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— Langby! — ho gridato, ma non sentivo la mia voce. Era caduto nella breccia, e nessuno vedeva lui e la bomba incendiaria. Nessuno, tranne me. Non ricordo come ho attraversato il tetto. Credo di aver gridato per chiedere una corda. Qualcuno me l’ha data. Me la sono legata intorno alla cintura, ho messo i due capi nelle mani dei miei compagni e mi sono calato. Gli incendi illuminavano l’interno del foro, fin quasi in fondo. Sotto di me ho visto un mucchio di macerie bianche. È lì sotto, ho pensato, e sono saltato giù. Lo spazio era così poco che non sapevo dove buttare le macerie. Avevo paura di lapidarlo involontariamente, e cercavo di gettare i pezzi di legno e d’intonaco alle mie spalle, ma c’era appena appena posto per girarmi. Per un momento terribile ho pensato che non fosse neppure lì e che scostando i frammenti di legno avrei visto il pavimento vuoto, come era successo nella cripta.

Ero stordito dall’orrore di strisciargli addosso. Se era morto, pensavo che non avrei sopportato il pensiero di calpestare il suo cadavere. Poi la sua mano si è alzata come quella di uno spettro e mi ha afferrato la caviglia, e in pochi secondi mi sono girato e gli ho liberato la testa.

Era di quel bianco spaventoso che non mi fa più paura. — Ho spento la bomba — ha detto. L’ho fissato, così sopraffatto dal sollievo che non riuscivo a parlare. Per un momento d’isteria ho creduto che sarei scoppiato a ridere, tanto ero contento di vederlo. Finalmente ho capito che cosa dovevo dire.

— Tutto bene? — ho chiesto.

— Sì — ha risposto lui, e ha tentato di sollevarmi su un gomito. Tanto peggio per te.

Non ce la faceva ad alzarsi. Ha grugnito di dolore quando ha cercato di spostare il peso sul fianco destro, e si è abbandonato; le macerie hanno scricchiolato sinistramente sotto di lui. Ho cercato di alzarlo delicatamente per vedere dov’era ferito. Doveva essere caduto su qualche cosa.

— È inutile — ha detto lui, ansimando. — L’ho spenta.

L’ho guardato sbalordito, temendo che stesse delirando, e ho continuato a cercare di girarlo sul fianco.

— Lo so che contavi su questa — ha detto lui, senza opporre resistenza. — Doveva succedere, prima o poi, con tutti questi tetti. Ma le sono corso dietro. Cosa racconterai ai tuoi amici?

La giacca d’asbesto aveva un lungo strappo, dietro, e sotto la giacca la schiena era carbonizzata e fumava. Era caduto sulla bomba incendiaria. — Oh, mio Dio — ho detto, mentre cercavo disperatamente di vedere quanto era grave l’ustione, ma senza toccarlo. Non potevo sapere quanto erano profonde le bruciature, ma sembrava che fossero limitate soltanto alla fascia stretta dove la giacca s’era strappata. Ho cercato di tirar via la bomba che era sotto di lui, ma l’involucro scottava come una stufa. Però non stava fondendo. La mia sabbia e il corpo di Langby l’avevano soffocata. Non sapevo se avrebbe ricominciato a bruciare quando fosse stata di nuovo esposta all’aria. Mi sono guardato intorno come un matto per cercare il secchio e la pompa a staffa che Langby doveva aver lasciato cadere quando era precipitato.

— Cerchi un’arma? — ha chiesto Langby, con voce così chiara che era difficile credere che fosse ferito. — Perché non mi lasci qui? Prima di domattina sarei morto. Oppure preferisci fare il tuo sporco lavoro in privato?

Mi sono rialzato in piedi e ho chiamato gli uomini che stavano sul tetto sopra di noi. Uno ha puntato una lampada tascabile, ma la luce non ci ha raggiunti.

— È morto? — mi ha gridato una voce.

— Chiamate un’ambulanza — ho detto. — È ustionato.

Ho aiutato Langby ad alzarsi, cercando di sostenerlo senza toccargli la schiena. Ha barcollato un po’ e poi si è appoggiato al muro a guardarmi mentre io cercavo di seppellire la bomba incendiaria usando un pezzo di legno piatto. Poi hanno calato la corda, e io ho legato Langby. Non aveva più parlato da quando l’avevo aiutato a mettersi in piedi. Ha lasciato che gli annodassi la corda intorno alla vita e ha continuato a fissarmi. — Avrei dovuto lasciarti morire soffocato nella cripta — ha detto.

