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niente… " " Che cosa? " fece il Corte con un vago presentimento. " Inconveniente per modo di dire " si corresse il dottore " volevo dire che l'installazione per i raggi si trova soltanto al quarto piano e io le sconsiglierei di fare tre volte al giorno un simile tragitto. " " E allora niente? " " Allora sarebbe meglio che fino a che l'espulsione non sia passata lei avesse la compiacenza di scendere al quarto. " " Basta! " urlò allora esasperato Giuseppe Corte. " Ne ho già abbastanza di scendere! Dovessi crepare, al quarto non ci vado! " " Come lei crede " fece conciliante il medico per non irritarlo " ma come medico curante, badi che le proibisco di andar da basso tre volte al giorno. " Il brutto fu che l'eczema, invece di attenuarsi, andò lentamente ampliandosi. Giuseppe Corte non riusciva a trovare requie e continuava a rivoltarsi nel letto. Durò così, rabbioso, per tre giorni, fino a che dovette cedere. Spontaneamente pregò il medico di fargli praticare la cura dei raggi e di essere trasferito al piano inferiore. Quaggiù il Corte notò, con inconfessato piacere, di rappresentare un'eccezione. Gli altri ammalati del reparto erano decisamente in condizioni molto serie e non potevano lasciare neppure per un minuto il letto. Egli invece poteva prendersi il lusso di raggiungere a piedi, dalla sua stanza, la sala dei raggi, fra i complimenti e la meraviglia delle stesse infermiere. Al nuovo medico, egli precisò con insistenza la sua posizione specialissima. Un ammalato che in fondo aveva diritto al settimo piano veniva a trovarsi al quarto. Appena l'espulsione fosse passata, egli intendeva ritornare di sopra. Non avrebbe assolutamente ammesso alcuna nuova scusa. Lui, che sarebbe potuto trovasi legittimamente ancora al settimo. " Al settimo, al settimo! " esclamò sorridendo il medico che finiva proprio allora di visitarlo. " Sempre esagerati voi ammalati! Sono il primo io a dire che lei può essere contento del suo stato; a quanto vedo dalla tabella clinica, grandi peggioramenti non ci sono stati. Ma da questo a parlare di settimo piano – mi scusi la brutale sincerità – c'è una certa differenza! Lei è uno dei casi meno preoccupanti, ne convengo, ma è pur sempre un ammalato! " " E allora, allora " fece Giuseppe Corte accendendosi tutto nel volto, " lei a che piano mi metterebbe? " " Oh, Dio, non è facile dire, non le ho fatto che una breve visita, per poter pronunciarmi dovrei seguirla per almeno una settimana. " " Va bene " insistette Corte " ma pressapoco lei saprà. " Il medico per tranquillizzarlo, fece finta di concentrarsi un momento in meditazione e poi, annuendo con il capo a se stesso, disse lentamente: " Oh Dio! proprio per accontentarla, ecco, ma potremmo in fondo metterla al sesto! " " Si si " aggiunse come per persuadere se stesso. " Il sesto potrebbe andar bene. " Il dottore credeva cosi di far lieto il malato. Invece sul volto di Giuseppe Corte si diffuse un'espressione di sgomento: sì accorgeva, il malato, che i medici degli ultimi piani l'avevano ingannato; ecco qui questo nuovo dottore, evidentemente più abile e più onesto, che in cuor suo – era evidente – lo assegnava, non al settimo, ma al quinto piano, e forse al quinto inferiore! La delusione inaspettata prostrò il Corte. Quella sera la febbre salÌ sensibilmente. La permanenza al quarto piano segnò il periodo più tranquillo passato da Giuseppe Corte dopo l'entrata all'ospedale. Il medico era persona simpaticissima, premurosa e cordiale; si tratteneva spesso anche per delle ore intere a chiacchierare degli argomenti più svariati. Giuseppe Corte discorreva pure molto volentieri, cercando argomenti che riguardassero la sua solita vita d'avvocato e d'uomo di mondo. Egli