" E tu, Beppi, dove vai tu adesso? " gridò ancora il conte poiché un altro cacciatore si ritirava. " Me ne vado anch'io, signor conte. Non voglio averci mano in questa brutta faccenda. "
" Ah, vigliacchi! " urlava il Gerol. " Vigliacchi, ve la farei pagare, se potessi muovermi! "
" Non è paura signor conte " ribatté il secondo cacciatore. " Non è paura, signor conte. Ma vedrete che finirà male! "
" Vi faccio vedere io adesso! " E, raccattata una pietra da terra, il conte la lanciò di tutta forza contro il cacciatore. Ma il tiro andò a vuoto. Vi fu qualche minuto di pausa mentre il drago arrancava sulla parete senza riuscire a innalzarsi. La terra e i sassi cadevano, lo trascinavano sempre più in giù, là donde era partito. Salvo quel rumore di pietre smosse, c'era silenzio.
Poi si udì la voce di Andronico. " Ne abbiamo ancora per un pezzo? " gridò al Gerol. " C'è un caldo d'inferno. Falla fuori una buona volta, quella bestiaccia. Che gusto tormentarla così, anche se è un drago? "
" Che colpa ce n'ho io? " rispose il Gerol irritato. " Non vedi che non vuol morire? Con una palla nel cranio è più vivo di prima… "
S'interruppe scorgendo il giovanotto di prima comparire sul ciglio del ghiaione con un'altra capra in spalla. Stupito dalla presenza di quegli uomini, di quelle armi, di quelle tracce di sangue e soprattutto dall'affannarsi del drago su per le rocce, lui che non l'aveva mai visto uscire dalla caverna si era fermato, fissando la strana scena.
" Ohi! Giovanotto! " gridò il Gerol. " Quanto vuoi per quella capra? "
" Niente, non posso " rispose il giovane. " Non ve la do neanche a peso d'oro. Ma che cosa gli avete fatto? " aggiunse, sbarrando gli occhi verso il mostro sanguinolento.
" Siamo qui per regolare i conti. Dovreste essere contenti. Basta capre da domani. "
" Perché basta capre? "
" Domani il drago non ci sarà più " fece il conte sorridendo.
" Ma non potete, non potete farlo, io dico " esclamò il giovane spaventato. " Anche tu adesso cominci! " gridò Martino Gerol. " Dammi subito qua la capra. "
" No, vi dico " replicò duro l'altro ritirandosi.
" Ah, perdio! " E il conte fu addosso al giovane, gli vibrò un pugno in pieno viso, gli strappò la capra di dosso, lo scaraventò a terra.
" Ve ne pentirete, vi dico, ve ne pentirete, vedrete se non ve ne pentirete! " imprecò a bassa voce il giovane rialzandosi, perché non osava reagire.
Ma Gerol gli aveva già voltato le spalle.
Il sole adesso incendiava la conca, a stento si riusciva a tenere gli occhi aperti tanto abbacinava il riflesso delle ghiaie gialle, delle rocce, delle ghiaie ancora e dei sassi; niente, assolutamente, che potesse riposare gli sguardi.
Maria aveva sempre più sete, e bere non serviva a niente. " Dio, che caldo! " si lamentava. Anche la vista del conte Gerol cominciava a darle fastidio.
Nel frattempo, come sbucati dalla terra, decine di uomini erano apparsi. Venuti probabilmente da Palissano alla voce che gli stranieri erano saliti al Burel, essi se ne stavano immobili sul ciglio di vari crestoni di terra gialla e osservavano senza far motto.
" Hai un bel pubblico adesso! " tentò di celiare l'Andronico, rivolto al Gerol che stava trafficando intorno alla capra con due cacciatori.
Il giovane alzo gli sguardi fin che scorse gli sconosciuti che lo stavano fissando. Fece una smorfia di disprezzo e riprese il lavoro.
Il drago, estenuato, era scivolato per la parete fino al ghiaione e giaceva immobile, palpitando solo il ventre rigonfio.
" Pronti! " fece un cacciatore sollevando col Gerol la capra da terra. Avevano aperto il ventre alla bestia e introdotto una carica esplosiva collegata a una miccia.
