Non era il mio tipo, a dirla tutta, forse un po’ troppo romantica, all’antica. Stavo per fare uno stupido commento sarcastico, quando, girandomi, vidi come Weiss la guardava, riconobbi l’abbandono, il languore e il desiderio. Ricacciai in gola le mie osservazioni.
«Che cosa si sa di lei?» dissi.
Weiss sussultò al suono della mia voce. Si riprese e spense il video. «Si chiama Julie Wyant… ed è scomparsa.»
Avevo sentito parlare della ragazza nei corridoi dell’Agenzia, ma per quel che ne sapevo si era suicidata. Come mai ora Weiss mi parlava di una scomparsa?
«La polizia pensa che si sia buttata dal Golden Gate», proseguì.
«Ma lei no, vero?»
Alzò le spalle. «Non so che cosa pensare. Probabilmente hanno ragione, ma è difficile stabilirlo con assoluta certezza, perché il corpo non è stato ritrovato. Nessuno sa chi fosse realmente e da dove venisse.»
«Ha fatto anche lei delle ricerche?»
«Sì, ma non si trova niente. Nessun documento, nessun passato, probabilmente il suo era un nome di copertura. Non ci sono piste. Ho parlato con delle ragazze che lavoravano con lei e con un paio di altre persone: tutti la descrivono come un tipo particolare, sempre distratta, preoccupata, come se la sua mente fosse altrove. Non ha comunque mai parlato di se stessa.»
«La ragazza del mistero!» dissi.
Come risposta ottenni solo un lungo silenzio. Weiss — altrettanto distratto, preoccupato e con la mente altrove — teneva il bicchiere davanti a sé e ne osservava il contenuto in modo assente, mentre con l’altra mano tamburellava sulla scrivania.
«Aveva un motivo per uccidersi?» chiesi.
Passarono ancora dei secondi, poi Weiss mi guardò e disse: «La paura, penso che avesse paura di qualcuno».
«Paura…?»
Scosse la testa per esprimere tutti i suoi dubbi, poi però aggiunse: «Be’, c’è quel tizio che chiamano Shadowman…» e trangugiò il suo scotch.
A questo punto devo dire che, nella mia posizione di aspirante scrittore, non mi sentivo solo un tuttofare dell’Agenzia. Mi piaceva pensare a me stesso come a uno che si informava, che, senza farsi notare, ascoltava e osservava. Avevo quindi già sentito parlare di questo uomo ombra, di questo Shadowman. Il suo nome veniva sempre scandito lentamente, in modo melodrammatico e misterioso. Mi era parso di capire che fosse legato a un qualche vecchio caso di cui Weiss si era occupato quando era ancora nella polizia. Più precisamente, sembrava che la ragione per cui Weiss aveva deciso di licenziarsi fosse connessa con quegli avvenimenti. Non avevo mai avuto il fegato di chiederlo a lui direttamente. Ero giovane e, per dirla tutta, l’esperienza e la serietà di Weiss mi mettevano in soggezione. Quella sera però era stato lui a parlarne e, apparentemente, mi aveva fatto entrare per chiarire a se stesso, chiacchierando con me, alcuni dubbi che lo tormentavano.
Così mi feci coraggio e con un tono per quanto possibile disinvolto gli chiesi: «E chi mai sarebbe questo Shadowman?»
Weiss si appoggiò allo schienale e si spinse indietro. «Be’», disse, «dipende dalla persona a cui lo chiedi.» Fece un gesto nell’aria per esprimere la vasta gamma di risposte. «Secondo i poliziotti — quanto meno la maggior parte di loro — è una montatura. Non una persona reale, ma l’insieme di tanti pezzi montati ad arte da un giornalista. Insomma, un’invenzione della fantasia.»
Annuii sorseggiando lo scotch e pensando. «Come il tipo che avrebbe ucciso Wally Spender?»
Weiss alzò e abbassò il mento, il che in genere significava che stava per scoppiare a ridere. Pensai che, almeno, ero riuscito a divertirlo. «Proprio così, come quel tipo che ha ucciso Spender, solo che questo… ti ricordi quel caso, il massacro di South Bay?»
