— Non so cosa mi sia successo lassù — ho detto io. — Prima non avevo mai avuto paura delle altezze.
— Stai tremando — ha detto lui, bruscamente. — È meglio che vieni a sdraiarti. — Mi ha riaccompagnato nella cripta.
25 settembre — Recupero della memoria: manuale dell’ARP. Sintomi delle vittime dei bombardamenti. Fase prima… shock; stato stuporoso; la vittima non si accorge delle ferite e dice cose che non hanno senso. Fase seconda… brividi; nausea; la vittima si accorge delle lesioni e delle perdite subite; ritorna alla realtà. Fase terza… loquacità incontrollabile; desiderio di spiegare ai soccorritori il comportamento allo stato di shock.
Langby sicuramente deve aver riconosciuto i sintomi, ma come spiega il fatto che non c’era stata nessuna bomba? Io non posso certo spiegargli il mio comportamento da shock, e non è soltanto il sacro silenzio dello storico a trattenermi.
Langby non ha detto niente, anzi ha fissato il mio primo turno di guardia per domani sera come se non fosse successo niente, e non sembra più preoccupato degli altri. Tutti quelli che ho conosciuto finora sono nervosissimi (una delle cose che avevo immesso nella memoria a breve termine era che durante i bombardamenti tutti erano calmi), e da quando sono arrivato io non è caduta neppure una bomba vicino a noi. Sono cadute quasi tutti nell’East End e sui docks.
Stasera qualcuno ha accennato a un UXB, e ho pensato al modo di fare del decano e al fatto che la cattedrale sia chiusa quando sono quasi sicuro di aver letto che era rimasta aperta durante l’intero Blitz. Non appena avrò la possibilità, cercherò di recuperare gli avvenimenti di settembre. In quanto a tutto il resto, non so proprio come posso sperare di recuperare le informazioni giuste fino a che non saprò che cosa dovrei fare qui, ammettendo che debba fare qualcosa.
Non ci sono linee guida per gli storici, e non ci sono restrizioni. Potrei raccontare a tutti che vengo dal futuro, se pensassi che mi crederebbero. Potrei assassinare Hitler, se riuscissi ad andare in Germania. Oppure no? Alla facoltà di storia si fa un gran parlare del paradosso temporale, e gli studenti laureati che tornano dalle prove pratiche non dicono una parola in un senso o nell’altro. Il passato è solido, immutabile? Oppure ogni giorno c’è un passato nuovo e siamo noi storici a crearlo? E quali sono le conseguenze di ciò che facciamo, ammettendo che ci siano conseguenze? E come possiamo avere il coraggio di fare qualcosa, se non le conosciamo? Dobbiamo interferire audacemente, sperando di non causare la nostra rovina? Oppure non dobbiamo fare un bel niente, non dobbiamo interferire, dobbiamo stare a guardare San Paolo che brucia, se è necessario, per non modificare il futuro?
Tutti questi sono interrogativi adattissimi a una seduta di studio a sera inoltrata. Qui non hanno nesssuna importanza. Non potrei lasciar bruciare San Paolo come non potrei uccidere Hitler. No, questo non è vero. Ieri ho scoperto, nella Whispering Gallery, che potrei uccidere Hitler, se lo sorprendessi a dar fuoco a San Paolo.
26 settembre — Oggi ho conosciuto una giovane donna. Il decano Matthews aveva aperto la chiesa, e così la gente ha incominciato a venire di nuovo. La giovane donna mi ricordava Kivrin, anche se Kivrin è molto più alta e non si arriccerebbe mai i capelli in quel modo. Sembra che avesse pianto. Anche Kivrin aveva la stessa aria, quando è tornata dalla prova pratica. Il Medioevo era troppo per lei. Mi domando come se la sarebbe cavata al mio posto. Confidando le sue paure al prete locale, senza dubbio, come speravo che non facesse la ragazza che le somigliava.
— Posso aiutarla? — ho chiesto, anche se non avevo nessuna voglia di aiutarla. — Sono un volontario.
Lei aveva l’aria angosciata. — Non la pagano? — ha chiesto, e si è asciugata con un fazzoletto il naso rosso. — Ho letto di San Paolo e del servizio antincendio e cosi ho pensato: forse ci sarà un lavoro anche per me, magari nella mensa o qualcosa del genere. Un lavoro retribuito. — Gli occhi cerchiati di rosso erano pieni di lacrime.
