Выбрать главу

27

Quel mattino Driscoll era avvolta in una luce pallida e tersa. Era presto e la calura non era ancora salita. Il quartiere era tranquillo, gli uomini stavano andando al lavoro e anche qualche donna, i bambini erano ai campeggi estivi. Un cane abbaiava e, qua e là, si sentiva il ronzio degli irrigatori. Una tortora appollaiata sui fili del telefono cantava la sua lamentosa canzone.

Bishop era seduto davanti alla finestra della camera da letto e guardava Chris che picchiava Kathleen. Erano di sotto, in soggiorno, e stavano litigando da dieci minuti quando Chris l’aveva colpita con uno schiaffo sulla guancia.

«Ah, maledetto!» urlò la donna, cercando di colpirlo in faccia con un pugno. Ma Chris schivò il colpo e, più furente che mai, la picchiò ancora, così forte che Kathleen cadde al suolo, sul fianco. La fronte sbatté sullo spigolo imbottito del divano.

Bishop contrasse l’angolo della bocca quando la vide cadere: per uno come lui era la massima espressione di disagio. Tuttavia non si mosse, rimase a guardare, seduto alla scrivania, fumando nell’ombra. Le luci della stanza non erano accese e la finestra era appena aperta; poteva però vedere bene i Wannamaker e udirne anche le voci, quando gridavano.

«Voglio quella testa di cazzo fuori da quella casa, subito!» gridò Chris alla moglie, a terra.

Lei gli rispose urlando, fra le lacrime: «È casa mia e l’affitto a chi cazzo mi pare!»

Gli occhi di Chris esprimevano tutto il suo furore. Camminava avanti e indietro incombendo su di lei e, anche da una certa distanza, Bishop poteva vedere i segni che gli aveva lasciato due sere prima, al Clover Leaf. Un ematoma rosso-violaceo copriva un’intera guancia; era lì che gli aveva assestato la gomitata. Con quel livido in faccia, Chris sembrava un mostro, soprattutto mentre camminava in quel modo, come un animale in gabbia, agitando il dito davanti alla moglie, urlando e digrignando i denti.

Aveva abbassato la voce, ma alcune parole arrivavano ancora a Bishop: «… ti ronza intorno…»

Kathleen rispose. Bishop non sentì le sue parole, ma intuì che fossero altri insulti, perché Chris la colpì con un calcio dietro la coscia. La donna urlò, strisciando via sul pavimento, e rimase piegata su un fianco, ansimante, tenendosi la gamba. Chris continuava a camminare avanti e indietro, sovrastandola. «Puttana!» urlò a un certo punto. Bishop vide il corpo della donna scosso dal pianto.

Aspirò un’altra boccata di Marlboro. Gli occhi chiari, freddi e privi di espressione, si strinsero a fessura mentre il fumo saliva.

All’improvviso il telefono squillò rumorosamente. Bishop afferrò il ricevitore, spense la sigaretta e rispose. «Sì?»

«Parlo con Frank Kennedy?»

Bishop si distese sulla sedia. Non riconobbe la voce sottile e affettata che proveniva dall’altro capo del filo, tuttavia intuì di chi potesse trattarsi. Si girò per non farsi distrarre dalla scena nella casa vicina. «Sì, sono Kennedy.»

«Bene, signor Kennedy, mi chiamo Alex Wellman e sono l’assistente personale di Bernard Hirschorn.»

«Ho capito. Che cosa posso fare per lei?»

«Il signor Hirschorn mi ha detto di combinare un incontro fra voi, se possibile.»

Bishop sorrise a denti stretti e rispose con distacco: «Certamente. Quando vuole che ci incontriamo?»

«Oggi a mezzogiorno, il suo ufficio è alla fondazione Driscoll.»

«Ci sarò.»

«Perfetto, grazie.» La comunicazione fu interrotta.

Bishop ripose la cornetta e appoggiò i gomiti sulle ginocchia. A pensarci bene, la situazione era positiva. Hirschorn voleva vederlo e ciò significava che, probabilmente, il suo piano aveva avuto successo. Forse, quando gli era giunta notizia del diverbio al Clover Leaf, Hirschorn aveva già dei dubbi sull’opportunità di impiegare Chris come pilota. Forse stava addirittura considerando di assumere Bishop per sostituirlo. Bene, pensò, potrebbe essere un’ottima cosa.