cercava di persuadersi di appartenere ancora al consorzio degli uomini sani, di essere ancora legato al mondo degli affari, di interessarsi veramente dei fatti pubblici. Cercava, senza riuscirvi. Invariabilmente il discorso finiva sempre per cadere sulla malattia. Il desiderio di un miglioramento qualsiasi era divenuto in Giuseppe Corte un'ossessione. Purtroppo i raggi digamma, se erano riusciti ad arrestare il diffondersi dell'espulsione cutanea, non erano bastati ad eliminarla. Ogni giorno Giuseppe Corte ne parlava lungamente col medico e si sforzava in questi colloqui di mostrarsi forte, anzi ironico, senza mai riuscirvi. " Mi dica, dottore " disse un giorno " come va il processo distruttivo delle mie cellule? " " Oh, ma che brutte parole! " lo rimproverò scherzosamente il dottore. " Dove mai le ha imparate? Non sta bene, non sta bene, soprattutto per un malato! Mai più voglio sentire da lei discorsi simili. " " Va bene " obiettò il Corte " ma cosi lei non mi ha risposto. " " Oh, le rispondo subito " fece il dottore cortese. " Il processo distruttivo delle cellule, per ripetere la sua orribile espressione, è, nel suo caso minimo, assolutamente minimo. Ma sarei tentato di definirlo ostinato. " " Ostinato, cronico vuol dire? " " Non mi faccia dire quello che non ho detto. Io voglio dire sollanto ostinato. Del resto sono così la maggioranza dei casi. Affezioni anche lievissime spesso hanno bisogno di cure energiche e lunghe. " " Ma mi dica, dottore, quando potrò sperare in un miglioramento? " " Quando? Le predizioni in questi casi sono piuttosto difficili… Ma senta " aggiunse dopo una pausa meditativa, " vedo che lei ha una vera e propria smania di guarire… se non temessi di farla arrabbiare sa che cosa le consiglierei? " " Ma dica, dica pure, dottore… " " Ebbene, le pongo la questione in termini molto chiari. Se io, colpito da questo male in forma anche tenuissima, capitassi in questo sanatorio, che è forse il migliore che esista, mi farei assegnare spontaneamente, e fin dal primo giorno, fin dal primo giorno, capisce a uno dei piani più bassi. Mi farei mettere addirittura al… " " Al primo? " suggerì con uno sforzato sorriso il Corte. " Oh no! al primo no! " rispose ironico il medico " questo poi no! Ma al terzo o anche al secondo di certo. Nei piani inferiori la cura è fatta molto meglio, le garantisco, gli impianti sono più completi e potenti, il personale è più abile. Lei sa poi chi è l'anima di questo ospedale? " " Non è il professore Dati? " " Già il professore Dati. È lui l'inventore della cura che qui si pratica, lui il progettista dell'intero impianto. Ebbene, lui, il maestro sta, per così dire, fra il primo e il secondo piano. Di là irraggia la sua forza direttiva. Ma, glielo garantisco io, il suo influsso non arriva oltre al terzo piano: più in là si direbbe che gli stessi suoi ordini si sminuzzino, perdano di consistenza, deviino, il cuore dell'ospedale è in basso e in basso bisogna stare per avere le cure migliori. " " Ma insomma " fece Giuseppe Corte con voce tremante, " allora lei mi consiglia… " " Aggiunga una cosa " continuò imperterrito il dottore, " aggiunga che nel suo caso particolare ci sarebbe da badare anche all'espulsione. Una cosa di nessuna importanza, ne convengo, ma piuttosto noiosa, che a lungo andare potrebbe deprimere il suo " morale "; e lei sa quanto è importante per la guarigione la serenità di spirito. Le applicazioni di raggi che io le ho fatte sono riuscite solo a metà fruttuose. Il perché? Può darsi che sia un puro caso, ma può darsi anche che i raggi non siano abbastanza intensi. Ebbene, al terzo piano le macchine dei raggi sono molto più potenti. Le probabilità di guarire il suo eczema sarebbero molto maggiori. Poi vede? una volta