Выбрать главу

Quanti mesi passarono così? Il tempo precipitava su di loro come succede agli ammalati per cui i giorni, uno uguale all'altro, si confondono, e il passato perde ogni profondità. Venne novembre, si giunse a dicembre, ecco Natale e la invincibile fortezza nata per la distruzione e la battaglia continuava a giacere nell'ignavia. E quella sera – laggiù era piena estate – dalla coperta del bastimento il canto di " Stille Nacht " si allargò patetico sull'immensità nuda dell'oceano, senza trovare un'eco.

Strane leggende nacquero. Si diceva per esempio che con le navi dei rifornimenti clandestini fosse giunta a bordo una donna, anzi le donne erano tre e vivevano nascoste negli alloggi dei sottufficiali. Si diceva che qualcuno, in reparto macchina, lavorasse a sobillare i fuochisti affinché si ammutinassero. Si diceva, anche che fosse prossimo un combattimento. Ma contro chi? Nessuno lo sapeva.

La gente, fino allora disciplinatissima, diede frequenti segni di nervosismo. Cominciarono, senza motivo i falsi allarmi. Le vedette avvistavano apparecchi inesistenti o fumi ch'erano semplici miraggi. Di punto in bianco, anche nella piena notte, si propagava una smaniosa agitazione: i marinai balzavano giù dalle brande, si vestivano, correvano ai posti di combattimento. Si era sentito un " tocco " di radar, si era acceso un bengala all'orizzonte, era passato vicino un sommergibile; queste le voci. Poi si accertava che non era vero niente.

In questa, mentre si delineava lo sfacelo, il comandante George si ammalò. Il maggiore medico Leo Turba diagnosticò una forma tifica. La notizia contribuì al disfattismo.

Dopo otto giorni il comandante George cominciò a delirare. Credeva di essere nella propria casa di Brema, chiamava la moglie, ordinava che gli sellassero il cavallo.

Al nono giorno si riebbe, ebbe un lungo colloquio col comandante in seconda Murlutter; informato dell'eccitazione che si manifestava a bordo, ordinò di accendere per salpare il giorno dopo.

Ciò rianimò sulle prime l'equipaggio, ma lo scoraggiamento si aggravò quando la nave mise la prora a sud, allontanandosi ancora di più dalla Germania.

Finalmente però apparve terra e a questa vista poco mancò che i marinai impazzissero di gioia.

Anche stavolta le illusioni caddero. La costa era la Terra del Fuoco e la gigantesca nave si infilò in una insenatura tortuosa dove gettò l'ancora. Intorno, il più inospitale e selvaggio ambiente. Rocce scabre, ghiacciai immensi, non un filo di verde, torme di pinguini, freddo. Ormai nessuno chiamava più il bastimento col suo nome. Tutti dicevano: la corazzata Tod.

Addì 23 gennaio 1946 morì il comandante George e per la maggioranza fu un sollievo. Il comando infatti passava al capitano di fregata Murlutter che si sapeva favorevole all'autoaffondamento e alla resa.

Gli onori funebri tributati a George furono commoventi. Quando la cassa avvolta dalla bandiera scivolò, sprofondando, in mare, la banda attaccò l'inno nazionale. Molti, coi nervi ormai spezzati, ruppero in singhiozzi.

Passarono altri dieci giorni nell'immobilità tetra del fiordo patagonico. Chissà come, gli allarmi erano molto più frequenti di quando la nave stava ormeggiata nell'aperto oceano; per cui durante la giornata si continuava quasi sempre a fare nebbia, e l'aria era irrespirabile.

Ci si aspettava che da un momento all'altro Murlutter desse l'ordine di salpare verso il nord. E difatti diede ordine alle trombe che suonassero per convocare l'assemblea generale.

Ma per la terza volta i marinai, che già respiravano, furono crudelmente contristati. Quasi che con le consegne estreme, il comandante George gli avesse trasmesso anche la follia, Murlutter annunciò che tutti dovevano prepararsi all'ultima e più dura prova: all'indomani, disse, si sarebbe impegnata battaglia.

Un mormorìo minaccioso attraversò l'esasperata folla di quegli uomini per lo più cenciosi e barbuti. Allora la voce di Murlutter divenne una specie di tuono.

