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— In quanti sono a bordo? — chiese Dom.

— Solo Neil.

— Il rischio è alto allora, vero? — disse Dom.

— Lui se ne rende perfettamente conto — disse J.J.

— Ed è così coraggioso da tentare lo stesso? — disse Dom. — Neil è, fra gli spaziali, quello che più si avvicina al tipo dell’eroe.

— Accendere i retrorazzi — disse uno degli addetti al controllo.

Alcuni secondi dopo (l’intervallo era dovuto alla distanza tra quella sala e la precaria dimora di Neil Walters a bordo di una nuova astronave nucleare, nello spazio profondo), arrivò la voce calmissima di Neil. — Retrorazzi accesi. — La voce di Neil era sempre calmissima. Una volta Walters aveva pilotato un apparecchio sperimentale che a un certo punto non aveva più risposto ai comandi e aveva cominciato a precipitare verso il deserto; lui aveva ripreso il controllo giusto in tempo per impedire che l’impatto fosse mortale, e durante tutta quell’avventura il suo tono di voce non era mai cambiato. Solo all’ultimo momento aveva smesso di parlare tranquillamente di tecnologie non indovinate e di computer in avaria. Nel rivestimento della cabina era rimasta stampata l’impronta del suo corpo. Dopo alcune settimane passate ad aspettare che le ossa rotte si saldassero, Neil aveva portato il proprio corpo rimesso a nuovo nella troposfera, per un volo di collaudo.

— Ci vorrà circa un quarto d’ora — disse J.J. — Vuoi un po’ di caffè? — Vedendo che Dom annuiva, schioccò le dita, chiamando un cadetto.

— J.J. — disse Dom — era da anni che si progettava la costruzione del motore a propulsione nucleare. Come hai fatto a farlo costruire adesso, con il budget così ridotto?

— Prima non ne avevamo veramente bisogno — disse J.J. — Ci sarebbe stato solo un lieve aumento della velocità perché, più premi contro la costante, più quella ti respinge indietro.

— E adesso che ne abbiamo bisogno non per una questione di velocità, ma di energia, come sei riuscito a farlo costruire?

— Usando fino all’ultimo dollaro i risparmi che avevamo tenuto in serbo proprio per casi di estrema emergenza come questo — disse J.J. — Se riusciremo a tirar fuori tremila tonnellate di nave aliena dall’atmosfera di Giove, ne sarà valsa la pena.

— E i contestatori non sanno dei tuoi progetti col motore a propulsione nucleare?

— Il capo del MINES ha giurato davanti a Dio e alla Commissione Spaziale del Senato degli Stati Uniti che l’idea del motore nucleare è stata completamente abbandonata, e che il MINES non tiene mai nascosto nulla ai funzionari dello Stato.

— Sono sicuro che Dio gli ha perdonato la sua bugia — disse Art.

— Io credevo che parlasse anche a nome di Dio — disse Dom.

— E il Senato lo perdonerà quando riporteremo indietro quella nave — disse J.J.

— Meno dieci e il conteggio continua — rimbombò la voce all’altoparlante.

— Così, ho fatto lega con dei criminali — disse Dom. — Vi rendete conto che c’è chi ha avuto rogne grosse per avere mentito su cose molto meno dispendiose, al Congresso degli Stati Uniti?

— Nessuno vive senza correre rischi — disse J.J.

— C’è una cosa che mi lascia perplesso — disse Dom. — Quel bogie è entrato nell’atmosfera di Giove due mesi fa, e voi avete già una testata all’idrogeno nello spazio pronta per la prova sperimentale. Dovrei credere che avete costruito quel dannato affare in soli due mesi?

— Avevamo i principali componenti pronti da anni — disse J.J. — Non fare quel viso torvo. Non è poi così grave. Non c’è ente governativo che non faccia lo stesso. Se ci attenessimo tutti rigidamente al budget, non potremmo nemmeno mantenere qualche miliardo qui e là per avere il denaro nei momenti di bisogno.

— Quanto denaro c’è voluto per riprodurre fedelmente qui l’impianto di Houston? — disse Dom.