— Purtroppo non abbiamo la mensa — ho risposto più gentilmente che potevo, tenendo conto del fatto che Kivrin riesce sempre a farmi spazientire. — E questo non è un vero rifugio. Alcuni di quelli di guardia dormono nella cripta. Ma siamo tutti volontari.
— Allora è inutile — ha detto lei. Si è asciutata gli occhi con il fazzoletto. — Amo San Paolo, ma non posso fare un lavoro volontario, adesso che il mio fratellino Tom è tornato dalla campagna. — Non riuscivo a capire bene quella situazione. Nonostante tutti i segni esteriori d’angoscia, sembrava piuttosto allegra, e non più vicina alle lacrime di quando era entrata. — Devo trovare un posto per noi. Ora che è tornato Tom, non possiamo continuare a dormire nella metropolitana.
Mi ha preso una sensazione improvvisa di paura, quella specie di fitta acuminata che dà a volte il recupero involontario. — La metropolitana? — ho chiesto, cercando di ripescare quel ricordo.
— Di solito all’Arco di Marmo — ha continuato lei. — Mio fratello Tom va a tenere il posto di buon’ora e io vado… — Si è interrotta, ha accostato il fazzoletto al naso e ci ha soffiato dentro con forza. — Mi scusi — ha detto. — Questo tremendo raffreddore!
Naso rosso, occhi lacrimosi, sternuti. Infezione delle vie respiratorie. Era un miracolo che non le avessi detto di non piangere. È una vera fortuna che finora non abbia commesso qualche errore imperdonabile, e non perché non riesco a pescare nella memoria a lungo termine. Non dispongo neppure della metà delle informazioni che mi servirebbero: gatti e raffreddori, e l’aspetto di San Paolo in pieno sole. È solo questione di tempo, prima che mi blocchi davanti a qualcosa che non conosco. Comunque, intendo tentare il recupero questa notte, dopo che finirò il mio turno di guardia. Almeno riuscirò a scoprire se e quando mi piomberà addosso qualcosa.
Ho rivisto il gatto un paio di volte. È nero come il carbone con una macchia bianca sulla gola, che sembra dipinta apposta per l’oscuramento.
27 settembre — Sono appena ridisceso dai tetti e sto ancora tremando.
All’inizio i bombardamenti erano quasi tutti sull’East End. Era uno spettacolo incredibile. Riflettori dappertutto, il cielo arrossato dagli incendi che si specchiava nel Tamigi, le bombe esplosive che scintillavano come fuochi d’artificio. C’era un tuono continuo, assordante, rotto solo di tanto in tanto dal rombo degli aerei e dal crepitio ripetuto delle mitragliere dell’antiaerea.
Verso mezzanotte le bombe hanno incominciato a cadere molto vicino, con un rumore orribile, come se mi passasse addosso un treno. Ho dovuto fare appello a tutta la mia forza di volontà per non buttarmi bocconi sul tetto, ma c’era Langby e mi guardava. Non volevo dargli la soddisfazione di assistere a una replica nel mio comportamento nella cupola. Sono rimasto a testa alta, con il secchio di sabbia in mano; ero molto fiero di me.
Le bombe hanno smesso di ruggire verso le tre, e c’è stata una pausa di mezz’ora circa; poi è incominciato un crepitio, come una grandinata sul tetto. Tutti, tranne Langby, hanno preso i badili e le pompe a staffa. Lui guardava me. E io guardavo la bomba incendiaria.
Era caduta a pochi metri di distanza, dietro la torre dell’orologio. Era molto più piccola di quanto immaginassi: era lunga appena una trentina di centimetri. Scoppiettava con violenza, e gettava il fuoco bianco-verdognolo fin quasi dove stavo io. Entro un minuto si sarebbe ridotta a una massa fusa e avrebbe incominciato a sfondare il tetto. Le fiamme, e le grida frenetiche dei vigili del fuoco, e poi le macerie bianche che si estendevano per miglia e miglia, e non sarebbe rimasto niente, niente, neppure la lapide del servizio antincendio.