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Dal Topo i pensieri di Weiss si spostarono velocemente su Jim Bishop. Ciò non migliorò le cose, perché il solo pensiero gli procurava invidia e un sordo dolore. Bishop non chiedeva niente alle donne — se non la solita cosa — ma riusciva a farle cadere ai suoi piedi con il semplice schiocco delle dita. Anche Weiss avrebbe voluto non desiderare niente, e schioccare semplicemente le dita. Questa almeno era la sua fantasia per quella notte.

Depose il bicchiere e si alzò, avviandosi alla scrivania con il computer. Lo accese, sapendo che così si autopuniva perché era certamente arrivata una e-mail di Bishop. Sapeva di spargere sale sulle ferite, ma non poteva fermarsi. Il collegamento fu veloce.

Le cose si stanno muovendo. Chris vola tutti i giorni, merci e passeggeri, facce nuove. Non so quanti voli siano per conto di baffi grigi-Hirschorn, ma alcuni di certo lo sono. Devo trovare il modo di fare un controllo. Ray è sempre più nervoso e spaventato; occorre dargli dei risultati. Vedo due strade: la prima è che se Chris, come ho sentito dire, continua a ubriacarsi al Clover Leaf e a vantarsi di «grandi piani, grandi successi per il futuro», Hirschorn lo venga a sapere e decida di levarselo di torno, così io potrei farmi avanti. La seconda è la ragazza, alla quale mi sto avvicinando; sa qualcosa, forse molto, è terribilmente sola e vuole liberarsi del fardello che la opprime; ci sono quasi con lei, ovviamente in modo professionale. Stammi bene. JB.

Quando Weiss si alzò dalla scrivania, la sua faccia era più simile che mai a quella di un cane bastonato. Tornò a sedersi sulla poltrona vicino alla finestra e ad assaporare lo scotch.

In modo professionale, ovviamente.

Riprese a osservare la nebbia che continuava a salire.

11

Il sole stava tramontando, l’aria era immobile e Bishop stava rientrando alla base a bordo di uno Skyhawk, un monomotore. Le nuvole sopra le alture a ovest erano di un arancio acceso che si stagliava sull’azzurro intenso del cielo. I campi che circondavano la pista sembravano scuri e tranquilli visti dall’alto. In quel momento Bishop stesso si sentiva bene, in pace.

Manovrava con estrema sicurezza e l’aeroplano sembrava scendere da solo. Una leggera pressione sulla cloche e lo Skyhawk si ritrovò in traiettoria di avvicinamento. La mente di Bishop era sgombra, assorta nel suo compito. Diede un’ultima occhiata al tramonto, alle colline e agli alberi che parevano alzarsi a coprirlo mentre l’aereo scendeva leggero. Poi la pista fu davanti a lui; l’aereo vi si adagiò senza neanche un rumore, senza il minimo sobbalzo. Mentre l’apparecchio rullava Bishop trasse un profondo respiro, come se si stesse risvegliando in quel momento.

Fu in quell’istante che vide Chris in compagnia di Hirschorn, l’uomo che lui chiamava «baffi grigi».

Erano nel posteggio delle auto, dietro l’angolo dell’hangar. Bishop, ora vigile e all’erta, non li perse di vista mentre guidava l’aereo verso la rimessa. Hirschorn era un uomo robusto e distinto, sulla sessantina; il viso era quello di un seduttore, abbronzato e dai lineamenti marcati, incorniciato da capelli color argento e dai baffi grigi, leggermente più scuri. Indossava una giacca sportiva bianca, una polo con i bottoni slacciati e pantaloni grigi; il tutto asciutto e pulito, nonostante la temperatura elevata. Chris era imponente al confronto, con i muscoli che gonfiavano la maglietta sudata. Ma il modo in cui teneva le mani infilate nella cintura, la posa curva e imbronciata lo facevano assomigliare a un bambino che stesse subendo un rimprovero.

