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Avrebbe dovuto dire: — Ti capisco, Doris. È così che ti ho conosciuto quando eri la mia ragazza, all’Accademia. Ed è perché sei così che ti ammiro.

Invece si era lasciato trascinare dalla passione, aveva implorato Doris come un mendicante senza orgoglio, e aveva visto il rispetto scomparire nello sguardo di lei. Tutto questo lo aveva amareggiato, e indotto a peggiorare la situazione dicendo cose cattive.

— Dom, tu non mi costringerai a ritirarmi da questo progetto — gli aveva detto Doris. — È un progetto che m’interessa, e che interessa anche Larry.

— Scusa — aveva detto lui. — Mi sono comportato male. Facciamo conto che sia colpa di un bicchiere di troppo, e dimentichiamo la faccenda.

— Mi sta bene.

— Non succederà più.

— Grazie, Dom.

— Non sarebbe successo nemmeno stavolta — aveva voluto aggiungere Dom per ferirla — se tu non fossi venuta a passeggio con me.

— Non succederà più — aveva detto lei.

Ci sarebbero voluti un computer e un buon operatore per calcolare i chilometri che Dom aveva percorso dall’epoca di quel progetto in Florida. Agli spaziali le ragazze non mancavano mai, ma era bastato che Doris entrasse in quel laboratorio perché Dom si sentisse balzare di nuovo il cuore in petto. E dire che non era nemmeno bella. Aveva i seni troppo piccoli e i fianchi troppo larghi, e per di più era un’intellettualoide; perché diavolo non riusciva a togliersela dalla testa?

«Ragazzo mio» si disse Dom «è solo questione di autocontrollo.»

Decise di mettere in pratica l’autocontrollo. Raccolse gli appunti di Art riguardanti una nuova lega e li studiò. Ben presto s’immerse nel problema e riesaminò i progetti di J.J. per quella nave che sarebbe stato impossibile costruire. Volevano un mostro lungo cinquecento metri, con una stiva che occupasse i quattro quinti del volume.

— Cosa diavolo vogliamo fare? — aveva urlato Dom la prima volta che aveva dato un’occhiata ai progetti. — Portare a casa il bogie mettendolo nella pancia della nave?

— È forse una cattiva idea? — aveva detto J.J.

— Stai moltiplicando i problemi — aveva protestato Dom. — Mi aggiungi una cosa impossibile a una cosa improbabile. Come posso costruire uno scafo superpressurizzato se mi costringete a tenergli dentro un enorme spazio vuoto?

— Puoi costruire tutte le paratie che vuoi — aveva detto J.J.

— Non posso, se dovrò trasportare il bogie nella stiva — aveva obiettato Dom.

— Dom, dobbiamo convincere tutti che non si tratta altro che di una gigantesca astrocisterna.

— Per trasportare acqua fino a Marte?

— Per trasportare acqua fino a Marte. E per riportare indietro fosfati. È troppo grande perché la si possa costruire in segreto. Ci occorre il sostegno di uomini potenti, anche ammesso che riuscissimo a tenere la gente all’oscuro del progetto. Te lo immagini il senatore del New Mexico che approva l’idea del rendez-vous con l’ufo? Potrà capire di portare acqua su Marte, quello sì. Ormai perfino gli oppositori più accaniti dell’esplorazione spaziale si sono convinti a sufficienza del vantaggio economico che ci darebbe un’astronave enorme, capace di portare su Marte un carico molto più grande di quello solito.

— Ma non si può pressurizzare uno scafo con dentro tanto spazio vuoto! — aveva obbiettato Dom. — Lo scafo dovrebbe essere sottile, e dentro dovrebbe esserci lo spazio appena sufficiente a far camminare un uomo eretto. Più piccola e affusolata sarà la nave, più sarà facile renderla resistente alla pressione.

— Bisogna che sia un’astrocisterna.

— O un’astrocisterna, o niente?

— Pressappoco.

— Credo che sia la cosa più stupida che abbia mai sentito.

— Lo ammetto. Ma ai finanziatori è stato detto che è un’astrocisterna. Se non potrà essere costruita, allora ce ne staremo semplicemente seduti qui a girarci i pollici e a guardare l’intero programma spaziale finire nelle bocche affamate dei popoli sempre più numerosi dell’Asia e dell’Africa.

Dom si era trattenuto a stento dal dire una volgarità, era tornato infuriato nel suo ufficio, aveva bevuto un bicchiere, e si era rimesso a meditare sul progetto. Nei giorni successivi gli era venuto il torcicollo a furia di scuotere la testa per la frustrazione.

