso della mano che impugnava l’arma, eidue rotolarono insieme sul ponte.

Jensen era sorprendentemente forte. La pistola esplose un colpo a pochi centimetri dall’orecchio di Dom, che per un attimo rimase assordato. Con uno sforzo supremo, Dom inchiodò la mano di Jensen sul ponte. Jensen gli diede un pugno, e Dom vide le stelle e cominciò a sanguinare dal naso. Jensen era accanto al pannello comandi.

— Fate una mossa, Gordon — ansimò Paul — e tutta la nave salta in aria. — Teneva la mano sopraicomandi manuali.

— Ho manomessoidispositivi di sicurezza. Se sovraccarico l’impianto, la nave diventerà un’ autentica bomba.

— Morirete anche voi con gli altri — disse Dom.

— Non desidero che muoia nessuno.

— Si può sapere che cosa vo4ete, allora?

— Un paio d’ore. Il tempo necessario perché si vuoti la stiva.

— Perché vi pare una cosa così importante? — chiese Dom.

— Siete per caso matto anche voi?

— Perché mi pare importante? Perché l’intero sistema sociale è corrotto — disse Jensen.

— Perché è ora di cambiarlo.

— Avete gettato la maschera per niente, Paul — disse Dom.

— D’altra parte, ho sempre pensato che i terristi fossero pazzi.

— Siete voi il pazzo — disse Paul. — Adesso ascoltatemi bene. Non voglio morire, non adesso che stiamo vincendo, ma morirò, se sarà necessario. Voglio che andiate piano piano fin là, che prendiate la pistola dalla parte della canna, e che me la diate.

— Posso dire una cosa, prima?

— Se vi sbrigate.

— Paul, non m’interessa un tubo se vuotate la stiva. Mi volete credere? Me ne infischio nel modo più assoluto. Non ho intenzione di morire solo per cercare di salvare un campione di atmosfera di Giove. Sarebbe interessante analizzarlo, ma non è che mi vada molto di morire; soprattutto non mi va di morire per una semplice curiosità scientifica. Allora, fatemi un favore e non fatevi prendere dal panico, va bene? Non commettete una sciocchezza. Forse avete ragione quando dite che state vincendo. Una volta che la nave sarà tornata indietro, probabilmente non andrà mai più nello spazio. Ha fatto di più J.J. per distruggere il programma spaziale di tutti voi terristi in cinquantanni. Quando assumerete il controllo del paese, dovrete dargli una medaglia. Quello che voglio dire è che il danno ormai è fatto. Perché non torniamo a casa tutti insieme, pacificamente?

— Fate come vi ho detto, se volete questo.

— D’accordo. Mi muoverò piano e non tenterò trucchi. — Dom si chinò a raccogliere la pistola e fece per rialzarsi.

— Se fate una mossa veloce faccio saltare in aria la nave — disse Jensen.

— Sì, lo so — disse Dom. — Mi sto muovendo pianissimo. — S’incamminò molto lentamente, tenendo la pistola per la canna, davanti a sé. Jensen lo guardò nervoso, umettandosi le labbra. Continuava a tenere una mano sopra quella leva che, se i dispositivi di sicurezza erano stati davvero manomessi, avrebbe fatto esplodere i motori e trasformato per un attimo la Kennedy in una stella incandescente.

— Ecco qui — disse Dom. — Tenetela. — Jensen guardò la pistola e si protese leggermente in avanti. Essendo appena un po’ sbilanciato, avrebbe dovuto fare un movimento in due tempi per tirare fino in fondo la leva. E nessun uomo al mondo poteva fare due mosse nella frazione di tempo in cui Dom ne faceva una. Dom afferrò la pistola e sparò prima che Jensen avesse il tempo di muovere un dito. La mano di Jensen fu troncata all’altezza del polso e non riuscì ad abbassare la leva che avrebbe fatto esplodere la nave. Jensen aprì la bocca e urlò, ma nonostante il dolore e lo shock mostrò di essere ben addestrato alla lotta, perché immediatamente allungò l’altra mano verso la leva. Stava quasi per arrivarci, quando Dom sparò ancora, colpendolo in pieno viso. Non ci fu bisogno di sparare una terza volta.