" Ripeto " disse " che domani con ogni probabilità sarà giornata di combattimento. Ebbene, negli occhi vostri leggo una sola domanda: contro chi? Io vi rispondo: non lo so. Ignoro il nome del nemico. Non so che colore abbia la sua bandiera. Ma questo, devo aggiungere, non ha la minima importanza. Ricordatevi: molti di voi usano chiamare questa nave col nome di Tod. La corazzata Morte! Credevate forse di scherzare? " Ed ora ascoltatemi con molta attenzione. Poiché tra voi può darsi che qualcuno, o molti, non si sentano chiamati, io a costoro dico, così come disse il comandante George quando si lasciò l'isola di Rugen, io dico: siete liberi di scegliere. Chi vuole sbarcare, sbarchi pure, ne faremo senza. A loro disposizione metto le imbarcazioni necessarie, con carburante e viveri sufficienti a raggiungere la località abitata più vicina. Unico loro dovere, su cui io non transigo, sarà il dovere del silenzio. Con giuramento pesantissimo essi dovranno impegnarsì a non dire mai una parola ad anima viva, per nessuna ragione, circa la corazzata… circa la corazzata Tod. Io non sono certo un filosofo e non so spiegare bene certe cose ma vorrei dire semplicemente questo: un sacrificio non arriverà mai ai piedi di Dio Onnipotente se non sarà stato consumato in segreto. Una vostra parola indiscreta, e tutto sarebbe sprecato nel modo più miserabile. La maledizione eterna dunque a chi non saprà tacere. " Ma per coloro che restano a combattere, gloria! Gloria a noi, alla corazzata Tod! Gloria alla sventurata patria lontana! "

Il discorso piombò come una violentissima pietra sul cuore afflitto di quegli uomini. E il primo loro pensiero fu: anche Murlutter è impazzito come George. Specialmente le ultime frasi, pronunciate con un ardore cupo e doloroso, dimostravano infatti una pericolosa esaltazione.

Poi il nuovo comandante in seconda Hellmuth von Wallorita diede l'attenti e salutò Murlutter presentando l'equipaggio.

Ma nell'atto che alzava la mano alla visiera, von Wallorita si lasciò sfuggire il monocolo dall'occhio destro. Con uno strano tintinnìo il dischetto di vetro batté sulla lamiera ma anziché rompersi rimbalzò rotolando verso il limite della coperta. Nessuno osò muoversi. Nel pesante silenzio si udì l'esile rumore. Gli occhi seguirono il percorso della lente che accelerava via via la rotazione finché si infilò nel trincarino. Ma invece di fermarsi, ebbe qui un ultimo sobbalzo e piombò in mare.

Al cloc che fece il vetro dentro l'acqua, per le inesplicabili risonanze delle cose, un sentimento di atroce solitudine si impadronì degli uomini esiliati ai confini della terra, quale non avevano provato mai. E gli sguardi, smarriti, andarono con odio alle tetre montagne, alle rupi e ai ghiacciai che assistevano impassibili, sprofondati nel loro sonno eterno.

Chiesero di essere sbarcati esattamente 86 uomini di cui due ufficiali e 12 sottufficiali; tra i quali era Untermeyer.

Molti altri della corazzata sarebbero partiti volentieri per ritornare nel consorzio umano e quindi in patria. Senonché pensavano che quella fuga fosse inutile. All'indomani, la demenza del comandante si sarebbe rivelata tale a lui stesso. L'impossibilità di resistere a lungo in quel selvaggio approdo sarebbe stata più forte di ogni follìa. E la nave si sarebbe finalmente arresa.

Alla presenza del comandante, gli 86 partenti prestarono il giuramento di tacere, quindi col bagaglio personale – era già buio presero posto nella motobarca che si diresse all'uscita dell'insenatura e ben presto fu al largo. Solo allora in alcuni cominciò a risvegliarsi il pentimento, rimorso anzi, quasi che la loro fosse una vile diserzione. Rimorso che col passar dei giorni avrebbe perseguitato l'Untermeyer sempre di più, fino a indurlo a uccidersi.

Per tutta la notte, con mare calmo, la motobarca proseguì per rotta a levante poiché occorreva portarsi parecchio in fuori a evitare l'insidia delle scogliere e ragiungere lo stretto di Le Maire.