Bishop si alzò e tornò alla finestra, a osservare quanto accadeva nella casa a fianco.

Non si udivano più le grida e Chris era in ginocchio. Kathleen era ancora a terra, sdraiata sul dorso, con le gambe piegate come per difendersi. Chris le parlava gentilmente, con l’espressione contrita, e Bishop pensò che stesse piangendo. Muoveva le mani avanti e indietro come se volesse spiegarle qualcosa, o farsi perdonare. Poi le mise una mano sul polpaccio, ma Kathleen si ritrasse. Lui continuò, facendo salire la mano verso la coscia e poi più su, cercando di costringerla con il corpo ad aprire le ginocchia. Si chinò su di lei.

Kathleen gli mise la mano sul petto per allontanarlo e voltò la faccia. Ma lui insistette con dolcezza, parlando con calma, cercando di spiegare. Le braccia di lei si rilassarono, gli appoggiò le mani sulle spalle. Teneva il viso sempre girato, ma lui le accarezzò i capelli finché lei non si voltò e non si lasciò baciare sulle labbra, alzando una mano a sfiorargli la guancia ferita in un gesto quasi tenero. Non fece resistenza quando lui le sfilò i pantaloni.

Bishop continuò a guardarli, e pensò a che cosa ne sarebbe stato di Chris se Hirschorn avesse deciso di sostituirlo. Forse l’avrebbero ammazzato per chiudergli la bocca. In effetti, era plausibile. Probabilmente Hirschorn avrebbe ucciso Chris, perché l’operazione doveva essere di tale portata da non poter rischiare che lui parlasse.

Kathleen era ancora immobile sul pavimento e Chris era dentro di lei. Erano abbracciati, stretti uno all’altro, ma Kathleen era girata verso la finestra e sembrava guardar fuori distrattamente, sembrava pensare ad altro. Era come se il suo sguardo fosse rivolto verso la finestra di Bishop, mentre Chris si muoveva dentro di lei. Con le luci spente e il sole che batteva in quella direzione, sicuramente lei non lo vedeva, ma Bishop capì che probabilmente pensava a lui.

Continuò a guardare. Pensava alla telefonata appena ricevuta, a come Hirschorn avrebbe ucciso Chris se lui l’avesse sostituito. Guardava Kathleen che, a sua volta, lo guardava. Chris emise un ultimo gemito e si adagiò sopra di lei.

Bishop chinò il capo e si chiese se Hirschorn avesse intenzione di uccidere anche lei.

28

La motocicletta sobbalzava sotto di lui mentre percorreva la lunga strada sterrata. In quel tratto, le querce creavano una piacevole e fresca penombra. Quando gli alberi finirono, il caldo divenne soffocante, ma la proprietà si manifestò in tutta la sua ampiezza. C’erano prati ondulati in ogni direzione e irrigatori in ogni angolo. I giardinieri — otto o dieci che fossero — si muovevano fra aiuole di fiori viola o erano inginocchiati a curare il prato. Qua e là c’erano piccoli stagni dalle acque immobili dove si riflettevano il sole, il cielo e le montagne circostanti. Il luogo era incorniciato da una catena di monti scuri che sembravano raggiungere le nuvole candide. Il ranch di Hirschorn — ovvero della fondazione — era stato costruito ai piedi delle alture, al riparo degli alberi. Quella non era, pensò Bishop, semplicemente il rifugio di un boss locale. Piuttosto la residenza rispettabile di un pezzo grosso della malavita organizzata.

La strada piegò a destra e la Harley di Bishop seguì la curva, dirigendosi verso la casa, che apparve imponente e grandiosa. Era gialla con le rifiniture bianche e il tetto spiovente, su cui si aprivano tre lucernari. Una serie di porte finestre davano sul portico che girava tutto intorno all’edificio, sostenuto da pilastri e collegato alla strada da una scala di mattoni.