Stava diritto abbastanza agevolmente, quasi rilassato contro i supporti di legno, puntellandosi con le mani. Gli ho messo le mani sulla corda lenta e gliel’ho avvolta intorno, perché sapevo che non ce l’avrebbe fatta a stringerla. — Ti tenevo d’occhio da quel giorno nella Galleria. Sapevo che non avevi paura dell’altezza. Sei sceso quaggiù senza aver paura dell’altezza quando hai pensato che avessi rovinato i tuoi piani. Cosa ti ha preso? Una crisi di coscienza? Ti sei inginocchiato come un bambino a piangere: Cos’abbiamo fatto? Cos’abbiamo fatto? Mi dai la nausea. Ma sai che cosa ti ha tradito? Il gatto. Tutti sanno che i gatti odiano l’acqua. Tutti, tranne una sporca spia nazista.

Ho sentito che tiravano la corda, dall’alto. — Avanti! — ho detto, e la corda si è tesa.

— E quella smorfiosa del WVS? Anche lei era una spia? Avevi appuntamento con lei all’Arco di Marmo? Mi hai detto che l’avrebbero bombardato. Sei una lurida spia. Bartholomew. I tuoi amici l’hanno già fatto saltare in settembre. La stazione è aperta di nuovo.

La corda ha dato uno strattone all’improvviso e ha incominciato a sollevare Langby. Lui ha girato le mani per afferrarsi meglio. Ha urtato il muro con la spalla destra. Io ho alzato le mani e l’ho spinto delicatamente in modo che verso il muro ci fosse la parte sinistra del suo corpo. — Stai facendo un grosso sbaglio, sai — ha detto. — Avresti dovuto uccidermi. Ti denuncerò.

Sono rimasto lì nel buio ad aspettare la fune. Langby aveva perso i sensi quando è arrivato sul tetto. Sono passato tra i miei compagni, ho raggiunto la cupola e sono sceso nella cripta.

Stamattina è arrivata la lettera di mio zio, e dentro c’era un biglietto da dieci sterline.

31 dicembre — Due degli scagnozzi di Dunworthy mi aspettavano in St. John’s Wood per dirmi che ero in ritardo per l’esame. Non ho neppure protestato. Li ho seguiti docilmente senza neppure pensare che era ingiusto imporre un esame ad un morto ambulante. Non avevo dormito da… da quanto? Da ieri, quando ero andato a cercare Enola. Non avevo dormito da un secolo.

Dunworthy era alla sua scrivania e mi guardava sbattendo le palpebre. Uno degli scagnozzi mi ha dato il foglio del questionario, e l’altro ha cominciato a controllare il tempo. Ho girato il foglio e ho lasciato una macchia oleosa con l’unguento spalmato sulle ustioni. Le ho guardate senza capire. Avevo toccato la bomba incendiaria quando avevo girato Langby, ma le bruciature erano su! dorso delle mani. All’improvviso la spiegazione mi è giunta con la voce inflessibile di Langby: — Sono bruciature lasciate dalla corda, imbecille. A voi spie naziste non insegnano neppure il sistema giusto per arrampicarsi su per una fune?

Ho guardato il foglio. C’era scritto: «Numero delle bombe incendiarie cadute su San Paolo. Numero delle mine. Numero delle bombe esplosive ad alto potenziale. Numero dei volontari del primo turno di guardia. Secondo turno. Feriti. Morti». Le domande non avevano senso. C’era pochissimo spazio, appena sufficiente per scrivere i numeri, dopo ogni domanda. Metodo usato più comunemente per spegnere le bombe incendiarie. Come sarei riuscito a stipare quello che sapevo, in quello spazio? Dov’erano le domande su Enola e Langby e il gatto?

Mi sono avvicinato alla scrivania di Dunworthy. — Stanotte è mancato poco che San Paolo bruciasse — ho detto. — Che razza di domande sono queste?

— Lei deve rispondere alle domande, Mr. Bartholomew, non farle.

— Non ci sono domande sulla gènte — ho detto. L’involucro esterno della mia rabbia stava incominciando a sciogliersi.