Nonostante l’isolamento, la prigione era circondata da tre recinzioni: due elettrificate, tutte dotate di sensori del movimento e costantemente sorvegliate da telecamere. In cima, le barriere erano sormontate da razor wire, filo spinato irto di lame affilate come rasoi. In basso le barriere scendevano fino a due metri sottoterra per impedire che i detenuti scavassero delle gallerie. Cavi sospesi coprivano l’intera area per impedire il passaggio di elicotteri.
Le guardie addette alla sorveglianza erano trecentosettanta e provenivano da un corpo scelto, selezionato fra le migliori guardie carcerarie con almeno cinque anni di esperienza, di cui due trascorsi in strutture di massima sicurezza. Una volta individuate, venivano sottoposte ad alcuni mesi di addestramento nell’uso delle armi e dei sistemi di sicurezza, associato allo studio di discipline come tattica e psicologia. Gli elementi migliori venivano destinati alle torri, che si innalzavano ogni settecento metri lungo tutto il perimetro. Le torri contenevano veri e propri arsenali: fucili a pompa, fucili di precisione, gas lacrimogeni, armi da assalto come gli M-16. I quattro arsenali interrati, invece, ospitavano di tutto, dai manganelli ai lanciarazzi, e persino due carri armati M-1 Abrams.
Il carcere era stato costruito pochi anni prima ed era costato duecento milioni di dollari. Vi venivano rinchiusi i peggiori criminali, quelli così violenti da non poter stare neanche con individui del loro stesso stampo. Insomma, se eri così assetato di sangue da non poter condividere lo spazio con i gangster, gli spacciatori, gli assassini e i mafiosi messicani che passavano la vita a Pelican Bay, ti mandavano a North Wilderness.
Per decidere chi fosse destinato a North Wilderness e chi ad altre carceri, lo stato aveva elaborato un sistema a punti. I criminali da uno a diciotto punti, per esempio, erano destinati a strutture con livello di sicurezza 1, in genere una colonia agricola o una «prigione senza muri» come la California Institution for Men. Da diciotto a ventisette punti, ti guadagnavi un posto al livello 2, un normale carcere con celle a più letti. Da ventotto a cinquantuno si passava al livello 3, in una cella con sorveglianza armata. Sopra i cinquantuno si entrava nel livello 4, quello di massima sicurezza. Se anche lì riuscivi a combinare guai… non rimaneva che North Wilderness.
Il numero di punti che un criminale poteva totalizzare dipendeva da molti fattori, fra i quali l’appartenenza al crimine organizzato, le precedenti condanne, i reati a sfondo sessuale, l’allontanamento dall’esercito con disonore e così via. Si ottenevano anche punti in base all’età, allo stato civile, al livello di istruzione e di occupazione. Ma naturalmente i punti iniziali, quelli che avevano maggior peso, erano assegnati in base alla sentenza. Ogni anno di prigione aggiungeva tre punti, fino a un massimo di quarantanove, quota che gli ergastolani raggiungevano automaticamente.
L’uomo chiamato Ben Fry acquisì i suoi quarantanove punti con l’assassinio di Penny Morgan, proprio come aveva previsto. Il patteggiamento e la confessione gli avevano risparmiato la pena capitale, convertita nel carcere a vita senza condizionale. Era stato così spedito a San Quentin, e lì un gruppo di esperti aveva studiato la sua storia personale per arrivare al punteggio finale. I suoi precedenti in varie organizzazioni criminali e le condanne per stupro, atti violenti e tentato omicidio gli avevano assicurato il livello 4, nel carcere di Pelican Bay. Anche questo lo aveva previsto.
All’arrivo in quella prigione, situata sulla costa inospitale appena a sud dell’Oregon, passò un brutto momento: quello della prima perquisizione completa. Sapeva che doveva accadere, naturalmente. Anche per questo la sua preparazione era stata come sempre analitica e meticolosa. Sapeva che, una volta, a North Wilderness tutti i nuovi arrivati venivano passati ai raggi X, ma la pratica aveva dovuto essere abbandonata per motivi di salute. Potevano comunque fare una radiografia, se prescritta da un medico, ed era per questo che aveva messo la capsula nella coscia, perché di solito la droga e le armi venivano cercate nel torace, nell’addome e nella regione pelvica.