avviata la guarigione, il passo più difficile è fatto. Quando si comincia a risalire, è poi difficile tornare ancora indietro. Quando lei si sentirà davvero meglio, allora nulla impedirà che lei risalga qui da noi o anche più in su, secondo i suoi " meriti " anche al quinto, al sesto, persino al settimo oso dire… " " Ma lei crede che questo potrà accelerare la cura? " " Ma non ci può essere dubbio. Le ho già detto che cosa farei io nei suoi panni. " Discorsi di questo genere il dottore ne faceva ogni giorno a Giuseppe Corte. Venne infine il momento in cui il malato, stanco di patire per l'eczema, nonostante l'istintiva riluttanza a scendere, decise di seguire il consiglio del medico e si trasferì al piano di sotto. Notò subito al terzo piano che nel reparto regnava una speciale gaiezza, sia nel medico, sia nelle infermiere, sebbene laggiù fossero in cura ammalati molto preoccupanti. Si accorse anzi che di giorno in giorno questa gaiezza andava aumentando: incuriosito, dopo che ebbe preso un po' di confidenza con l'infermiera, domandò come mai fossero tutti così allegri. " Ah, non lo sa? " rispose l'infermiera, " fra tre giorni andiamo in vacanza. " " Come, andiamo in vacanza? " " Ma sì. Per quindici giorni, il terzo piano si chiude e il personale se ne va a spasso. Il riposo tocca a turno ai vari piani. " " E i malati? come fate? " " Siccome ce n'è relativamente pochi, di due piani se ne fa uno solo. " " Come? riunite gli ammalati del terzo e del quarto? " " No, no " corresse l'infermiera, " del terzo e del secondo. Quelli che sono qui dovranno discendere da basso. " " Discendere al secondo? " fece Giuseppe Corte, pallido come un morto. " Io dovrei così scendere al secondo? " " Ma certo. E che cosa c'è di strano? Quando torniamo, fra quindici giorni, lei ritornerà in questa stanza. Non mi pare che ci sia da spaventarsi. " Invece Giuseppe Corte – un misterioso istinto lo avvertiva – fu invaso da una crudele paura. Ma, visto che non poteva trattenere il personale dall'andare in vacanza, convinto che la nuova cura coi raggi più intensi gli facesse bene – l'eczema si era quasi completamente riassorbito – egli non osò muovere formale opposizione al nuovo trasferimento. Pretese, però, incurante dei motteggi delle infermiere, che sulla porta della sua nuova stanza fosse attaccato un cartello con su scritto " Giuseppe Corte, del terzo piano, di passaggio ". Una cosa simile non trovava precedenti nella storia del sanatorio, ma i medici non si opposero, pensando che in un temperamento nervoso quale il Corte anche una piccola contrarietà potesse provocare una grave scossa. Si trattava in fondo di aspettare quindici giorni né uno di più, né uno di meno. Giuseppe Corte si mise a contarli con avidità ostinata restando per delle ore intere immobile sul letto, con gli occhi fissi sui mobili, che al secondo piano non erano più così moderni e gai come nei reparti superiori, ma assumevano dimensioni più grandi e linee più solenni e severe. E di tanto in tanto aguzzava le orecchie poiché gli pareva di udire dal piano di sotto, il piano dei moribondi, il reparto dei " condannati ", vaghi rantoli di agonie. Tutto questo naturalmente contribuiva a scoraggiarlo. E la minore serenità sembrava aiutare la malattia, la febbre tendeva a salire, la debolezza generale si faceva più fonda. Dalla finestra – si era oramai in piena estate e i vetri si tenevano quasi sempre aperti – non si scorgevano più i tetti e neppure le case della città, ma soltanto la muraglia verde degli alberi che circondavano l'ospedale. Dopo sette giorni, un pomeriggio verso le due, entrarono improvvisamente il capo-infermiere e tre infermieri, che spingevano un lettuccio a rotelle. " Siamo pronti per il trasloco? " domandò in tono di