— Il vecchio progetto sarebbe solo il punto di partenza — disse Art. — Il nostro Flash, qui, pensa che potrebbe trovare nuove idee se noi riesaminassimo tutti i vecchi calcoli e aggiungessimo le possibili modifiche dovute ai progressi tecnici raggiunti in questi anni.
— Non è che otterremo molto — disse Doris.
— Da qualche parte bisogna pur cominciare — disse Dom.
— Ho un paio di idee abbastanza vaghe. Voglio discuterne con Larry prima di iniziare qualcosa di serio.
— Arriverà fra non più di tre giorni — disse Doris.
— Bene — disse Dom. — Intanto avremo tutto il tempo di ristudiarci il vecchio progetto.
— Cominciò a scrivere velocemente appunti su un blocchetto, e Doris si mise al suo fianco. Art era dall’altro lato del tavolo. Dom fornì loro i dati essenziali di quello che avrebbe dovuto sopportare il singolo membro dell’equipaggio con uno scafo sottoposto a tremila atmosfere di pressione, e per indicare lo scafo usò concisamente le iniziali PTA. Art si segnò le cifre e cominciò a lavorarci sopra; Doris s’infilò un camice sterile e andò nella sala del computer. Per loro due Dom aveva cessato di esistere, e l’unica realtà era il problema concreto che dovevano affrontare. Quando Dom uscì dal laboratorio, non alzarono neppure gli occhi. Se avessero avuto bisogno di lui, si sarebbero ricordati della sua esistenza, l’avrebbero chiamato e si sarebbero seccati di non vederlo accorrere subito. Dom sorrise. Con un’équipe del genere non si sapeva mai chi fosse il capo, ed era proprio quello che gli piaceva. Ciascun elemento era il migliore nel suo campo. Ciascuno sapeva che gli altri erano i migliori nei rispettivi settori. Non c’era possibile scontro di narcisismi, ma solo il desiderio di affrontare il problema e di risolverlo.
Nel suo ufficio, Dom disse alla segreteria che era disponibile solo per i membri dello staff e per il capo, ovvero J.J. Si versò un po’ di caffè e si sedette nella sua sedia, che aveva voluta apposta scomoda. Il lavoro a tavolino non gli piaceva. Se avesse temuto la solita poltrona girevole comoda e bene imbottita che era di prammatica negli uffici, avrebbe finito per dormirci sopra un mucchio di volte.
L’ufficio era nell’area di massima. sicurezza. Era protetto quanto i laboratori e la principale sala di controllo. I laboratori erano adiacenti ad esso e contenevano tutto il necessario per il lavoro preliminare, che era soprattutto teorico. Dom poteva chiedere un pasto completo scegliendolo in un menù variato a qualsiasi ora del giorno e della notte, e poteva farselo portare o in ufficio o nel suo appartamento, che era contiguo all’ufficio. Ufficio e appartamento erano piccoli ma confortevoli. Erano così bene aerati e illuminati che era facile dimenticarsi che si trovavano più di cento metri sotto il livello del suolo. Nel suo appartamentino Dom aveva varie bottiglie della sua marca preferita di bourbon, uno schermo sul quale poteva vedere i programmi trasmessi in superficie e anche una varietà di drammi, documentari e film scientifici registrati, e una serie di cassette con i pezzi musicali che preferiva.
L’intero complesso dei laboratori e degli uffici era protetto da uno schermo isolante. Le comunicazioni con l’esterno erano difficili, a parte quelle con l’ufficio di J.J., che disponeva di una linea privata. In generale l’organizzazione era ottima, dal punto di vista del lavoro.
Dom esaminò la relazione riguardante il collaudo effettuato da Neil. Il motore nucleare non aveva deluso le aspettative, e adesso Neil lo riportava indietro, vicino alla Luna, dov’era in attesa lo staff dei costruttori che si accingevano a lavorare attorno all’astronave per Giove. Lo scafo non era stato ancora progettato, ma l’équipe dei costruttori era già sul luogo. Dom aveva lavorato altre volte in gran fretta, ma mai fino a quel punto.
