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Come spaziale, Dom era contento di sapere che c’erano installazioni di controllo in grado di rimpiazzare quelle di Houston. Ed era contento anche che il motore nucleare fosse stato finalmente collaudato. Con l’umanità in tumulto, bisognava per forza agire di nascosto e cercare di conquistare lo spazio prima che fosse troppo tardi.

I contestatori avrebbero obiettato che a bordo della Callisto Explorer c’erano solo cinque uomini a respirare aria sempre più viziata in attesa della nave di salvataggio, mentre sulla Terra erano milioni quelli che morivano di fame. Se avessero scoperto che erano stati spesi miliardi per costruire un motore all’idrogeno, i contestatori sarebbero scesi sul piede di guerra e sarebbero piombati in strada ad ammazzare il primo spaziale o il primo cadetto che avessero incontrato.

A Dom non andava di dover pensare a quel tipo di cose. Lui voleva poter essere libero di fare il proprio lavoro a bordo di una nave, e lasciare i problemi del pianeta ai politici. Prima che J.J. lo chiamasse al MINESPOV, aveva fantasticato di poter continuare tutta la vita a viaggiare sulle astronavi, fossero anche astronavi che portavano i fertilizzanti da Marte alla Terra. A volte aveva sognato che da qualche parte, in qualche laboratorio segreto, qualcuno riuscisse a infrangere l’ostacolo della velocità della luce, ma erano solo sogni. Forse però un giorno ci sarebbero riusciti veramente. Non poteva credere che l’uomo fosse nato per restare confinato sulla Terra o sui pianeti morti ad essa vicini. Se c’erano alcune infinitesime particelle subatomiche in grado di viaggiare più veloci della luce, doveva esserci il modo di far viaggiare più veloce della luce anche un’astronave.

Se la nave aliena in orbita intorno a Giove possedeva il segreto dell’ipervelocità, qualsiasi sotterfugio era giustificato. Anche se la missione fosse fallita sarebbe stato lo stesso un guadagno. L’energia non sarebbe mai più stata un problema. Non ci sarebbe mai stata scarsità d’idrogeno nell’universo.

— È quasi ora — disse J.J.

— Sistema d’accensione attivato — disse la voce di Neil, resa più sottile dalla distanza.

— Voglio Neil — disse Dom. — Voglio che sia Neil a pilotare la nave.

— È già stato assegnato altrove — disse J.J.

Dunque, tutto dipendeva da quel motore non collaudato così lontano dalla sala di controllo che, se fosse esploso quando Neil l’avesse acceso, il lampo di luce che avrebbe prodotto avrebbe potuto essere visto solo da telescopi ad alta risoluzione posti su osservatori orbitanti.

— Preriscaldatore attivato — disse Neil.

Adesso era solo Neil a parlare: il conteggio era agli sgoccioli, e l’intervallo temporale dovuto alla distanza non permetteva la comunicazione nei due sensi.

— Interruttore accensione attivato. — La voce era calma, pacata, disturbata solo dal crepitio dell’elettricità statica. — Interruttore accensione di riserva attivato.

Ormai era già successo. Prima ancora che le sue parole arrivassero in quella sala, Neil Walters aveva innescato la bomba che aveva sotto il sedere. — Quattro, tre, due, uno, acceso — disse la sua voce.

Dom sentiva il sangue pulsargli nelle orecchie. Cinquanta persone stavano trattenendo il fiato.

— L’accensione è okay — disse Neil, calmissimo. Nella sala di controllo esplosero gli evviva. — Fattore di accelerazione punto-uno-zero-cinque. Tutti i sistemi attivati. Pronto per l’interruzione.

Funzionava. Nonostante gli scioperi nelle industrie chiave, nonostante le dimostrazioni contro gli impianti aerospaziali, nonostante gli ostacoli opposti dalla burocrazia, nonostante i milioni di persone affamate, nonostante le leggi contro i programmi segreti negli enti governativi, funzionava.

I dati stavano fluendo in abbondanza nei computer di controllo quando Dom, J.J. e Art salirono sulla monorotaia che li riportò in gran fretta nel complesso residenziale.