Hirschorn agitava il dito davanti a lui, senza permettergli di distogliere lo sguardo. Sembrava parlare in modo pacato ma continuo, e non pareva intenzione di Chris interromperlo. Quando fu più vicino, Bishop notò che Chris era visibilmente a disagio e che, anche se cercava di mantenersi freddo, mal sopportava quella specie di interrogatorio.

Portò l’aereo dietro all’hangar, dove non potevano vederlo, e mentre fissava le ali al suolo cercò di sentire le parole di Hirschorn, senza però riuscirci. Si affrettò a concludere l’operazione ed entrò nell’hangar.

Era tardi e gli impiegati erano andati via; l’unico rimasto era Ray, che era il responsabile e il padrone, almeno per il cinquanta per cento. Sembrava lavorare su un Bonanza, ma in realtà era immobile di fianco all’apparecchio e osservava Hirschorn minacciare Chris. Gli occhi erano spalancati, la fronte aggrottata e imperlata di sudore.

Bishop lo superò senza dire una parola e Ray quasi saltò dallo spavento.

«Bishop», sibilò.

Sentendosi chiamare con il suo vero nome, l’uomo si irrigidì. «Chiudi quella boccaccia di merda.»

«Mi dispiace, volevo dire, Kennedy…» biascicò Ray.

«Ti ho detto di tacere; e smettila di balbettare», replicò Bishop, senza fermarsi.

Ray cercò di raggiungerlo con la voce appena più alta di un sussurro. «Sono là da dieci minuti. Non sono riuscito a sentire che cosa si dicono, ma sembra che Hirschorn stia leggendo a Chris la sua condanna a morte.»

Bishop avrebbe voluto fare altrettanto con Ray, o meglio ancora metterlo al tappeto, dargli una lezione. Ma Ray era il cliente e non gli restava altro da fare che continuare a camminare per attraversare l’hangar e uscire dall’altra parte.

Il posteggio per le auto era un piccolo spazio quadrato in cui l’asfalto originario si era ormai ridotto in gran parte a ghiaia. La Mercedes di Hirschorn era parcheggiata sull’unico pezzo intatto vicino alla strada, non lontano dalla moto di Bishop. C’era un uomo appoggiato alla vettura, probabilmente una guardia del corpo, un delinquente fatto e finito, muscoloso e robusto, con le braccia simili a quelle di un gorilla, il viso spigoloso e capelli neri a spazzola. Era vestito come Hirschorn, solo con molte taglie in più, e fumava una sigaretta guardandosi le scarpe.

Bishop si avviò con apparente disinvoltura verso la moto, aprì una delle borse e vi ripose la sacca da volo. Il gorilla lo osservò, ma solo perché doveva vigilare. Bishop si muoveva lentamente, soffermando lo sguardo sul sole e poi sul cielo, come per valutare l’intensità della calura. Prese una sigaretta e fece finta di perlustrare le tasche alla ricerca di un cerino.

Questo gli diede lo spunto per avvicinarsi alla vettura. «Hai da accendere?»

Il gorilla estrasse un costoso accendino e lo fece scattare. Bishop si abbassò verso la fiamma.

«Bella moto», disse l’uomo.

«È un po’ ingombrante, ma veloce», replicò Bishop, espirando il fumo della sigaretta. Si voltò verso Hirschorn, che stava ancora puntando il dito sul petto di Chris. «Sembra che abbiamo un cliente insoddisfatto», osservò.

Il gorilla si strinse nelle spalle e si limitò a sorridere.

«È il tuo capo?» gli chiese Bishop.

«Sì, sono il suo autista.»

Bishop strinse gli occhi, sempre guardando in direzione dei due. «Ehi, ma quello è, come si chiama… Hirschorn, il padrone di questa baracca insieme a Ray.»

Il gorilla continuò a sorridere.

«Merda», aggiunse Bishop. «Scommetto che Chris è di nuovo nei guai. Che cosa ha fatto?»

«Io sono solo un autista», replicò il gigante.

«Certo, certo. Povero Chris. Ora che me lo hai detto, mi sembra di ricordare che avesse degli affari con Hirschorn.»

«Io non ti ho detto niente.»

«No? Forse l’ho sentito dire da qualche parte.»

«Probabilmente è così.»