Egli stesso, Montichiari, non si nasconde di provare una ingrata sensazione. Pure su di lui piovono silenziosamente dalla volta siderale cateratte di quella luce, così contraria alle direttive del governo. E gli viene fatto di spazzolarsi il cappotto con le mani per ripulirlo, tirar via la impalpabile ragnatela di argento che sembra depositarsi a strati.
Si riscosse, salì in macchina, raggiunse con sollievo il centro dove le intense luci elettriche cancellavano – per lo meno sembrava – lo splendore della luna. Entrò nel Ministero, salì lo scalone, attraversando lunghi corridoi pieni di silenzio si avviò verso il proprio studio. Tutto era spento, però dalle finestre i nefasti raggi entravano. Solo da una porta filtrava luce elettrica. Il ministro si fermò. Era la stanza del probo ed esatto professor Carones, l'uomo-cifra, capo dell'ufficio studi. Strano. L'onorevole aprì il battente adagio adagio.
Volgendogli le spalle, Carones sedeva allo scrittoio, su cui una piccola lampada concentrava i raggi, e scriveva con lunghe pensose interruzioni. Portava allora meditativamente alle labbra l'estremità della penna stilografica e intanto si voltava, quasi a ispirarsi, verso la vetrata che dava su una grande terrazza la quale, come inevitabile, era battuta dalla luna.
Per la seconda volta, quella sera, Montichiari si trovava a sorprendere qualcuno intento a fare cose insolite, e forse illecite. Infatti mai Carones si fermava così tardi a lavorare.
Sullo stesso tappeto, senza rumore, l'onorevole si avvicinò a Carones, gli fu a ridosso, sbirciò, sporgendosi sopra le sue spalle, quale rapporto o promemoria tecnico stesse mai scrivendo. Lesse: O muto lume, tu dolcezza, dal sipario buio dei capannoni metalmeccanici ti levi, lanterna delle fate, di pietra immoto specchio. Per ritrovarti, che lungo viaggio: la vita! E qui ora stanco guardo le miserie nostre per te risplendere, arcana e pura pace di plenilunio, come reggia di spiriti sovrani… Strumento della nemesi, la mano del ministro calò su una spalle di Carones: " Lei queste cose, professore? ". L'altro, paralizzato dal terribile spavento, emise un mugolio. " Lei queste cose, professore? " Ma in quel mentre il telefono cominciò a suonare nell'ufficio accanto, poi un altro più lontano in fondo al corridoio, un terzo, un quarto. Quindi nel palazzo addormentato ci fu un risveglio misterioso di vita, come se centinaia di persone fossero rimaste nascoste negli armadi o dietro i tendaggi polverosi aspettando il segnale, un furtivo strisciar di passi, un diffuso brusio che si propagava intorno. Poi voci distinte richiami, ordini secchi, sbattere di porte, risucchi, passi in corsa precipitosa, tonfi lontani.
Montichiari, aperta la vetrata, si affacciò sulla terrazza. Nel giardino che circondava il Ministero le lampade elettriche, chissà come, erano spente. Tanto più fissa e conturbante risultava perciò la luce della luna. Sui viali bianchi due tre uomini passarono di corsa tenendo in mano torce accese. Poi un giovane a cavallo con un gran mantello rosso. Ora sul balcone centrale del palazzo due militari in alta uniforme si disponevano uno per parte, impugnando delle lucenti spade. Alzarono le spade al cielo. Non erano spade, erano trombe. Ne uscì un lungo squillo d'argento, meraviglioso, che disegnò un arco altissimo sopra le masse umane. Montichiari non ebbe bisogno che gli comunicassero esplicitamente la notizia, per capire: la rivoluzione, era caduto il ministero.
49. L 'INVINCIBILE
Un pomeriggio di luglio, il professore Ernesto Manarini di 42 anni, insegnante di fisica al liceo, in vacanza, con la moglie e due figlie, nella sua casa di campagna in Val Caliga, fece una grande scoperta. Nel vasto solaio egli aveva attrezzato un laboratorio dove passava tutte le giornate e spesso anche le notti, facendo esperimenti. Era una sua mania innocente quella di avere la " bosse " dell'inventore; vecchio motivo di scherzi familiari e di lmmancabili ironie da parte dei colleghi che non lo prendevano sul serio.
Quel giorno – c'era un caldo opprimente, la casa silenziosa, la moglie e le ragazze in gita con amici – egli stava armeggiando con un nuovo apparecchio di sua invenzione, uno dei tanti che in tanti anni aveva costruito senza concludere mai niente, quando al pianterreno ci fu un tremendo schianto, come per un'esplosione.
Impressionato, il professore tolse a ogni buon conto la corrente dal circuito che stava provando e si precipitò dabbasso. Pensava che fosse esplosa la bombola di gas che serviva a fare da mangiare. Ma la bombola era intatta, lo constatò subito attraverso il denso fumo che riempiva la cucina. Il guaio era successo in un lungo e stretto armadio a muro, dove il Manarini teneva, per non adoperarlo quasi mai, il fucile da caccia con relative munizioni. Lo sportello era volato in pezzi, del calcio dello schioppo restava un moncherino, anche gli spigoli del muro erano rotti. Non c'era dubbio: per ragioni inesplicabili erano scoppiate le cartucce.
Il Manarini restò qualche istante attonito. Poi cacciò un urlo: " Ci sono! Ci sono! Vittoria! ". E si mise a saltare fra le schegge e i calcinacci come un pazzo. Evelina, sua moglie, rientrata poco dopo, lo trovò ancora in cucina che camminava su e giù in preda a straordinaria eccitazione. E, al cospetto del disastro, stava cominciando una predica solenne, quando lui, gli occhi stralunati, le fece segno di tacere e con aria misteriosa la trasse di là, che le figlie non udissero. " Ascoltami, Evelina " le disse " ti devo confidare un segreto, un segreto così terribile che io non ho forza abbastanza per sostenere da solo. E non c'è bisogno che tu mi prometta di non parlarne con anima viva. Quando te l'avrò detto, capirai da sola che è una questione di vita o di morte. " " Ernesto, tu mi spaventi " fece lei, impressionata dalla faccia del marito, e dal tono. " No, non c'è da spaventarsi, cara. Il fatto è questo: ho fatto una scoperta formidabile. Un apparecchio che concentra in una specie di raggio il campo elettrico, e questo raggio fa scoppiare a distanza gli esplosivi, probabilmente può anche provocare incendi ma questo ancora non posso dirlo con certezza. Ci lavoravo da più di dieci anni, e non ti ho mai detto niente. Finalmente Dio mi ha voluto premiare. Ma perché mi guardi in questo modo? Evelina? Evelina! Non capisci? Io da stasera posso essere il padrone del mondo! "
" Dio mio, e che cosa vorresti fare, adesso? " disse lei, questa volta spaventata seriamente.
" Ma non guardarmi così " gridò il Manarini. " Tu non mi credi, tu pensi che io sia matto. Vuoi che ti dia una prova? Aspetta. " Corse di sopra in camera da letto e poco dopo era di ritorno con in mano tre cartucce da pistola. " Su, se non ci credi, valle a mettere in fondo al giardino, ai piedi dell'abete, poi allontanati un poco e sta a vedere. "