Si vide allora il conte avanzare impavido per il ghiaione, farsi vicino al drago non più di una decina di metri, con tutta calma deporre per terra la capra, quindi ritirarsi svolgendo la miccia.
Si dovette aspettare mezz'ora prima che la bestia si movesse. Gli sconosciuti in piedi sul ciglio dei crestoni sembravano statue: non parlavano neppure fra loro, il loro volto esprimeva riprovazione. Insensibili al sole che aveva assunto una estrema potenza, non distoglievano gli sguardi dal rettile, quasi implorando che non si muovesse.
Invece il drago, colpito alla schiena da un colpo di carabina, si voltò improvvisamente, vide la capra, vi si trascinò lentamente. Stava per allungare la testa e afferrare la preda quando il conte accese la miccia. La fiammella corse via rapidamente lungo il cordone, ben presto raggiunse la capra, provocò l'esplosione.
Lo scoppio non fu rumoroso, molto meno forte dei colpi di colubrina, un suono secco ma opaco, come di asse che si spezzi. Ma il corpo del drago fu ributtato indietro di schianto, si vide quindi che il ventre era stato squarciato. La testa riprese ad agitarsi penosamente a destra e a sinistra, pareva che dicesse di no, che non era giusto, che erano stati troppo crudeli, e che non c'era più nulla da fare. Rise di compiacenza il conte, ma questa volta lui solo. " Oh che orrore! Basta! " esclamò la bella Maria coprendosi la faccia con le mani. " Sì " disse lentamente il marito " anch'io credo che finirà male. " Il mostro giaceva, in apparenza sfinito, sopra una pozza di sangue nero. Ed ecco dai suoi fianchi uscire due fili di fumo scuro, uno a destra e uno a sinistra, due fumacchi grevi che stentavano ad alzarsi. " Hai visto? " fece l'Inghirami al collega. " Sì, ho visto " confermò l'altro. " Due sfiatatoi a mantice, come nel Ceratosaurus, i cosiddetti operculi hammeriani. "
" No " disse il Fusti. " Non è un Ceratosaurus. "
A questo punto il conte Gerol, di dietro al pietrone dove si era riparato, si avanzò per finire il mostro. Era proprio in mezzo al cono di ghiaia e stava impugnando la mazza metallica quando tutti i presenti mandarono un urlo.
Per un istante Gerol credette fosse un grido di trionfo per l'uccisione del drago. Poi avvertì che una cosa stava muovendosi alle sue spalle. Si voltò di un balzo e vide, oh ridicola cosa, vide due bestiole pietose uscire incespicando dalla caverna, e avanzarsi abbastanza celermente verso di lui. Due piccoli rettili informi, lunghi non più di mezzo metro, che ripetevano in miniatura l'immagine del drago morente. Due piccoli draghi, i figli, probabilmente usciti dalla caverna per fame.
Fu questione di pochi istanti. Il conte dava bellissima prova di agilità. " Tieni! Tieni! " gridava gioiosamente roteando la clava di ferro. E due soli colpi bastarono. Vibrato con estrema energia e decisione, il mazzapicchio percosse successivamente i mostriciattoli, spezzò le teste come bocce di vetro. Entrambi si afflosciarono, morti, da lontano sembravano due cornamuse.
Allora gli uomini sconosciuti, senza dare la minima voce, si allontanarono correndo giù per i canali di ghiaia. Si sarebbe detto che fuggissero una improvvisa minaccia. Essi non provocarono rumore, non smossero frane, non volsero il capo neppure per un istante alla caverna del drago, scomparvero così come erano apparsi, misteriosamente.
Il drago adesso si moveva, sembrava che mai e poi mai sarebbe riuscito a morire. Trascinandosi come lumaca, si avvicinava alle bestiole morte, sempre emettendo due fili di fumo. Raggiunti che ebbe i figli, si accasciò sul ghiaione allungò con infinito stento la testa, prese a leccare dolcemente i due mostriciattoli morti, forse allo scopo di richiamarli in vita.
Infine il drago parve raccogliere tutte le superstiti forze, levò il collo verticalmente al cielo, come non aveva ancora fatto e dalla gola uscì, prima lentissimo, quindi con progressiva potenza un urlo indicibile, voce mai udita nel mondo, né animalesca né umana, così carica d'odio che persino il Conte Gerol ristette, paralizzato dall'orrore.