Se è vero quanto narra il Regulus, questa è la rivelazione del segreto più stupefacente e tenebroso dell'ultimo conflitto. Stupefacente per la vicenda in se stessa, che a prima vista ha dell'incredibile e si distacca stranamente da qualsiasi altro episodio della guerra. Stupefacente forse ancor più per la congiura del silenzio con cui migliaia e migliaia di uomini hanno protetto e proteggono tuttora il segreto; quasi che l'esserne a parte, con la coscienza che nessun altro sa, dia loro una gioia senza prezzo. E sulla necessità, o convenienza, di tacere, sono stati e sono d'accordo uomini ricchi e poveri, potenti e umili, colti e ignoranti, alti ufficiali e oscuri manovali di cantiere, tutti fedeli al patto anche quando la catastrofe li ebbe sciolti da ogni vincolo di disciplina militare. Costoro – dichiara il Regulus, e qui per la verità sorge qualche dubbio – continueranno a tacere anche domani, dopo che il libro sarà stato pubblicato: e se qualcuno li identificherà, negheranno; e se qualcuno li interrogherà, diranno di non sapere niente. Tutti, meno uno.
Tre parti ha il libro. Nella prima il Regulus narra in prima persona come venne a sapere la misteriosa storia. È una specie di meticoloso memoriale che descrive le varie fasi della inchiesta: i primi vaghi sospetti germogliati per cui egli riuscì a collegare vari indizi che apparivano lontanissimi tra loro; le ricerche lungamente infruttuose fino a che il caso lo condusse sul luogo stesso dove la vicenda ebbe la sua origine e dove sconvolte tracce di macerie parlavano ancora di insensati sogni; le testimonianze, se si possono chiamare tali le induzioni tratte da frasi udite nelle nere taverne dei porti quando la notte e la stanchezza smorzano la ostinazione dell'uomo; e poi l'incontro col superstite che nel vaneggiamento dell'agonia parla e parla, buttando fuori il terribile segreto, finalmente!
La seconda parte consiste nel resoconto, purtroppo molto lacunoso, di ciò che avvenne a bordo della nave dal giorno che salpò per la sua prima missione fino al mattino della tragedia sui confini estremi dell'oceano.
Nella terza parte, che ha carattere di appendice, il Regulus risponde a quelli che prevede possano essere i dubbi, le obiezioni, le critiche del pubblico. Cercando soprattutto di spiegare come un fatto di tali proporzioni, che coinvolse le sorti di migliaia, sia potuto rimanere chiuso per tanto tempo sotto una cappa di silenzio. Citando nei minuti particolari, con una insistenza fin sospetta, i " documenti ". E per ultimo tentando di interpretare l'estremo atto del dramma che, nonostante ogni suo sforzo, resta sospeso in una aura sovrumana e chiede a noi un vero atto di fede. Ma, sebbene si stenti a credere, un'avventura tanto disperata poteva forse avere una conclusione meno assurda? Che meraviglia se, affascinate da così pura follia, le potenze delle tenebre, di cui talora si udì narrare nei passati tempi, sono uscite dagli abissi australi per rispondere alla sfida degnamente?
Hugo Regulus, figlio di un armatore di Lubecca, aveva 35 anni allo scoppio della guerra. Ufficiale di marina, aveva lasciato il servizio nel 1936, col grado di capitano di corvetta, per ragioni di salute e per poter aiutare il padre, ormai vecchio, nell'azienda. Richiamato all'inizio delle ostilità, avrebbe potuto essere esonerato date le sue condizioni fisiche. Per patriottismo volle invece prendere servizio e fu assegnato al Ministero della Marina da guerra, reparto " Personale ", dove rimase fino in ultimo.
Non ebbe mai compiti difficili o di responsabilità. Sovrintendeva allo schedario dei sottufficiali e ne seguiva le promozioni, i trasferimenti, le licenze, le mancanze disciplinari e così via. Indirettamente egli aveva così sempre sotto gli occhi un quadro completo ed aggiornato rispecchiante le vicende della Kriegsmarine.