— Cosa succederebbe a tutte le nostre astronavi in viaggio se qualche terrista facesse irruzione nella sale di controllo di Houston con un chilo di esplosivo al plastico? — disse J.J.

— A parte che verrebbero uccise un po’ di persone — disse Art — sarebbe la fine del programma, perché il Congresso ne approfitterebbe per rifiutare di finanziare la ricostruzione degli impianti.

— Perdio, ma è proprio per questo tipo di sperperi che i contestatori fanno tanto rumore — disse Dom. — Per la prima volta capisco un pochino il loro modo di vedere.

— Chi conta sa di questo posto — disse J.J. — Perfino il nostro amico del New Mexico lo sa. A parte il fatto che non c’è modo di tenere nascosto un posto che emette una simile quantità di comunicazioni, il nostro amico ha approvato la decisione che abbiamo preso, dal momento che la scelta del luogo è caduta nel suo Stato e ha significato qualche milione in più per l’economia del New Mexico. È stato uno dei sostenitori più sinceri del progetto, ma solo dietro le quinte, naturalmente.

— Sa del motore all’idrogeno? — chiese Dom.

— Speriamo di no. Lo sapremo fra qualche giorno.

— In che modo?

— Se lo sa il senatore del New Mexico, lo sanno anche i terristri. Se i terristi lo sanno, ci sarà nella migliore delle ipotesi una manifestazione di protesta, nella peggiore un vero e proprio assalto al MINESPOV.

— Sono così forti? — disse Dom.

— Sono forti e lo diventano ogni giorno di più. Secondo me, ci sono cinquanta probabilità su cento che sferrino un attacco frontale al MINESPOV. È isolato. Di primo acchito si direbbe che sia un bersaglio più facile di, mettiamo, Houston o Cape Canaveral, ma in realtà sarebbe più facile conquistare il Pentagono o Fort Knox. Abbiamo due divisioni di marines spaziali capaci di intervenire nel giro di cinque minuti. Abbiamo le armi più moderne che ci siano. E gli uomini della nostra sicurezza sono in grado di friggere, fare a fettine, fare implodere, bruciare, congelare, drogare e gasare molte migliaia di terristi.

— Ma non riuscite a tenerli lontani dagli impianti — disse Dom, agitando uno dei suoi piedi fasciati.

Intorno a loro continuava a fervere l’attività. La voce meccanica del coordinatore dell’esperimento continuò il conto alla rovescia. Don finì il caffè. Il cadetto era lì vicino, pronto a prendere la tazza vuota.

Se le condizioni economiche fossero state ideali, sarebbe stato giusto dotare tutte le astronavi di propulsione nucleare. Se la Callisto Explorer avesse avuto motori nucleari non sarebbe rimasta là bloccata nello spazio, ad aspettare che la sua aria si corrompesse. I motori nucleari non erano una necessità assoluta: i vecchi razzi a combustibile solido erano più che sufficienti per esplorare il sistema solare e per compiere i limitati viaggi di natura commerciale tra la Terra e Marte. L’umanità non si poteva più permettere il lusso di programmi costosi se lo scopo era soltanto il gusto del progresso. I prodotti dell’esplorazione spaziale erano quasi esclusivamente articoli di lusso di cui il mondo poteva fare a meno. Il teflon, i tessuti sintetici, la microelettronica, le nuove tecniche scientifiche, la capacità di individuare per la prima volta dei pianeti orbitanti intorno alle stelle più vicine non portavano cibo sul tavolo dell’umanità; e chi ha fame se ne infischia altamente dei pianeti che orbitano intorno a stelle così lontane da essere raggiungibili solo nel giro di alcune generazioni.

L’energia nucleare aveva risolto ben pochi problemi. C’era abbondanza di elettricità nei paesi industriali, ma non si poteva usare un motore nucleare per azionare i veicoli di terra. L’uso migliore che si poteva fare degli impianti nucleari portatili era nello spazio, e tuttavia non sarebbe bastata nemmeno una propulsione nucleare quasi illimitata a spingere una nave oltre la velocità della luce, rendendo così possibile il volo interstellare.