Costruire uno scafo pressurizzato era, in linea di massima, una cosa abbastanza semplice. Era da tanto tempo che l’umanità ne costruiva per usarli nell’oceano. Durante la prima guerra mondiale, nel ventesimo secolo, gli scafi pressurizzati tedeschi, i sottomarini, per poco non avevano fatto vincere la guerra alla Germania, e la stessa cosa si era ripetuta durante la seconda guerra mondiale. In seguito l’arte di costruire sottomarini si era affinata, ed erano stati realizzati scafi destinati a viaggiare in fretta e in profondità, e a lanciare testate nucleari. Il programma dei sottomarini Polaris, avviatosi negli anni Sessanta, era strettamente collegato ai progressi nella ricerca spaziale. Per permettere ai sottomarini di viaggiare sommersi per lunghi periodi, erano state sviluppate nuove tecniche di comunicazione che usavano i trasmettitori a frequenza ultra-bassa, i cui segnali erano trasmessi sott’acqua. Quelle stesse tecniche, dovutamente affinate, sarebbero state usate per cercare di comunicare attraverso l’atmosfera densa di Giove. Per di più, molto lavoro d’avanguardia svolto durante il programma Polaris era applicabile alla navigazione spaziale. Il salto dai Polaris allo spazio era, in fondo, molto piccolo.

Progettare uno scafo per la navigazione sottomarina e progettare uno scafo per la navigazione nello spazio non era la stessa cosa, ma i particolari in comune alle due cose erano numerosi. Un sottomarino deve far fronte a una pressione uniforme che si esercita su tutto quanto lo scafo. Perciò è semplice calcolare l’esatto carico idrodinamico per ciascuna porzione di scafo. Confrontando il carico idrodinamico col bisogno di compressione all’interno dello scafo, si ottengono cifre che permettono di distribuire correttamente gli elementi strutturali e lo spessore delle varie parti.

Lo scafo pressurizzato di Dom Gordon, che era stato usato e continuava a esserlo per l’esplorazione dell’oceano a diecimila metri di profondità, era essenzialmente una versione perfezionata dello scafo progettato dagli ingegneri progettisti di sottomarini già nel 1918. Utilizzava un cilindro di sezione circolare, cioè simile a un sigaro, rinforzato da armature a forma di anello con intervalli longitudinali l’una dall’altra che andavano da un quinto a un decimo del diametro. Dom si era allontanato dal classico modello di sottomarino soprattutto per via del materiale usato: aveva infatti adottato un tipo di metallo molto flessibile. Quando la pressione aumenta, il carico esterno può indurre l’intero scafo a cambiare forma, esercitando così più pressione su certe zone che su altre. Il risultato è un eccesso di tensione localizzata in determinati punti.

Quando il sottomarino Polaris Scorpion si perse, nel 1968, l’implosione del suo scafo fu registrata a grande distanza dagli strumenti. Lo Scorpion in quel momento operava solo a tremila metri di profondità, ma era stato progettato per resistere soltanto a metà di quella pressione. Dom aveva dovuto progettare un veicolo mobile e a propulsione autonoma capace di resistere alla pressione di mille atmosfere, quella cioè che l’acqua esercitava alla profondità di diecimila metri. Era riuscito a farlo mantenendo al minimo la grandezza del cilindro e mantenendo gli spazi tra le armature di sostegno a una distanza di meno di un decimo del diametro. Aveva fatto fare passi da gigante alla scienza della pressurizzazione, ma quei passi da gigante erano piccoli in confronto a quelli che si sarebbero dovuti fare adesso.

Adesso si pretendeva da lui che buttasse all’aria tutte le nozioni apprese con l’esperienza, e che costruisse una nave mostruosa che prima doveva volare nello spazio con un carico negativo sullo scafo esterno (negativo perché lo spazio è un quasi-vuoto), e poi doveva pressurizzarsi per resistere non a mille, ma a ben tremila atmosfere. Per di più, bisognava aggiungere almeno un piccolo fattore di sicurezza. Lo scafo doveva penetrare nell’atmosfera di Giove a tremila atmosfere di pressione, ma se ci fosse stato un lieve errore di calcolo, e la nave aliena si fosse trovata per esempio a tremilacinquanta atmosfere? Sarebbero stati costretti a fare dietro front se il limite dello scafo fosse stato di tremila atmosfere, altrimenti avrebbero corso il rischio di implodere e di diventare uno Scorpion dello spazio.