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Erano seduti nel soggiorno del suo attico sulle Heights. Il sole della tarda mattinata entrava da una parete a vetri, mentre da quella opposta si poteva scorgere tutta la baia, fino all’isola di Alcatraz. Casey era in posa sul divano, le gambe accavallate e le braccia distese sullo schienale, in modo da mettere in evidenza le sue forme.

Weiss sedeva in una poltrona al di là del tavolino da tè in cristallo e guardava la fotografia. Non riusciva a distogliere lo sguardo.

«Dio mio, Weiss, sei un tale romantico.» Casey aveva una voce profonda, sensuale, forse anche a causa delle sigarette. Se ne portò una alla bocca, perché non restava mai senza. Scosse la testa nel vedere Weiss così perso nella fotografia.

Quando infine lui la posò sul tavolino, non riuscì comunque a smettere di guardarla. «Immaginavo che la conoscessi», mormorò. «Una ragazza misteriosa e senza passato, nell’ambiente di Moncrieff… Me l’immaginavo che per un periodo avesse fatto la vita.»

«Non è mai stata una delle mie ragazze», disse Casey, mentre un refolo di fumo le sfuggiva dalle labbra. «Ma un’amica l’ha avuta sotto la sua protezione per un certo periodo, in uno dei giri di Moncrieff. È lei che mi ha passato la foto e…» La pausa fu calcolata, teatrale. Prese un CD dal tavolino dietro di lei con un’espressione ironica. «… un video!» Lo mise a fianco della fotografia. «Non stai più nella pelle, vero?»

Weiss fissò il disco. Si inumidì le labbra appena schiuse con la lingua. Deglutì. Casey lo osservava e si lasciò sfuggire una risatina frizzante, quasi musicale.

Weiss distolse finalmente gli occhi, imbarazzato, e fissò l’amica che giocava divertita con la sigaretta.

«Non ti devi vergognare», disse lei. «Credimi, è successo a molti. Pare che di lei si innamorassero tutti, soprattutto i più anziani. Forse per quello sguardo, sai, sembrava essere appena arrivata dal paradiso. Secondo la mia amica c’erano schiere di uomini di mezza età accampati fuori dalle sue finestre, segugi in attesa della preda. Le mandavano fiori, le promettevano la luna, qualsiasi cosa. Il che è veramente una scocciatura quando devi mandare avanti gli affari.» Si protese in avanti e reclinò la testa, come per guardare meglio la foto. «È la faccia di un angelo, non ci sono dubbi. Belli anche i capelli.»

Certo, erano belli, di un colore naturale fra il biondo e il rosso che non sarebbe stato possibile riprodurre con una tintura. Lunghi, serici, luminosi, una splendida cornice a un volto che, come Casey aveva notato, era quello di un angelo. Dolce, pieno di fascino, un po’ distante. Nel guardarlo Weiss sentì sobbalzare il cuore: poteva essere una delle creature dei suoi sogni a occhi aperti.

«Si chiamava Julie Wyant?» riuscì a chiedere.

«Sì», rispose Casey, «proprio così, per quel che ne so. Ma la mia amica ha detto che non esistevano documenti su di lei. È apparsa un giorno in cerca di lavoro, senza passato, senza referenze, e aveva un modo di fare…»

«Quale modo di fare?»

«Come se fosse nata in quell’istante, ecco cosa diceva la mia amica. L’aria sognante e distaccata di una che ha improvvisamente aperto gli occhi e si è ritrovata sulla terra.»

«E non ha mai raccontato niente di sé a qualcuno? Alle ragazze…»

«No. Moncrieff ha svolto qualche ricerca, ma non ha trovato niente. Sembra che ne fosse innamorato.»

«Moncrieff?»

Casey rise. «Lo so.» Alzò il sopracciglio in segno di complicità. «A modo suo, naturalmente. La adorava, la contemplava come se fosse una delle sue opere d’arte.»

«Era una specie di domestica, no?»

«Sì, nel momento in cui la vide, Moncrieff la fece uscire dal giro, la portò a casa sua, a vivere con lui.»

«Sai per quanto tempo?»

Casey alzò le spalle e si mise a pensare, fermando a mezz’aria la mano che stava portando l’ennesima sigaretta alla bocca. «Per un paio di mesi, penso. Finché lui non è morto.»

«Che cosa mi dici di lei, pensi che ricambiasse Moncrieff?»

«Come faccio a saperlo?»

«Volevo dire se pensi che si sia buttata dal ponte perché lui è morto.»

«Non ne ho idea», disse Casey. «Ma sei sicuro che si sia buttata davvero?»