Ebbene – è lui che lo racconta a partire dall'estate 1942 cominciarono ad arrivare nel suo ufficio degli ordini di trasferimento di nuovo genere. Vi si indicavano il luogo o l'unità di provenienza ma per destinazione si dava una formula segreta: " Eventualità 9000 – Missione speciale – Presentarsi all'Ufficio operativo 27 ".
Ordini di questo tipo, con la sigla " missione speciale ", arrivavano di quando in quando e sarebbe stato indiscreto, oltre che sospetto, se gli addetti al reparto " Personale " avessero indagato cercando di sapere di quale impresa si trattasse. Ma fino allora capitavano di raro, a gruppetti di sette otto al massimo. Ed era facile supporre ciò che il segreto nascondesse: o incarichi riservati per conto del Servizio informazioni e controspionaggio, o missioni in territorio nemico, o crociere di sommergibili specialmente delicate per cui si riteneva necessario aggiungere una supplementare garanzia di segretezza a quelle usate come regola per tutte le operazioni belliche.
Questa volta però i destinati alla " missione speciale " non erano sette o otto e neppure una decina. Nel giro di poche settimane i soli sottufficiali trasferiti alla ignota sede assommavano già a quasi 200. Il ritmo di questi strani trasferimenti poi rallentò, prolungandosi tuttavia per mesi e mesi.
Coi colleghi, il Regulus ne parlava poche volte. Talora ebbe la impressione che qualcuno, nel suo stesso ufficio, ne sapesse più di lui; ma che preferisse evitare l'argomento. Quasi fosse uno di quei segreti che è una fortuna non conoscere; perché la paura di lasciarsi sfuggire una parola, di commettere una indiscrezione sia pur minima diventa, per gli iniziati, un incubo, tanto grave è la posta in gioco. E allora uno evita perfino gli amici e non si rilascia mai e, se vive in famiglia, si sveglia di soprassalto in piena notte col terrore di aver parlato in sonno e che la moglie abbia sentito.
Divenne, l' " Eventualità 9000 ", come una porta misteriosa che inghiottiva a centinaia gli uomini; e di là c'era il buio pesto. Una base per nuove armi segrete? Un corso di addestramento in vista di qualche progetto temerario? Un corpo di spedizione per sbarcare in Inghilterra? Finché, nel febbraio 1943, l 'enigmatica chiamata portò via anche il capo di prima Willy Untermeyer, ch'era il braccio destro di Regulus.
Questo Untermeyer era uomo zelantissimo e devoto ma tutt'altro che tempra di guerriero. La sua paura, non del tutto dissimulata, era di dover lasciare il Ministero, dove lavorava da sei anni, per fare il suo turno di imbarco. La stessa sua bravura, la simpatia dei superiori lo avevano finora risparmiato. Ma ecco le sue speranze disilluse e nella forma più temibile. A quelli del reparto " Personale ", che ignoravano ciò che c'era sotto, l' " Eventualità 9000 " era infatti sinonimo di massimo pericolo, di separazione dal consorzio umano, di partenza senza prospettive di ritorno.
Di solito taciturno e timido, capo Untermeyer, alla vigilia del commiato, non riusciva a dominarsi e interrogava ansiosamente i superiori chiedendo una sia pur vaga spiegazione. Ma da ogni parte trovava un muro impenetrabile.
Il capitano di corvetta Regulus lo vide partire con dolore. E l'enigma dell' " Eventualità 9000 ", fino allora a lui estraneo, entrò, per dire così, nella sua vita. La curiosità, il desiderio di sapere ciò che sapere non si deve, questo sentimento così poco militare, divenne un quotidiano assillo. E bastava che un piantone gli consegnasse una busta indirizzata a lui con l'annotazione " riservata " – ciò avveniva parecchie volte al giorno perché gli venisse il batticuore: l' " Eventualità 9000 " non poteva forse aver bisogno anche di lui?