Ma una perquisizione personale — specialmente la prima, quella accuratissima riservata ai nuovi arrivati — era più pericolosa. La cicatrice sulla gamba era piccola, ormai chiusa, e quasi del tutto coperta dai peli. Bisognava premere con forza in quel punto per sentire la sacca di pus che si era formata intorno alla capsula. Eppure, per un momento, un terribile momento prima che le guardie lo scortassero alla perquisizione, la sua immaginazione si scatenò e la sua mente fu invasa dalla paura. E se avessero notato la cicatrice, o tastato l’ascesso? E se si fossero insospettiti, se avessero trovato la capsula?
Il punto era che l’uomo chiamato Ben Fry aveva commesso più di cento omicidi nella sua vita, ma non era mai stato in prigione. E, dalla prima impressione, non era certo un posto che gli andasse a genio. Era preparato a questo, ma si sorprese nel vedere quanto la situazione non gli piacesse. La reclusione, il rumore continuo, l’umiliazione di dover ubbidire ad altri uomini, di dover mettere le palle e il culo a disposizione per le perquisizioni, tutto questo lo irritava sensibilmente. Il problema principale era però quello del tempo, dei tempi morti che non passavano mai. Si era subito innervosito per la lunghezza delle ore, persino dei minuti. Non riusciva a crederci: le ore gli sembravano distese piatte di cui non si scorgeva la fine, anche se erano contenute fra quattro anguste mura. Stavi seduto a fissare quella pianura, e anche se chiudevi gli occhi scoprivi che non riuscivi a smettere di fissarla, e se tentavi di leggere, eccola lì oltre la pagina, dove le parole si sbiadivano fino a riportare lo sguardo sempre allo stesso punto. Alla fine facevi solo ed esclusivamente questo, secondo dopo secondo: fissare l’infinita pianura delle ore. Non c’era veramente altro da fare.
Ma la mente dell’uomo chiamato Ben Fry era come uno squalo: doveva muoversi e respirare, congegnare piani e analizzare logisticamente ogni operazione, altrimenti… altrimenti gli venivano in mente certi pensieri. Non proprio pensieri, ma immagini, emozioni, ricordi che rischiavano di salirgli in gola e soffocarlo. La testa gli si riempiva di uno strano rumore silenzioso, come il suono continuo e monotono di una sirena che non udiva ma di cui percepiva la presenza, perché sentiva la pelle tirare, il sangue ribollire. Se smetteva di analizzare, le immagini tornavano. E il rumore. E la faccia, quella faccia. Quella faccia che rideva.
Aveva lavorato sodo per far cessare tutto questo, aveva creato l’immagine della torre in cui salire e rifugiarsi, osservando dall’alto il mondo crudele e beffardo, con freddo distacco. Come un medico legale che guardi con freddezza un corpo in decomposizione.
Ma quanto avrebbe retto la torre? Questa era la domanda che più lo inquietava. Il tempo non aveva limiti in quel posto, ogni ora occupava uno spazio immenso e lui si aspettava che la torre cadesse da un momento all’altro. C’erano già stati dei segnali preoccupanti. Prima, per esempio, aveva sempre dormito profondamente e senza difficoltà, ma qui stava cominciando a fare brutti sogni. Si trovava quella faccia davanti, vedeva i suoi occhi crudeli, le labbra rosse che lo deridevano nell’oscurità. Sognava il fuoco e si svegliava terrorizzato come se stesse bruciando.
Così, sebbene l’espressione spenta dei suoi occhi non tradisse alcuna emozione, quando la perquisizione fu terminata si sentì pervadere dal sollievo. La capsula non era stata scoperta. Tutto sarebbe andato come previsto, come sempre, come gli succedeva sempre.
L’uomo chiamato Ben Fry entrò nella cella del carcere di Pelican Bay certo che tutto sarebbe andato per il meglio. Sapeva che presto sarebbe stato libero.
Le guardie che lo avevano scortato in cella si scambiarono occhiate complici quando la porta si richiuse alle sue spalle e si allontanarono ridacchiando. L’uomo chiamato Ben Fry rimase un poco stupito, poi si voltò a guardare il suo compagno di reclusione e capì. Il compagno di cella gli stava rivolgendo un ampio sorriso. Era sdraiato sulla cuccetta superiore con un albo a fumetti in mano, ma in quel momento stava esaminando il nuovo arrivato. E il sorriso che aveva stampato in faccia era quello di un predatore.