In effetti Weiss si era posto quella domanda. Non c’era in realtà motivo di dubitarne, tranne per il fatto che il corpo non era stato trovato. Adesso poi che l’aveva vista, gli risultava ancor più difficile pensare che una ragazza del genere fosse scomparsa per sempre.

Quasi senza volerlo, gli occhi ritornarono sulla fotografia e Weiss si sentì invadere ancora dall’emozione.

«Mio Dio!» esclamò Casey. «Che cosa ho fatto. Dimenticati quello che ho detto, ti stavo prendendo in giro. Certo che si è buttata, è ovvio, ne sono sicura. Non imbarcarti in una ricerca inutile, finirai per farti del male, credimi.»

Weiss prese la foto e la infilò — quasi con tenerezza — in tasca. «Posso prendere il video?» chiese.

«Sì, se mi prometti di non farti del male.»

Weiss lo prese e mise anche quello in tasca. Casey lo osservava, ridendo con gli occhi, forse con un pizzico di gelosia.

«Grazie, Casey.»

«Vivo per servirti, tesoro, lo sai bene.»

Weiss sorrise e si diresse alla porta.

«Weiss.» Lui si fermò con la mano sulla maniglia, voltandosi a guardarla. «Sai», disse Casey con voce più comprensiva che mai, «ci sono tante ragazze che cadono dai ponti. Così va il mondo. Con ogni probabilità, è morta.»

22

Avevo lavorato fino a tardi quella sera e pensavo di essere rimasto solo in ufficio. Ma mentre mi mettevo lo zaino in spalla preparandomi ad andarmene, mi accorsi che la porta dell’ufficio di Weiss era socchiusa. Dallo spiraglio filtrava una fioca luce. Mi avvicinai per accertarmi che non se ne fosse andato dimenticandola accesa, e invece lo trovai là, seduto nella penombra, che si dondolava sulla sua grande poltrona, con un bicchiere del suo amato whisky in mano. Il computer era acceso, ma io riuscivo a vedere solo la luce che proveniva dallo schermo proiettata sul suo viso, sul tappeto, nell’aria. Era proprio quella luce che avevo intravisto dal corridoio.

L’osservai con circospezione ma, per una qualche ragione, non me la sentii di dir nulla. Qualcosa sul suo volto lasciava intendere che era meglio svignarsela, lasciarlo solo con ciò che stava guardando. C’era qualcosa di indefinitamente triste e vago nei suoi occhi. Ma mentre indietreggiavo dalla soglia lui percepì il movimento, credo. Alzò lo sguardo e mi vide. Con un cenno della mano mi invitò a entrare.

«Accendi la luce», disse, e io obbedii. Weiss si stropicciò gli occhi. «Siediti.»

Lasciai cadere lo zaino e mi sprofondai in una delle poltrone riservate ai clienti, vicino all’angolo della scrivania. Non vedevo ancora lo schermo.

«Qualcosa da bere?»

Si piegò per aprire un cassetto e ne estrasse una bottiglia di quelle buone, di Macallan, insieme a un secondo bicchiere. Versò da bere a tutti e due.

«Whisky nel cassetto», osservai. «Come un detective da romanzo.»

Facemmo tintinnare i bicchieri in un brindisi. «Potrai metterlo nel tuo libro, quando scriverai di me», disse e poi bevemmo. Con un gesto apparentemente distratto, Weiss girò lo schermo verso di me. «Che cosa ne pensi di questo?»

Era il video che Casey gli aveva passato quel giorno. Una pubblicità su Internet per un servizio di accompagnatrici. Si trattava di uno spot di dieci secondi ripetuto all’infinito.

«Che cosa devo guardare esattamente?» chiesi.

«La donna», disse Weiss come se fosse ovvio. «Che cosa ne pensi di lei?»

Sullo schermo, protesa leggermente in avanti, la ragazza compiva un gesto invitante con il dito, il solito cliché. Era ripresa dalla vita in su e indossava una specie di camicetta di pizzo dal colletto alto, al tempo stesso pudibonda e sensuale. Secondo Weiss avrei dovuto notare qualcosa in lei, perciò mi concentrai. Certo era una bella ragazza, con quei capelli dal colore particolare, la carnagione bianca e rosa, gli occhi incredibilmente azzurri, senza malizia. Aveva anche un’espressione interessante, non come quella delle solite ragazze: niente ovvietà, nessuna sensualità forzata o pose esagerate. Eterea era l’aggettivo giusto, una creatura non terrena. Non sembrava che ti stesse proponendo un incontro a sfondo sessuale, ma piuttosto una fuga sulle nuvole, un viaggio in un mondo fatato.