L’energia non era un problema, dunque. Ne avrebbero avuta abbastanza da scagliare la Terra fuori dalla sua orbita, se avessero voluto costruire un impianto abbastanza grande per farlo. Con la nave a propulsione nucleare avrebbero avuto abbastanza energia da agganciare il bogie, tirarlo fuori dall’atmosfera di Giove e portarlo a casa.

Se il bogie non avesse opposto resistenza.

Se fossero riusciti a costruire una nave in grado di sopportare una pressione di tremila atmosfere senza esplodere.

Se i terristi non avessero organizzato un attacco e non avessero provocato danni irreparabili prima che la nave superpressurizzata fosse in grado di volare.

Se non fossero andati tutti quanti in galera.

4

Doris Gomulka arrivò mentre Dom stava guardando Art Donald che esaminava campioni di metallo. Entrò in laboratorio ancora vestita da viaggio; il suo abito era un po’ sgualcito e impolverato, e i capelli erano umidi di sudore. Doris era una ragazza alta, con seni piccoli, torace stretto, vita sottile e bei fianchi. Agli occhi di Dom era una delle donne più affascinanti del mondo, anche se non sfruttava affatto il suo fascino e non faceva risaltare di più la bellezza del suo viso con il trucco.

Art si accingeva a bruciare un pezzo di metallo con il laser. Era un’operazione interessante, che richiedeva precisione, e Dom doveva aiutare Art. Dovendo tenere gli occhi sugli indicatori, Dom trovò il tempo di riprendersi dall’emozione di avere visto Doris, che non vedeva dall’epoca del progetto del batiscafo.

Art bruciò il pezzo di metallo, e gli strumenti misurarono il tempo di disintegrazione e fornirono i dati al computer. Doris rimase in piedi senza dire niente finché Art non ebbe finito. Dom si girò a guardarla e non riuscì a sorridere. Provò a farlo, ma il sorriso non gli venne. Ripensò al passato e si disse: Vedi, stupido? È sposata, ed è anche contenta.

— Ho alcuni problemi da sottoporvi — disse Art, senz’altra parola di saluto.

— Bene — disse Doris. Le piaceva lavorare con Art. Art era il tipo dello scienziato: una volta che c’era in ballo un progetto, il resto del mondo cessava di esistere per lui. Era il più bravo nel suo campo, e questo a Doris piaceva perché anche lei era la più brava nel suo campo, anche se non se ne vantava affatto. Qualcuno aveva detto una volta che Doris Gomulka sarebbe stata capace di fornire dati a caso a un computer e ottenere di fargli recitare le poesie di Emily Dickinson, se solo avesse voluto perdere tempo in un progetto del genere.

Anche Dom aveva alcuni problemi. Diversamente da Art, però, non poteva farli risolvere da Doris. Il suo problema era che era innamorato, che era sempre stato innamorato, che sarebbe sempre stato innamorato di una ragazza che lo trattava come un fratello minore un po’ stupidino. E dire che, perdio, non era affatto più giovane di Doris.

— Sono felice di lavorare di nuovo con te — disse.

— Grazie — disse Doris, con un bel sorriso. — Ti trovo bene. Cos’hai fatto ai piedi?

— Un terrista gli ha infilato un fiammifero acceso in un piede — disse Art. — Hai notizie di Larry?

— Non ha preso le pillole e si è beccato la malaria in India — disse Doris.

— Quello che cerchiamo di fare — disse Art, troncando le formalità — è prendere la formula dello scafo sottomarino e farla funzionare per lo spazio con le dovute modifiche.

— Doris avrà bisogno di riposarsi un po’ dal viaggio — disse Dom.

— Con qualcuna delle nuove leghe credo che potremo aumentare la resistenza del vecchio scafo di circa il venti per cento — disse Art.

— Art, lasciale almeno il tempo di darsi una ripulita — disse Dom.

— Me ne infischio se Doris è sporca — disse Art. — Basta che si metta addosso un camice sterile.

— Sono pronta per mettermi al lavoro — disse Doris sorridendo a Dom.