Lesse i dati del collaudo un centinaio di volte, e si rese conto che stava facendo così solo per allontanare dalla mente l’immagine di Doris che entrava nel laboratorio con i vestiti sgualciti e impolverati a causa del viaggio in macchina attraverso il deserto. Continuavano a tornargli in mente Cape Canaveral e le sere che avevano passato insieme camminando a braccetto, tutti e due un po’ sbronzi, sotto la luna della Florida. E soprattutto gli tornava in mente quella sera in cui lei aveva stretto le labbra e si era rifiutata di rispondere al suo bacio.
E c’erano altri ricordi, perché quel bacio sotto la luna della Florida non era stato il primo. Dom aveva baciato Doris tante volte, quando frequentavano insieme l’Accademia. Si erano anche fidanzati e avevano fatto dei progetti. Era stata un’epoca piena di baci e finita in lacrime. Lei aveva pianto apertamente, lui invece aveva pianto in segreto quando aveva deciso di venir meno ai suoi legami con lei e di imbarcarsi su un’astronave diretta verso Marte. Aveva colto immediatamente l’occasione che gli offrivano con quel viaggio, e aveva anteposto all’amore per Doris l’amore per lo spazio. Al suo secondo viaggio aveva detto a Doris il più gentilmente possibile che il suo primo amore era lo spazio, e che lei avrebbe dovuto accettare di essere il secondo. Poco tempo dopo, Doris aveva sposato Larry Gomulka.
Doris non era tipo da accontentarsi di essere il numero due in nessuna situazione, ed era felice con Larry, o almeno così pareva.
Dom riusciva a capire che lei non avesse voluto fare la moglie dello spaziale, una moglie part-time, ma non riusciva a capire come potesse essere felice con Larry. Larry era di due palmi più basso di Doris e tendeva al grasso. Era un ometto informe, con una gran pancia e un debole per le birre di cattiva marca. Era anche un tipo facile al riso. In generale, era tutto quello che Gordon non era. Nessuno avrebbe mai potuto pensare che sarebbe diventato il marito di Doris, e invece, quando Dom era tornato dal suo secondo viaggio, Larry era già sposato con lei.
Be’, si era detto Dom, un vero spaziale doveva amoreggiare solo con la nave, tranne quando era in licenza sulla Terra. Aveva pensato di poter sopportare quel colpo fino a quando, una sera in Florida, aveva tentato di baciare Doris e lei gli aveva resistito.
Questo era successo nei primi tempi del progetto sottomarino. Il MINES aveva bisogno di un batiscafo che esplorasse le profondità dell’oceano, e Dom era l’uomo adatto per quel progetto. Aveva radunato la sua squadra, e Doris era stata la prima ad arrivare. Si erano trovati con molto tempo libero. Larry era via, come al solito, in qualche posto inaccessibile dell’Asia o dell’Africa. Art Donald stava terminando un lavoro a Seattle.
Doris l’aveva respinto, aveva rifiutato di rispondere al suo bacio. C’erano ancora persone che ritenevano il matrimonio un’istituzione rispettabile. C’erano persone, come Doris, che pensavano che l’impegno di fedeltà andasse rispettato. In un mondo in cui la stragrande maggioranza delle donne si prendeva quello che voleva quando voleva, Doris restava attaccata a quella che scherzosamente definiva l’etica della classe media.
Dom non era uno cui andasse di insistere, se una ragazza diceva di no. Magari il suo interesse si sarebbe risvegliato in seguito, e se ciò non fosse successo, ci sarebbe stata un’altra ragazza a sostituirla. Non era egoismo o sciovinismo da parte sua, era semplicemente che le cose stavano così. Quando Doris gli aveva detto di no, lui avrebbe dovuto fare marcia indietro, ma si era accorto di essere ancora innamorato di lei, e aveva cercato con delicatezza di forzarla, di stringerla di nuovo a sé. Ma lei era forte, e gli aveva resistito in silenzio.
— Ehi, sono Dom — le aveva detto lui. — Mi conosci, no?
— È acqua passata, Dom — aveva risposto lei.
— Cosa c’entra?
— C’entra eccome.
— Tu mi amavi — aveva insistito lui. — Ci siamo baciati tante volte, in passato.
— Ma adesso sono sposata, Larry — aveva detto lei. Sì, Dom capiva il suo punto di vista, ma aveva il suo orgoglio da difendere. Era rimasto lì a riflettere su cosa dire, anche se sapeva benissimo cos’avrebbe dovuto dire.