Non me ne ricordavo, in parte perché quando era accaduto ero ancora sulla costa orientale e in parte perché a quel tempo ero un bambino. Ma in Agenzia ne avevo sentito parlare, più che altro sotto forma di pettegolezzo da corridoio. «Più o meno», dissi. «Si trattava di immigrati clandestini morti affogati.»
«Morirono in otto, otto bambini.» Weiss non rialzò il mento, lo sguardo fisso sulla scrivania. «Non annegarono, furono uccisi con due colpi alla testa per ciascuno. I corpi furono gettati in acqua e portati via dalla corrente. Poi un giorno, una donna che portava il cane a passeggio lungo China Beach li vide galleggiare a qualche metro dalla riva.»
Mi lasciai sfuggire un fischio leggero. «Santo cielo, ma chi erano?»
«Solo bambini tailandesi. Si è pensato che li stessero portando qui per venderli… sai, come schiavi, sfruttamento sessuale, chi lo sa. Comunque, sembra che qualcosa sia andato storto e che il venditore abbia avuto la necessità di sbarazzarsi delle prove. La più grande poteva avere undici anni. Probabilmente hanno ucciso lei per prima, mentre i più piccoli guardavano e aspettavano il loro turno.»
Non dissi niente, ma provai un brivido lungo la schiena. Mi sembrò di vederli, spauriti, indifesi, che aspettavano la morte, la linea dell’orizzonte appena illuminata dal sole e i loro piccoli corpi sbattuti avanti e indietro dalle onde. Il solo pensiero metteva i brividi, soprattutto in quel momento, mentre mi trovavo da solo con Weiss, nel suo ufficio. L’Agenzia intorno a noi era vuota e silenziosa, avvolta nell’oscurità. I grattacieli al di là dei vetri formavano scacchiere di luci e ombre, le grandi nubi illuminate dalla luna passavano nel vento e il rumore del traffico ci arrivava attutito, con i clacson, i motori, i tram… Mi sembrava che il mondo là fuori fosse caotico e pericoloso, che l’Agenzia fosse un’isola felice di calore e sicurezza, che i corpi di quei bambini appartenessero a un racconto dell’orrore narrato intorno al fuoco in una serata di tempesta.
«Non avevamo alcuna traccia», proseguì a un tratto Weiss. «I giornalisti ci bersagliavano, ma noi non potevamo farci niente. Non un indizio, un segnale per poter identificare quei corpi. Solo un testimone. Un pescatore cinese che disse di aver visto una barca ancorata al largo di South Bay la notte precedente. Aveva anche notato un uomo che si muoveva sul ponte, ma alla luce della luna si era trattato per lo più di un’ombra. E su questo la stampa ha ricamato: l’ombra di un uomo, l’uomo ombra… Shadowman.» Weiss sembrò scacciare i pensieri con la mano. «Sai come sono i giornalisti. Un caso come questo, un massacro del genere, con dei bambini di mezzo… una di quelle storie che fanno gola, che danno materiale per mesi. Iniziarono a fare congetture su Shadowman: era un sicario, uno specialista? Poi ci fu l’articolo di quel Jeff Bloom, per l’edizione domenicale del Chronicle. Disse di avere una fonte che non poteva rivelare e fece lo scoop. Secondo lui Shadowman era responsabile di almeno metà degli omicidi rimasti irrisolti negli stati della costa ovest. ‘Una imprendibile Macchina della Morte’, così lo definì. Le vittime non avevano scampo: anche se nascoste, anche se inserite nel programma di protezione, anche se, per assurdo, fossero state rinchiuse a Fort Knox, lui le avrebbe trovate. Anche i delinquenti più incalliti lo temevano. Almeno fu questo che Bloom scrisse.»
Mi voltai per l’improvviso rumore dei vetri, colpiti da una folata di vento. «Incredibile», dissi con un filo di voce.
«La polizia ancora oggi sostiene che si tratta di una montatura, di fantasie, ma in ogni caso…» Si interruppe stringendosi nelle spalle.