bonaria celia il capo-infermiere. " Che trasloco? " domandò con voce stentata Giuseppe Corte, " che altri scherzi sono questi? Non tornano fra sette giorni quelli del terzo piano? " " Che terzo piano? " disse il capo-infermiere come se non capisse, " Io ho avuto l'ordine di condurla al primo, guardi qua " e fece vedere un modulo stampato per il passaggio al piano inferiore firmato nientemeno che dallo stesso professore Dati. Il terrore, la rabbia infernale di Giuseppe Corte esplosero allora in lunghe, irose grida che si ripercossero per tutto il reparto. " Adagio adagio, per carità " supplicarono gli infermieri, " ci sono dei malati che non stanno bene! " Ma ci voleva altro per calmarlo. Finalmente accorse il medico che dirigeva il reparto, una persona gentilissima e molto educata. Si informò, guardò il modulo, si fece spiegare dal Corte. Poi si rivolse incollerito al capo-infermiere, dichiarando che c'era stato uno sbaglio, lui non aveva dato alcuna disposizione del genere, da qualche tempo c'era una insopportabile confusione, lui veniva tenuto all'oscuro di tutto… Infine, detto il fatto suo al dipendente, si rivolse, in tono cortese, al malato, scusandosi profondamente. " Purtroppo però " aggiunse il medico, " purtroppo il professor Dati proprio un'ora fa è partito per una breve licenza, non tornerà che fra due giorni. Sono assolutamente desolato, ma i suoi ordini non possono essere trasgrediti. Sarà lui il primo a rammaricarsene, glielo garantisco… un errore simile! Non capisco come possa essere accaduto! " Ormai un pietoso tremito aveva preso a scuotere Giuseppe Corte. La capacità di dominarsi gli era completamente sfuggita. Il terrore l'aveva sopraffatto come un bambino. I suoi singhiozzi risuonavano lenti e disperati per la stanza. Giunse così, per quell'esecrabile errore, all'ultima stazione. Nel reparto dei moribondi lui, che in fondo, per la gravità del male, a giudizio anche dei medici più severi, aveva il diritto di essere assegnato al sesto, se non al settimo piano! La situazione era talmente grottesca che in certi istanti Giuseppe Corte sentiva quasi la voglia di sghignazzare senza ritegno. Disteso nel letto, mentre il caldo pomeriggio d'estate passava lentamente sulla grande città, egli guardava il verde degli alberi attraverso la finestra, con l'impressione di essere giunto in un mondo irreale, fatto di assurde pareti a piastrelle sterilizzate, di gelidi androni mortuari, di bianche figure umane vuote di anima. Gli venne persino in mente che anche gli alberi che gli sembrava di scorgere attraverso la finestra non fossero veri; finì anzi per convincersene, notando che le foglie non si muovevano affatto. Questa idea lo agitò talmente, che il Corte chiamò col campanello l'infermiera e si fece porgere gli occhiali da miope, che in letto non adoperava; solo allora riuscì a tranquillizzarsi un poco: con l'aiuto delle lenti poté assicurarsi che erano proprio alberi veri e che le foglie, sia pur leggermente, ogni tanto erano mosse dal vento. Uscita che fu l'infermiera, passò un quarto d'ora di completo silenzio. Sei piani, sei terribili muraglie, sia pure per un errore formale, sovrastavano adesso Giuseppe Corte con implacabile peso. In quanti anni, sì, bisognava pensare proprio ad anni, in quanti anni egli sarebbe riuscito a risalire fino all'orlo di quel precipizio? Ma come mai la stanza si faceva improvvisamente così buia? Era pur sempre pomeriggio pieno. Con uno sforzo supremo Giuseppe Corte, che si sentiva paralizzato da uno strano torpore, guardò l'orologio, sul comodino, di fianco al letto. Erano le tre e mezzo. Voltò il capo dall'altra parte, e vide che le persiane scorrevoli, obbedienti a un misterioso comando, scendevano lentamente, chiudendo il passo alla luce.